Padania, 2001.
All’inizio del secolo lavoravo e vivevo a Milano, ma passavo quasi sempre il weekend in Liguria. Ero felicissimo di sgommare via dalla metropoli, ma il viaggio era un discreto sbattimento, tantopiù che spesso andavo in macchina e, soprattutto con la bella stagione, era inevitabile trovare traffico.
In una di queste occasioni, ero già in pianura e si andava a rilento, in quella situazione immediatamente prima della coda in cui le distanze tra le automobili si riducono e la velocità di crociera si stabilizza sui 60-80 km/h: in questi casi, è inutile cambiare corsia o provare a sorpassare, bisogna rassegnarsi e andare piano. Almeno, questo vale per chi ha una Ka, ma non per chi possiede una Ferrari: chi le compra, evidentemente, ritiene che nel prezzo siano compresi impunità per gli eccessi di velocità e diritto ad avere la strada libera (*). Dietro di me sbucò rombante un bolide rosso che chiese strada lampeggiando coi suoi potenti fari. Io, che sono paziente e tranquillo, mi tolsi di mezzi e feci (ah, ah, ho scritto “feci”!) strada. Ma io sono anche malvagio, ed ebbi una splendida idea. Mi misi dietro la Ferrari e attaccai anch’io a lampeggiare, fingendo di voler passare, come per dire “Che diamine! Siamo andando a 80 km/h! Io ho una macchina che può arrivare ai 140, questa velocità è intollerabile!”, e sono andato avanti così per non so quanto tempo. Ovviamente il comandamento di quel signore era “non avrai altra corsia al di fuori di quella di sinistra” e non si sognò di scostarsi, così io godetti a lungo immaginandomelo sbavare dalla rabbia perché qualcuno voleva sorpassarlo. Oh, magari non gliene fregava niente e ha ignorato il babbo di minchia sulla Ka che lampeggiava come un ossesso ridendo ad alta voce, ma mi permetto di nutrire forti dubbi a riguardo.
Alla fine la strada si liberò e il mio temporaneo amico riuscì a sfrecciare lontano. Lo salutai lampeggiando coi fari, e mi spostai nella corsia di destra, per fargli fare un’ultima sbavata. Sono soddisfazioni.
(*) Mi si conceda un’invettiva: trovo in generale le macchine sportive piuttosto volgari (e mi perdonino gli amici che ne possiedono una, non è nulla di personale, lo sapete bene), ma la Ferrari per me è il prototipo della macchina da spacciatore, da impreditorinculo arricchito o da manager cocainomane abbronzato che ha fatto i soldi sulla pelle dei dipendenti. Con buona pace del mito del design italiano.
Ho iniziato a studiare inglese in seconda elementare. A ripensarci, è stata una manovra non poco audace per una scuola di suore, ma la mia maestra in certe cose era abbastanza moderna, bisogna dirlo. Non ho mai capito se questo studio così precoce mi sia servito effettivamente, poiché il programma di quattro anni di scuola elementare è stato poi coperto entro la fine della seconda media, e il programma delle medie è stato sorpassato entro il primo quadrimestre della prima liceo dalla mia severissima (ancorché bravissima e tuttora molto amata dai suoi ex-allievi) insegnante al liceo. E’ però vero che iniziando presto a orecchiare la lingua d’Albione è possibile che sia stato facilitato in seguito.
Durante i quattro anni di studio, ho avuto due insegnanti, una in seconda e in terza e una in quarta e in quinta. Entrambe si chiamavano Rossana, ma la seconda voleva essere chiamata “Rox”. Secondo me le rodeva. In ogni caso, quello che ricordo esplicitamente di aver imparato alle elementari sull’inglese è quanto segue:
- In Inghilterra la gente fa mestieri strani, come il milkman. Io mi son sempre chiesto perché dovevano farsi portare il latte a casa e non potevano andarselo a comprare come tutto il resto.
- In Inghilterra c’è un tizio strano, il signor “Th”. L’insegnante aveva cercato di umanizzare e rendere simpatico il concetto del suono che si scrive con “th”, e insisteva con “la linguetta in mezzo ai denti”. Ok, va bene, altrimenti finisce che si impara a pronunziare l’articolo determinativo “de”, o addirittura “ze” come dicono i francesi, ma perché non dedicare altrettanta attenzione ad altri suoni non presenti in italiano, come la vocale di “man”, o il suono finale di “player”?
- A Natale in Inghilterra si dice Merry Christmas, si mangia il budino di fichi e si fa la recita di Natale. I più sfigati fanno le pecore, ma questo lo sapevamo già grazie ai Peanuts. Io ho fatto Babbo Natale rimpiazzando all’ultimo momento Mike che aveva più il phisique du role ma si è tirato indietro per fifa di palcoscenico. Bravo, Luca e cattivo, Mike.
- Come avrete intuito, l’inglese si parla solo in UK. USA, Irlanda e tantomeno Australia, Canada, Nuova Zelanda e tonnellate di nazioni minori non sono contemplate.
- La prima lezione, come si usa, ebbe come argomento “Come ti chiami? Mi chiamo Bongo”. L’insegnante fece fare il giro della classe e ognuno doveva chiedere al suo vicino il nome usando la formula “What’s your name? My name is Bongo”. Problema: nessuno aveva capito bene cosa dire, quindi le pronunzie erano le più disparate. La mia era “quozziorneim”, che probabilmente echeggiava la parola “quiz”.
- Similmente, quando si fanno i cori nel ripetere le parole, si dice “oltugheda”, che a me sembrava una spece di insalata. Mi immaginavo una ciotola di insalata e ridevo invece di ripetere le frasi. L’insalata fa ridere.
Vetsoll, folcs.
Martedì 6
Oggi ho saputo che ad Agosto faremo una partita di calcio tra maschi e femmine. Il portiere è Marco, la mia parte invece è di scartare. Il premio per chi vince è una torta-gelato e per chi perde dei ghiaccioli. Però la faremo nel giorno in cui ci saremo tutti.
Una giornata oltremodo interessante. Avevo, e ho ancora, un certo dono di sintesi: una serie di frasi secche danno un sacco di informazioni precise e puntuali: ci sarà una partita di calcio (“Ho saputo”: chissà chi l’ha deciso e ha ritenuto necessario informarmi a questo proposito!). Tale partita, secondo la più classica rivalità che si può avere a 8 anni o giù di lì, è tra maschi e femmine. L’unico ruolo predefinito è quello di Marco, che ha sempre voluto fare il portiere, anche se in effetti era più bravo a fare altre cose, mentre io finirò per “scartare”. Sono sempre stato poco capace a giocare a calcio, ma se c’è una skill in cui ero particolarmente incapace era quella del dribbling. Mah. La partita avrà persino un premio: una torta-gelato per il vincitore e persino il premio di consolazione per i perdenti, in un impeto di generosità. E infine, dico persino che la faremo più avanti, quando anche gli amici ancora assenti potranno far presenza (siamo all’inizio di luglio, non dimentichiamolo, alcuni probabilmente erano in vacanza altrove: non tutti avevano i nonni a disposizione per tenere i bambini!). Non credo di fare torto a nessuno se faccio uno spoiler e vi dico fin da subito che questa partita non verrà mai disputata.
7/7/82
Qua a Sassello mi diverto quando so cosa fare.
Il fatto è che a Sassello non sappiamo a cosa giocare. Abbiamo voluto costruire una capanna ma non eravamo dei bravi architetti. Però quando giochiamo è sempre bello.
Questa entry è piuttosto contraddittoria: mi annoio o meno? Dai miei ricordi, mi divertivo sempre un pacco, ma si sa che i ricordi tendono sempre ad abbellire la realtà. Ma il punto chiave non è questo: non è vero che non eravamo dei bravi architetti! E’ stato Igor a distruggere la capanna, e lui e la sua progenie per settantasette generazioni ne pagheranno lo scotto!
Questa documentazione non è affidabile. Sono turbato…
(ah, curioso che abbia cambiato il formato di data solo per questa giornata…)
Ho ricevuto la mia prima visita dal futuristico e nuovissimo motore di ricerca di Microsoft, il tanto discusso Bing.
La ricerca era “donne che trompano” (sic).
Fakt: Google, Yahoo o Microsoft, certe cose non cambiano mai.
Spinguinamento fresco fresco. Mi è capitato di pensare al processo che avviene quando ci si reca al cesso:
- Ti scappa la pipì/pupù/pepè
- Vai in bagno
- Fai quel che devi fare
- Ti dirigi al lavandino
- Apri il rubinetto
- Ti lavi le mani
- Chiudi il rubinetto
- Esci
- Il mondo ti sorride
C’è un baco dal punto di vista igienico, e non è molto evidente. Voi siete svegli e l’avete già trovato, ma io ci sono arrivato solo oggi: sì, il rubinetto. Lo stesso rubinetto che hai toccato con le mani contaminate da un sacco di liquami (fai anche un po’ schifo, eh!) viene di nuovo toccato quando lo chiudi, quindi re-esponendoti a virus, batteri, microbi e pure bacilli. Forse, pensandoci adesso, è questa la ragione per cui diversi bagni pubblici usano le fotocellule o l’azionamento dell’acqua a “pedale” (io ero convinto che fosse un modo per evitare sprechi di acqua!), ma comunque sono ancora l’eccezione, non la regola.
Per concludere: non c’è speranza. Moriremo tutti di malattie orribili.
Quando qualcuno richiede un po’ troppo dalla gentilezza altrui si usa apostrofarlo con “E poi, vuoi anche una fettina di culo?”. E’ una di quelle battute talmente logore che non appaiono più nemmeno battute, ma solo espressioni idiomatiche. Ma cosa significa “una fettina di culo”? Mi è stato suggerito che potrebbe richiamare il gesto di chi si taglia una fetta dalle proprie chiappe, perché donare la propria carne è il gesto di generosità suprema. A parte il fatto che mi fa un po’ schifino, mi pare comunque un concetto un po’ troppo contorto. Altra ipotesi è che sia un invito a portare una fettina di culatello, il più pregiato dei salumi, ma non ne sono convinto. Insomma, quando volete una fettina di culo, cosa volete?
(il primo che posta l’immagine della “fettina di culo” che girava tempo fa sarà stigmatizzato a vita!)