Sabato scorso in cielo campeggiava una splendida luna piena; in mezzo a una volta celeste priva nubi, l’astro d’argento si rifletteva nel mare come manco nelle canzunette ‘e Napule. Però c’era l’eclissi totale di luna, che prima di poter dire “crostata di mirtilli” l’ha oscurata. Esercizio: interpretare questo accadimento a guisa di oracolo.
1) La verità risplende per poco. Poi sopraggiunge l’oblio.
2) Quando credi che le cose vadano per il meglio, c’è sempre qualcosa pronta ad oscurare la tua gioia.
3) Bisogna mangiare le mele prima che marciscano.
4) L’amore è tanto bello che fa luccicare tutto quello che gli è intorno. Ma è solo questione di tempo prima che scemi nell’oscurità.
5) Selene proteggerà la città di Troia per dieci anni. Poi Pallade avrà la sua rivincita, e la città di Ilio cadrà.
6) Il formaggio (di cui, come è noto, la luna è composta) ammuffisce in fretta. Consumatelo rapidamente.
7) Occhio a come investite il vostro danaro. Mettete tutto in titoli di Stato, così state più tranquilli.
8) Gli dei sono molto permalosi. Non bisogna farli arrabbiare, altrimenti fanno sparire la luna.
9) A luglio farà caldo, poi ad agosto pioverà.
10) Va’ a pescare al fiume. Troverai un giovane picchio che affoga: salvalo e ti indicherà dove trovare un tesoro.
Ordine dei Cigolanti: ordine monastico nato nel 1046 nelle campagne adiacenti Urbino e diffuso oggi soprattutto nel Nord Italia, specialmente in Veneto e Trentino.
Il fondatore dell’ordine, San Gagliardo da Acqualagna, era convinto che un modo per raggiungere la vicinanza con Domineddio consistesse nell’essere tutti consapevoli degli altri. In base a questo principio, la regola dell’ordine vuole che tutti i monasteri atti ad ospitare i Cigolanti siano interamente costruiti con vecchie assi di legno, in modo da scricchiolare e cigolare il più possibile al minimo movimento. Lo scopo di questa attenzione è di rendere esplicito a tutti quanti gli altri monaci ciò che ogni Cigolante sta compiendo in qualsiasi momento della giornata, cosicché ognuno sappia esattamente cosa stanno facendo gli altri. L’innegabile vantaggio è costituito dalla possibilità di intervenire prontamente appena un Cigolante sta cedendo al peccato: ogni superficie è difatti così rumorosa da rendere intelligibile ogni più piccolo gesto o movimento, dal mettersi in ginocchio al sollevare una penna, dal rubare un tozzo di pane dalla dispensa al dedicarsi ad atti impuri.
L’Ordine dei Cigolanti vanta sempre meno adepti, soprattutto da quando, nel 1872, si è scoperto che San Gagliardo era completamente sordo.
Tiglio Cagone: albero del varesotto, il cui nome scientifico è Tilia Insubris, ma che, per evidenti motivi, l’uso popolare ha ribattezzato Tiglio Cagone. I suoi frutti sono tondi e marroni e, curiosamente, maturano e marciscono mentre sono ancora attaccati ai rami, facendo cadere al suolo o sulle teste dei passanti liquami mefitici. Il Tiglio Cagone emana quindi un pessimo odore e nessun uccello osa posarsi sui suoi rami.
Ettore Molinacci: ciclista italiano in attività negli anni ’50, Molinacci passò alla storia per essere lo sportivo più superstizioso che abbia mai calcato le strade italiane.
Atleta di medio livello, Molinacci ogni tanto otteneva qualche buona prestazione e si fissava nel riprodurre ogni possibile circostanza che secondo lui poteva aver causato la sua vittoria. In particolare, il 24 maggio 1956 egli vinse la tappa di Rimini del Giro d’Italia, un risultato inaspettato (in realtà conseguito grazie al raffreddore che aveva colpito molti corridori). Convinto di dover la propria gloria alla sorte, Molinacci cercò di ripetere quello stesso giorno per il resto del Giro d’Italia, a partire dal risveglio. La giornata cominciava quindi con sveglia alle 6.03, mediante il miagolio di un gatto cui veniva pestata la coda (la disgraziata bestiola fu trascinata per mezz’Italia dal paziente manager Zeno Parioli), e proseguiva con una colazione a base di caffè troppo zuccherato, due toast alla marmellata e un cornetto con crema pasticcera avariata (pratica alimentare che gli provocò una dissenteria cronica che lo accompagnò per tutta la durata del Giro). Seguiva una doccia gelida (lo scaldabagno dell’albergo in cui l’atleta dormì quella fatidica notte era guasto dal 1943) e poi una rasatura con un fastidiosissimo taglio alla guancia destra. I vestiti erano sempre gli stessi, mai lavati, e la bicicletta doveva avere il sellino con una molla rotta. Evidentemente la giornata del 4 giugno non fu mai ripetuta con sufficiente precisione, poiché in quel Giro il ciclista non ottenne più nessun piazzamento decente. Da allora, la carriera di Molinacci precipitò e l’atleta non combinò mai più nulla.
Solo in seguito alla sua morte, avvenuta nel 2004, si scoprì la verità. Dopo il Giro d’Italia del ’56, convinto di essere bersagliato dalla iella, Ettore Molinacci si mise a correre con una pesantissima bicicletta di ferro massiccio in modo da poter “toccare ferro” a piacimento. Questo velocipede è ora esposto nel Museo dei Minchioni a Cocconato d’Asti.
Soffro di una strana antipatia per le cartoline. Sì, quegli innocui cartoncini illustrati che si usa mandare dagli ameni luoghi di vacanza. Quelle coi panorami al tramonto, quelle con scritto “Tanti cari saluti da Rigatone Sabbiagialla” e la sfilza di firme.
Le cartoline, come oggetto, sono sgradevoli. Non si sa mai cosa fare di esse: dispiace buttarle via, perché in fondo ti sono state inviate da qualche conoscente, amico, parente, quindi finiscono per andare in qualche cassetto ad ammuffire. E per me gli oggetti inutili che non mi sento di buttare sono un problema (le partecipazioni di matrimonio o le bomboniere sono un altro incubo!). Ma non è solo questione di mera utilità: trovo che questi pezzetti di cartoncino illustrati siano un oggetto esteticamente repellente. Di recente è di moda il concetto di “cartolina orrenda”: sul fumetto “Rat-Man” c’è un concorso apposito, ne ho visti altri analoghi altrove e non è anomalo che qualche simpaticone cerchi apposta la cartolina peggiore del lotto, spulciando amorosamente l’albero apposito al di fuori delle cartolerie. È certo una bella impresa: accanto a quelle proprio fetenti, per scelta del soggetto, per realizzazione della foto, per pochezza del grafico, si trovano altre categorie che non sono da meno in quanto a cattivo gusto. Ci son quelle con le tette (“Ehi, guarda! Sono andato in un posto dove ci son le donne nude!“); quelle finto-spiritose (di solito con le vecchiette o gli asini: “Ehi guarda! Sono andato in un posto dove ci son le vecchiette!“. Per fortuna non hanno ancora pensato a quelle con le vecchiette nude, ma è solo questione di tempo); quelle con i messaggi predefiniti (“Manchi solo tu“, “Qui ci si diverte“…) e infine quelle con le foto di qualità. Certo, molte foto sono di per sè splendide, ma (mi si conceda l’astio) l’ambito della cartolina le sminuisce e le impoverisce. Un po’ come leggere un libro sul monitor.
Ma c’è di più: io detesto anche il rito sociale delle cartoline. Non ho mai sopportato l’ansia, appena giunti nel luogo di vacanza, di dover scegliere le cartoline, acquistare i francobolli, compilare le missive sforzandosi di dire qualcosa di originale (e poi alla fine dire le solite quattro cagate), farle firmare a tutti e infine imbucarle. Il tutto il più in fretta possibile, altrimenti torni prima tu della cartolina, e questo sarebbe un’onta insopportabile! E mi sfugge persino il senso di tutto ciò: fin da piccolo l’invio della cartolina mi sapeva di sberleffo, un po’ come dire: “Ah-ah! Io sono in vacanza e tu sei a casa a schiattare di caldo! Ah-ah!“. Si può ribattere che non si tratta di altro che di una piccola dimostrazione di premura, un modo per dire “Ti sto pensando anche se sono lontano“. Ma io sono negativo e misantropo, e penso che un pezzo di carta illustrato e scarabocchiato sia una ben povera manifestazione d’affetto. L’unica eccezione che ho concesso è stata per chi effettivamente ci teneva molto, in sostanza le nonne. Per tutti gli altri, nessuna pietà: se volete sapere dove son stato in vacanza, chiedetemelo.
(Per bilanciare tutto questo odio, dirò che mi piacciono gli gnocchi)