Alla cremagliera? E come saranno mai? E che relazione ci sarà con un ingranaggio lineare, piano o ad asta, che assieme ad una ruota dentata viene utilizzato in meccanica per convertire il moto rotatorio in moto lineare continuo o viceversa? Leggete oltre e lo scoprirete!
I pomposissimi spaghetti alla cremagliera non sono altro che spaghetti con olio, acciughe e briciole di pane, e ovviamente non c’è nessuna relazione con l’ingranaggio lineare etc. Però mi mancava un nome sintetico per questo piatto, e invece che descriverlo con la lista dei suoi ingredienti ho deciso di battezzarlo con un nome a caso che suonasse bene(*). Come potete immaginare, è un piatto semplice e povero, ma ricco di gusto e di calorie (i Pinguini in Cucina non proporranno mai piatti dietetici, siatene certi!) e, soprattutto, autarchico.
(*) Avrei potuto azzardare forse “spaghetti alla Pollicino pescatore”, ma suona un po’ scemino e privo della sussiegosità del nome che ho scelto. La so proprio lunga!
Nella foto, a Golosino gli spaghetti alla cremagliera non sono piaciuti.
Prepararsi
Dopo un piatto messicano e uno francese, e in attesa di quello cinese che tutti attendono ma che io centellino, finalmente propongo un piatto italiano. Quindi, per festeggiare il Belpaese, dovreste:
- mettere su un po’ di buona musica italiana, stile Minghi o Toto Cutugno o Pupo. Se avete nel mangiacassette le sigle di cartoni dell’altra volta, potete riciclarle.
- suggerire al CT una formazione per la nazionale di calcio.
- indossare calzini bianchi, mutande rosse e cappello verde. Un po’ come un elfo privo di gusto a capodanno.
- suonare il mandolino.
- inveire contro il governo senza muovere un dito per cambiare la situazione.
- mangiare una fetta di Belpaese.
No, dai, seriamente: il Belpaese no, sa di plastica. Vi serviranno invece i seguenti ingredienti, questi per sul serio:
- Spaghetti. Non esagerate, 100 g a testa o poco più. Casomai aveste ancora fame, c’è sempre il Belpaese da finire. Altri tipi di pasta, sia filiformi che di tipo corto, penso potranno andar bene, ma se io chiamo questo piatto “spaghetti alla cremagliera” e non “pasta alla cremagliera” è perché gli spaghetti sono meglio, no? Insomma, la finiamo di fare polemica? (sì, me le canto e me le suono)
- Acciughe sott’olio o sotto sale: so che quelle sotto sale sono migliori, ma io ho sempre cucinato il piatto con quelle sott’olio, quindi non garantisco che venga identico (ma credo di sì). Vi serviranno 2-3 acciughe a persona.
- Pane: non ne serve tantissimo, diciamo un 20-30 g a testa. A mio gusto, preferisco per questo piatto pane con molta mollica soda, quindi suggerisco di utilizzare pagnotte di grano duro fatte a fette. Attenzione a non commettere l’errore di sostituire le briciole di pane col pangrattato, non è la stessa cosa!
- Olio: extra-vergine di oliva, più buono è meglio è, e ne serve anche una discreta quantità. Se, come me, siete dei morti di fame e volete risparmiare, io consiglio quello della Coop, di buona qualità, piuttosto economico e pure italiano (ricordate che stiamo preparando un piatto autarchico!).
- Acqua
- Sale grosso
E l’attrezzatura:
- Fornelli, due: per la prima volta nella storia di Pinguini in Cucina dovrete cimentarvi con due fornelli contemporaneamente! Tremate!
- Forno o tostapane per tostare il pane.
- Pentola per la pasta col suo coperchio
- Padella per il condimento
- Scolapasta
- Cucchiaio di legno
- Grembiule
Nota bene: non l’ho mai detto esplicitamente, ma ingredienti e attrezzatura devono essere nuovi per ogni ricetta, compresi i fornelli, ma non il grembiule. Quello dev’essere sempre lo stesso.
Cucinare
Se sapete già come si fa la pasta, questo sarà il piatto più facile di Pinguini in Cucina. Se non lo sapete, invece, oltre ad avere la disapprovazione di tutto il pubblico ed essere radiato dall’albo degli italiani, sarà più laborioso, perché non posso mica insegnarvi quanto sale ci va (12 grammi ogni litro d’acqua), come buttare gli spaghetti (gli integralisti dicono di non spezzarli, io me ne frego e spezzo) o come girarli (appena buttata la pasta perché non attacchi, dopo non serve più) o come scolarli (rovesciando la pentola sopra uno scolapasta messo in un lavandino) o quando sono cotti (dopo il numero di minuti indicato sulla confezione, ma per i piatti come questo che vengono ripassati in padella è meglio tirarli via un minutino prima). Per queste cose ci va un minimo di esperienza, non posso mica dirvelo io! Vi dirò invece i seguenti passi:
1) Indossate il grembiule e mettete a bollire l’acqua per la pasta. Mettete il sale subito, dai, non fate quelli che “così bolle prima”. Ne abbiamo già parlato. Coprite invece col coperchio, ci mette parecchio di meno a bollire.
2) Mentre l’acqua si scalda, prendete la padella, e fateci sciogliere le acciughe. Per compiere quest’operazione che ha del miracoloso, metteteci una certa quantità d’olio (diciamo sufficiente a coprire la superficie della padella, ma che rimanga poco più di un velo) e le acciughe. A fuoco medio-basso, spezzettate i simpatici pescetti col cucchiaio di legno e vedrete che, come per magia, pian piano si scioglieranno. Io rimango sempre incantato di fronte a questo spettacolo. Quando sono sciolte, spegnete il fuoco, ma lasciate la bottiglia dell’olio accanto alla padella. Vi servirà, eccome se vi servirà!
3) Accendete il forno o il tostapane, ma attendete a metterci dentro il pane. L’acqua bolle? Bene, buttate la pasta, giratela e subito dopo mettete a tostare il pane. Quest’ultimo dovrà risultare bello croccante ma non bruciato, quindi tenetelo d’occhio.
4) Ora viene il bello. Scolate la pasta (come detto sopra, un po’ più al dente di quanto siate usi fare e riversatela in padella. Alzate il fuoco, e iniziate a sbriciolare a mano il pane. Sì, a mano, le briciole devono essere irregolari: concedevene alcune parecchio grosse, meritano. Usate pure sia la crosta che la mollica, in proporzioni secondo il vostro gusto. Contemporaneamente girate la pasta, e aggiungete olio. Il pane si “mangerà” una tonnellata di olio, quindi dovrete metterne ancora. E’ questo il segreto calorico degli Spaghetti alla Cremagliera, il fatto che ci sono un sacco di grassi ma non sembra. Quando tutto vi pare pregno d’olio, togliete dal fuoco. Guardandola, vi sembrerà che manchi qualcosa: sì, aggiungete ancora un po’ d’olio a crudo. Ci sta bene.
Facile, no?
Mangiare, bere, varianti e impatto anale
Servite in tavola con la padella, fa allegria. Occhio però che, come tutti i piatti a base di spaghetti che siano ben conditi, è facilissimo sporcarsi, quindi non fate i fighi col tovagliolo sulle ginocchia, vi ritroverete con una patacca gigante sulla camicia rosa. Potete tenere il grembiule, oppure, ancora meglio, indossare il tovagliolo come Poldo Sbaffini legandolo dietro il collo. Per quanto riguarda il vino, è palese che si tratti di un piatto che si accompagna a un bianco, magari un po’ deciso. Per campanilismo, non posso non suggerire un Pigato.
Ora, se parlate di questo piatto in giro, ci sarà chi dice è meglio con altri ingredienti. Troverete chi suggerisce il pangrattato, e voi li guarderete con compatimento perché non sanno cosa si perdono coi bricioloni imbevuti d’olio; chi asserisce che ci sta il prezzemolo, e voi sbufferete dicendo che magari sì, però è inutile; infine, e sono i più numerosi e i più malvagi, ci saranno coloro che sosterranno la necessità dell’aglio. Questi ultimi li prenderete a cartoni in faccia per la loro impudenza. Mi sembrano invece alternative sperimentabili (ma non sperimentate da me in prima persona) l’aggiunta di pinoli, o di formaggio grattato nel piatto, o una spolveratina di pepe o di peperoncino. Tra le tre, i pinoli è quella che mi ispira di più.
L’impatto anale è basso. Il piatto si digerisce bene, magari fa venire un pochino di sete ma intanto avete il vostro Pigato bello fresco, non dà alito cattivo (se non l’avete già per gli affari vostri) e la cacca sarà perfettamente normale, forse solo leggermente più facile per le quantità di olio che avrete usato. Ottimo piatto quindi per stupire la vostra futura dolce metà al primo appuntamento con le vostre doti culinarie: basta che vi ricordiate di mettervi il tovagliolo sulla camicia rosa.
Un buon appetito autarchico!
Pinguini in cucina, la rubrica che dà dipendenza a Barbara!
Warning! High Calories dish!
Sì, lo so che aspettavate tutti la ricetta del nefasto maiale in agrodolce, ma, come i più informati sanno, questa è la settimana del Festival d’Animazione di Annecy 2010. Siccome per la prima volta dal 2003 sono assente, mal me ne colga, mi pare doveroso omaggiare la savoiarda cittadina col suo piatto da gustare almeno una volta durante il festival: la tartiflette.
(Come sarebbe a dire “Cos’è la tartiflette”? Non sosterrete mica di non aver letto con attenzione i miei dettagliatissimi resoconti dei festival dal 2005 a oggi?Ah! Mal ve ne colga!
Vabbè, leggete oltre, lo scoprirete)
Prepararsi
Innanzitutto, per gustare la tartiflette è necessario prepararsi psicologicamente. Non solo indossando il vostro grembiule preferito (che ormai do per scontato), ma entrando nello stato d’animo dell’amante dei cartoni animati: riguardatevi il vostro cartone preferito, e magari mentre cucinate mettete su un po’ di buone vecchie sigle anni ’80. La tartiflette non verrà più buona, ma voi sarete più contenti. Quindi via! (Coc-ci-nel-la chi non è d’accordo guai)
Ecco gli ingredienti per 3-4 porzioni:
- 600 g di patate, del tipo che vi pare. Io prendo quelle per “uso generico”, se voi volete invecchiare meglio prendete quelle col selenio. Secondo me la salute non ne risentirà né nel bene né nel male, ma potrete bullarvi coi vostri compagni alla bocciofila.
- 100 g di lardoni a dadini (cioè di pancetta, ma dire “lardoni” è assai più buffo): purtroppo spesso i lardoni vengono in confezioni da 120. E allora pazienza, che volete fare, buttarli via? Mettetene 120! Lardoni dolci o affumicati non pregiudicano la riuscita della ricetta, quindi usate quelli che preferite. Io preferisco gli affumicati. (Daigo la testa, la strategia)
- 1 cipolla piccola: o anche un pochino di più, se vi piace. Ma non esagerate, non è un piatto a base di cipolla.
- 200 g di reblochon: “di che”? Di reblochon, ovviamente, il formaggio della Haute Savoie che è la base della tartiflette! Sì, lo so che non è facile da trovare. Io stesso non ho mai fatto la tartiflette col reblochon: va benissimo la fontina, l’importante è che sia quella bella genuina, bella puzzona, non quei plasticumi che non sanno di niente e spacciano per fontina.
- 2 cucchiai di panna da cucina: i veri cuochi dicono che la panna da cucina non esiste e che va evitata il più possibile. Io non sono un vero cuoco e non solo ve la faccio usare, ma vi faccio aprire una confezione per due soli cucchiai, e ora non sapete che farvene del resto. Tortellini alla panna, dai. (E’ un bosco tra le case di città)
- un po’ di burro: vi ho sempre detto che la tartiflette ha dentro un sacco di burro. Vi ho sempre mentito: il burro serve solo per ungere la teglia, quindi ve ne basta un tocchetto.
E ora gli attrezzi:
- una pentola per bollire le patate
- una teglia: l’ideale sarebbe una teglia di ceramica di forma ovoidale dal lato lungo di circa 30 cm e quello corto di circa 15. Tuttavia andrà bene anche una rettangolare o una rotonda, persino di metallo. Su, non formalizziamoci troppo.
- una padella medio-piccola per le cipolle e i lardoni
- un cucchiaio di legno per girare le cipolle e i lardoni (C’era chi parlava al vento e alle stelle)
- un coltello e un tagliere per la cipolla
- un cucchiaio
- fornelli
- forno, possibilmente elettrico. Se avete quello a gas allargherò le braccia in segno di disappunto ma andrà bene lo stesso. Quello a microonde invece no, è pupù. Lo Sfornatutto Delonghi non saprei, se vi va sperimentate, ma intanto è noto che fa solo toast, pizzette e poi lo pulisco io.(Te no hira no soyokaze na…)
- acqua
- e il vostro amato grembiule
Cucinare
Come al solito, amici fessacchiotti, facciamolo a passi.
1) mettete a bollire le patate intere. Dai, prima date loro una sciacquata per togliere la terra, che poi fa schifino vedere l’acqua sporca. Ci metteranno almeno 15′, quindi nel frattempo, visto che siamo gente che non ha tempo da perdere, passiamo ad altro. (Il suo cuore ora sì, batte batte forte, forte, forte)
2) sbucciate e tagliate la cipolla. Secondo il mio gusto non va troppo fine, ma se volete risparmiare fatica e usare il frullatore non mi opporrò. Però, dai, è una cipolla sola, e poi il frullatore non è nell’elenco dell’attrezzatura e quindi non l’avete a portata di mano. E poi sporcare tutta quella roba per una cipollina sola, che non fate manco in tempo a piangere?
3) mettete i lardoni nella padella e fateli andare a fuoco vivo girandoli col cucchiaio di legno. Quando sono dorati da tutti i lati, abbassate il fuoco e aggiungete la cipolla in padella. Continuate a cuocere finché la cipolla non è ben morbida e amalgamata, ci vorranno un 5 minuti abbondanti. Spengete il fuoco.
4) Nel frattempo, le patate potrebbero essere cotte. Dipende da quanto sono grosse, voi pungetele con la forchetta per capire se sono pronte. Quando lo sono, sbucciatele. Inveirete non poco perché saranno caldissime ma insomma, nessuno vi aveva mai detto che sarebbe stata facile. Per non scottarmi troppo io mi aiuto con degli Scottex da cucina, voi non so. (E quell’amo è una calamita, impossibile cambiare strada)
5) Ungete col burro la teglia. Se noi fossimo salutisti potremmo utilizzare magari la carta da forno invece del burro, ma riguardate gli ingredienti: pensate davvero che cambi qualcosa nell’impatto calorico quel poco burro rispetto alle quantità di formaggio, lardoni e patate? E poi la carta forno fa tristezza… quindi zitti e imburrate. Vi sentirete anche un po’ Marlon Brando, vuoi mettere l’emozione?
6) Tagliate metà delle patate a fette spesse circa mezzo centimetro e stendetele in modo ordinato sulla teglia. Metteteci sopra metà della padellata di cipolle e lardoni, seguita da un ulteriore strato di patate tagliate a fette e dal rimanente delle cipolle e dei lardoni. Coprite il tutto con la panna. Come ultimo strato, il formaggio, tagliato a fettine. Quest’ultimo deve riposare in modo uniforme su tutta la teglia, quindi dovrete regolarvi con lo spessore delle fettine, ma non è un grosso problema: forse non ve ne rendete bene conto, ma due etti di fontina sono tanti.
7) Infornate a forno molto caldo, 220-250°. Su, mettetelo al massimo e non pensateci più. E’ quasi tutto già cotto, quindi non deve starci molto, diciamo circa 10′. Se vi va (e io ve lo consiglio nonostante lo sbattimento) ci sta anche una gratinata mettendo il grill, così da rendere croccante la parte superiore. (Non è possibile stare al mondo se non possiamo sbagliare mai)
Mangiare, bere e impatto anale
La tartiflette deve essere servita caldissima. Questo vuole la tradizione, anzi, nei ristoranti ti danno addirittura le teglie di ceramica monoporzione per tenerla calda mentre mangi. In realtà, nella mia esperienza, è buona anche non calda calda calda, io l’ho addirittura scaldata al mattino e portata al lavoro nella gavetta termica per mangiarla in pausa pranzo. Però voi non ditelo ai francesi. Ah, è anche buona riscaldata più volte, anche se mi rendo conto che l’idea di far sciogliere il formaggio ripetutamente possa suonare strano.
L’accompagnamento più naturale è il vino rosso, in quanto piatto a base di formaggio e salumi, eppure, per qualche ragione che non mi spiego, non lo vedo male nemmeno con un bianco un po’ deciso. Ciononostante, io consiglio un Teroldego o qualcosa di simile. (C’è la speranza che d’ora in poi un futuro avremo noi)
La tartiflette è un piatto impegnativo, non tanto per il tratto finale del vostro intestino quanto per quello iniziale. L’abbondanza di formaggio, coniugata alle cipolle e alla pancetta, lo rende un cibo dalla digestione piuttosto difficoltosa: se, per fare un esempio puramente ipotetico, andate a vedere un festival di animazione in Alta Savoia e la prima sera al ristorante ordinate sempre la tartiflette e poi dormite male, non è per il materasso duro o per quello là che russa, ma per le conseguenze della vostra cena. Ah, e il giorno dopo andrete di corpo regolarmente, ma ci saranno un po’ di puzzette extra: a meno che la vostra dieta abituale non consista nel chili con carne, in tal caso ne farete di meno. E i vostri compagni di camera ne saranno lieti.
(In una foresta sto, e molti ami…CLICK!)
Penso che dovresti cmq fare pinguini in cucina come rubrica
Cementino, 3 maggio 2010, ore 16.06
Che diamine, perché non ci ho pensato prima? Parlo sempre di cibo con tutti, mi piace un sacco mangiare e il mio status di gtalk è un cibo diverso ogni giorno da tipo tre anni. Certo, rimane il fatto che sono un cuoco men che mediocre, ma questo non mi ferma dallo sperimentare e dal divertirmi a provarci. Se poi la roba viene buona, tanto di guadagnato. Pinguini in cucina sarà quindi una sorta di racconto in salsa pinguinosa di ricette come le faccio io, ovviamente con considerazioni idiote e trattando i miei interlocutori come imbecilli. Cosa che, in realtà, è quello che vorrei i libri di cucina facessero con me.
Iniziamo col botto (letteralmente, capirete perché) con la mia specialità, il chili con carne. Cucina etnica, yuhuu! E poi sta arrivando l’estate e nessuno avrà voglia di roba calda e piccante e così quando tornerà il freddo tutti se ne saranno dimenticati. La so lunga, vero?
Prepararsi
Per cucinare il chili con carne per 2 persone abbondanti (abbondante il chili, non la persona. O perlomeno, non è strettamente necessario) o per una persona che ci mangi due volte, armatevi dei seguenti ingredienti:
- Carne tritata di manzo, circa 4 etti. Non deve essere troppo magra, ma nemmeno troppo grassa. Non serve che sia carne bonissima ma nemmeno ciappi. Io di solito faccio così: al supermercato, al banco frigo, normalmente ci sono tre categorie di carne trita: finissima (o di primissima scelta), fine e da sugo. Io prendo la fine. Se però voi siete gente raffinata potete anche andare dal macellaio di fiducia e spiegargli la situazione. Lui capirà, è il suo mestiere, poi prenderà il pezzo più costoso che ha e lo triterà per voi. E probabilmente sarà troppo magro.
- Fagioli messicani: io qua la faccio facile e uso questi qua, quelli della Uncle Ben’s. Si trovano direi in tutti i supermercati, di solito nell’area “etnica” più che in quella “scatolame”. Se non li trovate (ma chiedete al commesso, dai, non vi mangia mica) o volete proprio farli freschi, sono cazzi vostri. Io non ne sono capace. Ve ne serve comunque una scatola intera.
- Salsa di pomodoro: una scatola. A me piace la Mutti un po’ rustica, ma nessuno vi impedirà di usare un’altra marca, o la passata, o i pelati o financo i pomodori freshi. Certo, basta che poi non vi venite a lamentare con me se non viene uguale uguale al mio manicaretto.
- Due cipolle: quelle normali, “bionde”, di dimensione media. Non ho mai provato con le rosse, secondo me non ci stanno bene.
- Spezie: eeeh, qua va a gusti. A me piace metterci peperoncino, coriandolo e cumino. Se non li avete o non vi piacciono, van bene anche i misti per chili che si trovano in giro. Se poi vi piace altro, fate pure. Accetto persino suggerimenti, pensate un po’.
- Olio d’oliva: un pochino. Extravergine, dai, non fate i morti di fame.
- Sale: sale sale e non fa male. Veramente alle arterie e alla pressione il sale fa male.
- Acqua: vi servirà ed è probabile che se cucinate abbiate un rubinetto a disposizione. Ma avevo promesso di trattarvi da imbecilli, no?
- Tortillas: anche queste le trovate al supermercato, di solito accanto ai fagioli sopra citati. Se non le trovate, van bene anche le piadine romagnole sottili (quelle del Mulino Bianco sono accettabili), altrimenti potete farle in casa con la farina di mais, ma io non saprei da che parte iniziare. Contatene 4 a porzione. Siccome stiamo dando una ricetta per due porzioni, 8 tortillas. Devo proprio dirvi tutto?
E poi l’attrezzatura (questa è facile):
- Cucchiaione di legno per girare la sbobba
- Pentola, meglio se bassa e larga e magari antiaderente
- Tagliere per tagliare la cipolla
- Coltello per tagliare la cipolla (è impegnativa, questa qui…)
- Padella (o in alternativa un forno) per scaldare le tortillas
- Fornelli
- Grembiule: non è obbligatorio ma a me piace metterlo perché mi sento buffo. Indosso alle donne poi è pure sexy.
Cucinare
Eccoci qua. Facciamola a passi, così è più facile anche per voi che siete un po’ tardi.
1) Indossate il grembiule e tirate fuori tutti gli ingredienti. La seconda condizione non è obbligatoria ma tutti i cuochi dicono di farlo e io mi appecoro.
2) Sbucciate e tagliate la cipolla: attenzione, non fatela troppo fine, i pezzettoni ci stanno bene. Niente frullatore o tritatutto, dai, andate di coltello. Piangerete un pochino, se non volete che le vostre lagrime vadano sprecate pensate ai bambini sudanesi venduti come schiavi e al vincitore di Annecy 2009.
3) Prendete la pentola, metteteci un po’ d’olio (abbastanza da ungere il fondo, non esagerate, non dovete friggere), scaldatelo di brutto e poi metteteci tutta la carne. Giratela a fuoco vivo fin che non diventa tutta bella bruna, bella tostata. E’ un passo importante altrimenti la carne poi viene fuori tipo bollita e fa un po’ l’effetto Ciappi. Per fuoco vivo e olio caldo, intendo dire di prendere il fornello più grosso che avete e di metterlo al massimo.
4) Abbassate il fuoco e ficcate dentro tutti gli altri ingredienti, nell’ordine che vi pare. Cipolle, fagioli, pomodoro, spezie, sale, tutto dentro. No, le tortillas no. E la carne l’avete già messa, non ricordate? Beh, tutto dentro, mescolate e lasciate cuocere a fuoco medio basso per circa 40 minuti.Per la quantità di sale e di spezie, vi abbandono a voi stessi. Vi tocca assaggiare. E non fate i maschi alfa, suvvia: non esagerate col peperoncino che poi sembra che non sappia di niente e per mangiarlo vi tocca mettervi la cera fusa sulla lingua.
5) Durante la cottura ogni tanto girate e se il composto vi pare troppo asciutto (può succedere se non mi avete ascoltato come dovevate e avete preso carne troppo magra) dateci dentro di olio. Aggiungete acqua ogni tanto se si consuma troppo e rischia di bruciarsi. Potreste usare pure un coperchio per far consumare di meno, ma siccome non l’ho elencato nelle attrezzature la strategia vi è preclusa.
6) Quando sembra pronto, arriva il trucco magico: il chili deve riposare. Non ho mai capito bene quale sia il principio fisico-chimico alla base di questa alchimia, ma se spegnete il fuoco e fate riposare il piatto almeno dieci minuti e poi ci date ancora una scaldata, risulta più amalgamato e cremoso. Dirò di più: se siete previdenti e lo fate la sera prima e resistete alla tentazione di mangiarlo, il giorno dopo è migliore.
7) Ci siamo quasi. Quando giudicate la mistura pronta, lasciatela al caldo e passate alla tortillas. Se usate la padella, basta una rapida passata per scaldarla, ma capisco che sporcare una padella solo per quelle stupide focaccette di mais è una bella menata, allora potete anche metterle in forno. Occhio però che non si secchino troppo, altrimenti poi non riesci ad arrotolarle e ti si rompono in mano, e poi dici le parolacce. Ti conosco.
Mangiare, bere ed effetti collaterali
Se non avete voglia di sporcare troppe stoviglie vi basterà un cucchiaio di portata per servire, anzi, addirttura anche il cucchiaio di legno che avete già sporcato. Io però un piatto a testa ve lo suggerisco caldamente, morti di fame che non siete altro. Su, che intanto lava la lavapiatti. Ogni commensale metterà una quantità decente di chili in mezzo a una tortilla (a proprio gusto), la arrotolerà e mangerà con le mani. Occhio a non macchiarvi, questa sbobba tende a sfuggire dalle tortillas: ed ecco che un piatto capita a fagiolo.
Come accompagnamento bevereccio, trovo che il chili sia molto tollerante: io prediligo il vino rosso, magari leggero o addirittura frizzante (un Buttafuoco o una Bonarda, direi), ma mi pare evidente che i messicani lo bevano con la birra (anch’essa leggera e possibilmente frizzante). Non vedo niente di male a berlo anche col vino bianco (leggero e magari frizzante), anche se non ho mai sperimentato di persona. Per chi non beve alcolici, sono convinto che la Cocacola ci stia bene, basta che sia frizzante. Altrimenti, alas, anche l’acqua. Quella però non frizzante, dai. L’acqua gasata è malvagia.
Infine, sappiate quello che i libri di ricette non dicono mai. Il chili si digerisce bene, nonostante la cipolla, perché cuoce un bel po’. Tuttavia se lo mangiate la sera farete un bel po’ di puzzette durante la notte per la combinazione di carne e fagiuoli, e il giorno dopo probabilmente farete anche la popò un po’ molla. Non è nemmeno escluso che vi bruci un po’ il sederino. Ma non spaventatevi, ne varrà la pena.
Nota finale
Qualcuno nel chili ci mette anche i peperoni. Non io. Qualcun altro mescola la carte di manzo con un po’ di salsiccia. Non fa per me. Infine, c’è anche chi ci mette i genitori dei propri nemici tritati. Se fate i bravi, non credo di farlo.
(caso mai ve lo chiedeste, l’immagine Cocopazzo è (c) Golosino 2010. Amo quest’uomo)