Breve lista incompleta di cose a cui non posso proprio resistere
Calpestare le foglie secche per terra in autunno per sentire il “croc!”. O meglio, calibrare i miei passi per calpestare le foglie che sembrano più scrocchiarelle.
Fare le boccacce davanti allo specchio, perlomeno quando son da solo. Ma in ascensore in un paio di occasioni l’ho scampata bella quando si sono aperte le porte!
Mangiare un pezzo di focaccia quando la compro calda, anche se ho intenzione di tenerla per dopo o addirittura di surgelarla per la colazione.
Guardare nel fazzoletto dopo essermi soffiato il naso. Bleah, sì, ce ne faremo una ragione.
Dire ad alta voce “whooosh!” quando sorpasso qualcuno in motoretta. Sì, immaginate un fesso che scorrazza in motoretta e sottolinea ad alta voce ogni sua prodezza.
Chiamare, in ambito informatico, “servizietto” qualunque cosa sia un “service” (quindi un web service o un service di Windows). Questa è contagiosa: nel mio ufficio, anche nelle riunioni più serie ormai si parla di servizietti. E così passerò alla storia.
E’ passato più tempo che da Terminator a Terminator II, ma il sequel di questo è arrivato! Gioite!
(Regole: si cambia una sola lettera da un titolo e si rielabora la trama)
Granma
Una nonna cambia sesso ogni volta che si leva la dentiera
Cocchi di gatto
Tre ladre bellissime scappano sempre dal luogo del misfatto con un calesse trainato dai felini
Due Cantagenitori
La storia della piccola Ylenia e delle ragioni che l’hanno portata a scappare dai due molesti genitori canterini
Hello Spunk!
Una ragazza saluta sempre con gioia le eiaculazioni dei suoi numerosi partner
Cara, dolce Kyoto
Atto d’amore verso la vecchia capitale del giappone, lungo 96 puntate. Du’ palle.
Teenage Mutant Ninja Turdles
avventure di quattro merde addestrate a combattere da un topo di fogna
Lazy Oscar
La bella erede dalla famiglia de Jarjayes vince un ambito premio cinematrografico senza manco sbattersi troppo
Bora e mon
A Trieste, c’è vento e c’è figa.
I gotti di Chattanooga
Nel Tennesse, sotto il sole che ti spacca in quattro, è raro vedere un bicchiere pieno a lungo.
Dopaeom
Gatto atleta venuto dallo spazio fa ricorso a steroidi e viene squalificato alle Astrolimpiadi
E’ quasi ragia Johnny
Un giovane esper giapponese usa i suoi poteri per pulire i pennelli, con esiti alterni.
Porro
Nelle polverose cittadine del Messico, un vendicatore mascherato assicura giustizia. Egli è come la cipolla, ma più delicato.
Orange Toad
Un ragazzo, dopo aver leccato un rospo arancione dell’amazzonia, crede di sviluppare poteri magici e di essere al centro di un triangolo amoroso, ma è tutto un suo viaggio.
Magica magica eri
…e ora non lo sei più!
Tre fumetti franciosi
Bludzee di Lewis Trondheim: Trondheim, mon amour, non è più prolifico come una volta, ma la qualità dei suoi lavori non è scemata. Bludzee è un fumetto assurdo: parte come una specie di Garfield, con un gatto protagonista a cui piace mangiare le crocchette, ma presto devia verso la fantascienza, il thriller, e sopratttutto verso un’ultraviolenza che sfiora il sadismo (del tipo, il pinguino che offre centinaia di modi di uccidere i nemici nessuno dei quali dura meno di 24 ore di sofferenza). Geniale, come sempre.
Le viandeir de Polpette di Julien Neel e Olivier Milhaud: Julien Neel è un altro dei miei grandi amori francesi. L’autore di Lou!, in questo caso, si limita ai disegni di una storia molto particolare e molto intrigante. In un mondo pseudo-medievale, forse con qualche sfumatura fantasy, la storia degli avventori di una locanda nella foresta. Molto lavoro sui personaggi e sulle relazioni tra di loro, disegni puffolosi ma non leziosi e il piccolo bonus di un sacco di ricette interessanti.
Un anno di Jiro Tanuguchi e Jean David Morvan: ok, ho barato, non è proprio tutto francese, in quanto disegnato da Taniguchi (autore amatissimo oltralpe), ma è più vicino al modo di fare fumetti europeo che a quello nipponico. Un anno è il primo di quattro volumi che raccontano la tenerissima storia di una ragazza un po’ ritardata che scopre il mondo, rendendosi conto in qualche modo della sua condizione. Che volete farci, sono un tenerone!
Tre serie tv recuperate dal passato
Mad Men: per la critica, in generale, è LA serie degli ultimi anni. In effetti, la qualità produttiva è altissima, e superato lo scoglio della prima stagione, in cui non succede pressoché nulla se non introdurre i personaggi, diventa anche molto appassionante. Personalmente a me ha colpito come tutti i personaggi siano umani e un po’ stronzi, e sia impossibile ammirarli o tifare veramente per loro, ma contemporaneamente si prova pietà ed empatia. Non è una cosa da poco, e racconta molto di tutti noi.
Gilmore Girls (“Una mamma per amica”): beh, a dire il vero l’ho iniziato nel 2010, ma son sei stagioni, c’è voluto il suo tempo. Forse agli antipodi rispetto a Mad Men, Gilmore Girls è una specie di favola, con personaggi pensati per affezionarsi, dialoghi veloci e pungenti, location carina e pulitissima, persino una specie di matrigna e una sorta di burbero principe azzurro. Si guarda con grandissimo piacere, ma si dimentica in fretta.
Community: mannaggia alle serie come Community che ci mettono un po’ a decollare! Mi piacerebbe un sacco farla vedere agli amici, ma dover dire “ci mette 10 puntate prima di partire” scoraggia chiunque. Peccato perché Community è una sit com che da un lato ripropone tutti i cardini del genere (il concetto di “famiglia”, anche se esteso a un gruppo di studio all’università), dall’altro fa il miglior lavoro di scrittura dei personaggi e delle relazioni tra di essi mai visto nella storia delle sit-com. Sono pronto a giurare che tra qualche anno la bibbia di questa serie sarà studiata nelle scuole di sceneggiatura. Ah, ed è anche un sacco divertente e strizza l’occhio a chi conosce il mondo dei telefilm in un sacco di modi.
Tre madri
Maria
La madre di Dimaco
La madre di Tito
(cri…cri…cri…)
Tre lungometraggi di animazione
Il re leone di Roger Allers, Rob Minkoff: sì, quel Re Leone. Forse l’avevo visto tanti anni fa, ma non lo ricordavo, e ho colto l’occasione di rivederlo al cinema, purtroppo in 3d, con la mia nipotina Silvia. E’ un film magnifico. E’ banale ribadire l’aggettivo “shakespeariano” che usano tutti, ma non si può farne a meno di fronte a una storia oggettivamente potente, anche per occhi adulti. Qualche leziosità, ma che ci vuoi fare, è la Disney.
Tatsumi di Eric Khoo: si tratta di una biopic di Yoshihiro Tatsumi, celebre fumettista giapponese inventore dei gekiga (manga per adulti, non nel senso di “con tette e culi” ma nel senso di “con temi maturi”), inframmezzata con racconti brevi tratti dall’opera di Tatsumi. L’animazione un po’ spartana si sposa benissimo con la durezza dei temi e con la storia di un Giappone che vive il suo boom nel dopoguerra anche dal punto di vista dei fumetti. Visto ad Annecy fuori concorso, applausi infiniti.
Il gatto del rabbino di Joan Sfar e Antoine Delesvaux: tratto dal bellissimo fumetto omonimo di Sfar stesso. Io a Sfar ci voglio un sacco di bene perché è amico di Trondheim e perché è quasi altrettanto eclettico, e attendevo molto questo film. In un curiosissimo 3D (si fa una sorta di messa in scena a pannelli senza spessore) racconta una storia di popoli, religioni, avventura, amore in un’Africa più leggendaria che mai ma vista con l’amore di chi l’ha conosciuta. Un po’ troppo lenta la prima parte (accanto a me un tizio si è messo anche a russare!), ma la seconda metà è a dir poco strepitosa. Ha vinto il Cristallo come miglior film ad Annecy 2011.
(sì, due su tre li ho visti ad Annecy, ma che se passo una settimana a guardare cartoni animati roba buona ne vedrò, e poi nel 2011 non sono manco usciti film Pixar!)
Bonus: un fumetto americano
Io le pago di Chester Brown: Chester Brown, quando fa autobiografia, si mette a nudo in modo così spietato da sembrare quasi masochista. In questo volume analizza le sue esperienze con le prostitute, partendo dal fatto razionale che egli non desidera relazioni esclusive con tutti i problemi che si portan dietro, ma sente la mancanza del sesso. Da questo punto di partenza si dilunga sulla legislazione sul meretricio e sui dettagli del rapporto tra le prostitute e i clienti, e divaga ulteriormente sui vari tipi di relazioni tra esseri umani, tra cui la grande domanda che in tanti ci siamo posti: “Ma davvero l’amore romantico è la forma di amore più importante? O è Hollywood ad avercelo inculcato?”. A tratti agghiacciante nel suo lucido cinismo, ma imperdibile.
Forza con quella chitarra! Sta iniziando l’intervallo! Plin, plinplinplin!
Signori, era anni che aspettavate! Le foto di Sassello sotto la Nevicata del Secolo.
E dov’è il calcinculo, per Plutone?
Si sappia che qua ho imparato cosa diamine è un “blocco”.
Il tirotto di patate è la vera delizia di Sassello, altro che gli amaretti!
In questo campo c’è stata l’unica prodezza sportiva della mia esistenza. Ne ho già parlato?
Eccoci quasi a casa…
Il fotografo si scusa di non aver fotografato più da vicino, ma la strada era impercorribile. Ma io so che tutti i lettori sono lieti di poter finalmente visualizzare il contesto dei miei racconti…vero?
Sulla sinistra, la fontanella. Non la vedete? E’ lì, sotto un metro di neve.
Questo campo è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Il pickup è del Sindaco dell’Unesco.
E ancora un enorme grazie a Marco P. per le foto, e non solo per quelle
Oggi fa freddo in tutta Italia. Ma, in particolare, fa freddo in un paese ben noto ai miei lettori. Guardate qui l’apertura del Secolo XIX:
No. Non a Monza, siete scemi? E nemmeno a Savona. Ad Albisola? Quasi… sì, ieri a Sassello c’erano -22°. Il trattore di Baciccia non parte, e il ciliegio sotto casa di Arturo si è spaccato dal freddo. Le mucche nelle stalle muggiscono dal freddo, nemmeno stando vicine riescono a scladarsi. Il Rio Sbruggia si è ghiacciato, e i gamberi di fiume che lo popolano sono surgelati, pronti per finire in tavola o per un gustoso ghiacciolo. La gente mangia i gelati di Gina per riscaldarsi, e il calcinculo ai giardinetti, venuto a gennaio per l’occasione, regala il vin brulé a chi prende il fiocco invece del solito giro gratis. Ma un gruppo di ragazzini, nella remota frazione del Piano, non si scoraggia e gioca lo stesso a nascondino e a pallone tutto il giorno, fermandosi solo per far merenda e guardare i cartoni in TV.
La mia memoria è cristallizzata come se a Sassello ci fossero -22° ininterrottamente da trent’anni.
(un grazie a Sk. per lo spunto)
Tre film di zombie
Day of the dead di George Romero: ma come, il classico film di George Romero? Parli sempre di film di zombie e ti sei visto solo l’anno scorso uno dei classiconi del genere? Eeeeh, così è successo. Devo dire, che nella trilogia classica, il mio preferito rimane l’Alba, ma questo ha un che di disperato, di cupo e di crepuscolare che è assente nel film precedente e che si adatta all’estremo splatter. In ogni caso, un film straordinario.
Resident Evil (la saga), diciamo di Paul Anderson: mai giuocato al giuoco, ma mi sbilancio nel dire che si tratta degli unici film decenti tratti da videogame. Il primo è il migliore (buffamente, la parte più terrorizzante è quella pre-zombie), il secondo il peggiore (sì, diciamo pure che è proprio brutto, il secondo!), ma la saga ha una sua consistenza pur avendo ambientazioni così differenti, e anche il richiamo alle tecniche di sceneggiatura dei videogame spesso funziona bene. E poi c’è Milla Jovovich, che è bravissima.
Dead Snow di Tommy Wirkola: e poi qualcosa fuori dagli schemi. Zombi nazisti nella neve in Norvegia! Yuppieeee! In realtà, una volta tolta la premessa, il film deve molto a Braindead di Peter Jackson e, soprattutto, a Evil dead di Sam Raimi, che arriva a citare a tratti in modo quasi letterale, e lo svolgimento è abbastanza canonico. Però ci si diverte molto, l’ambientazione innevata è efficace e gli zombie nazisti, in sostanza, rullano.
Tre fumetti italiani
Gatto Mondadory e il telefonino fatato, di Dr. Pira: dite la verità, non vi siete già innamorati di questo fumetto solo dal titolo, senza manco sapere cosa diamine sia? Dr. Pira è colui che Daw, autore di A come Ignoranza, ritiene il suo maestro, ma in effetti non hanno moltissimo in comune: Dr. Pira non sa proprio disegnare, e nemmeno fa finta, però sa costruire le tavole come nessun altro e mettere in piedi situazioni assurde e surreali ma con una loro logica interna. E fa anche un sacco ridere. Gatto Mondadory è un fumetto geniale, non c’è altro aggettivo.
Trama, di Ratigher: difficilissimo parlare di Trama, è una di quelle opere fatte tutte di sensazioni, di ombre, di inquietudini. Parla, molto vagamente, di due ragazzotti che vengono presi in ostaggio da un serial killer deforme, ma non si sviluppa come potrebbe fare un albo di Dylan Dog o un film thriller. Se è un horror, è originalissimo, ma non mi sento di definirlo tale. Insomma, dovete fidarvi di me o dei tanti recensori che l’hanno decretato fumetto italiano dell’anno. Leggetelo.
Post Coitum, di Makkox: “Ti è piaciuto” “Beh…” “Non era una domanda”. La follia degli anni del tardo berlusconismo raccontata da Makkox, che dopo mille tentativi tra autobiografia, riviste, sperimentalismi web, ha trovato la sua dimensione migliore nella buona, vecchia satira, ospitato dal Post di Luca Sofri. La splendida edizione è corredata da commenti dell’autore (divertenti anch’essi) su che diamine succedeva, perché a volte, anche solo a pochi mesi di distanza, ci si chiede: “Ma davvero è successo questo? Abbiamo raggiunto questi livelli?”. Eh sì. E magari il peggio deve ancora arrivare. Dimenticatevi Forattini, qui si ride in modo amaro, e dimenticatevi Vauro e Vincino, Makkox sa disegnare.
Tre libri che probabilmente avete letto
Divina Commedia – Purgatorio, di Dante Alighieri: sì, proprio la Divina Commedia, quella là. Quando ho compiuto 35 anni, ho chiesto in regalo l’intera Commedia, approfittando del “mezzo del cammin di nostra vita”. Letto l’Inferno a 35 anni e il Purgatorio a 36, quest’anno leggerò il Paradiso. Il Purgatorio mi è piaciuto anche più dell’Inferno, in generale, come tono e per la dimensione temporale meno votata all’eterno, quindi più vicina all’umano. Epperò, quando, alla fine, c’è quell’adagio con la sfilata allegorica del Carro di Cristo, prende una sensazione allo stomaco dovuta alla potenza della poesia. E lo dice un senzaddio come me. Leggetevi la Divina Commedia con un commento non troppo pedante, ne uscirete più ricchi.
La luna e i falò, di Cesare Pavese: altra mia grossa lacuna era Pavese. Colmata parzialmente col suo libro migliore, ne è valsa la pena. Io sono cresciuto in provincia, ma in una provincia di mare e abbastanza popolosa, eppure, per l’esperienza in campagna a Sassello da piccolo e dai racconti dei parenti piemontesi, ho avuto l’illusione di capire la provincia piemontese e i suoi abitanti che costituiscono il cardine del romanzo. O anzi, forse la grandezza del romanzo è riuscire a trasmettere un mondo scomparso da tempo anche a chi non ha nulla a che fare con esso. Una scrittura potentissima, un racconto dolente e terribile.
Milano Calibro 9, di Giorgio Scerbanenco: ho scoperto Scerbanenco nel 2010, e per un po’ è stato l’autore del quale prendevo sempre un libro quando facevo la spesa di libri, come è stato, in tempi felici, per Kurt Vonnegut (prima di leggerne tutto l’esistente). Tra i vari libri che ho letto, direi che Milano Calibro 9 sia il migliore. Nei racconti che compongono questa raccolta, quasi tutti ambientati a Milano, la prosa asciutta, incisiva e sporca dello scrittore si adatta benissimo all’atmosfera nebbiosa milanese (erano tempi in cui a Milano c’era la nebbia!), alla sub-umanità di delinquenti e sconfitti, allo squallore degli ambienti e alla violenza delle situazioni. Ci si ricorda l’impressione del tutto, più che racconti specifici: in questo senso, è un’opera unitaria.
Tre ristoranti genovesi
Maxela, Vico inferiore del Ferro: non è probabilmente il miglior ristorante di carne genovese, ed è noto che Genova non è la miglior città del mondo per mangiare carne, ma mi piace questo posto. Mi piace il banco macelleria in cui puoi vedere i tagli, l’ambiente rustico ben incastrato nei vicoli genovesi, la carta dei vini scarna ma di buona qualità e a prezzi onesti e, non ultimo, le cameriere carine e simpatiche senza essere leziose. Io finisco sempre per prendere la Fiorentina, ma anche la grigliatona o i piatti più elaborati meritano. Applausi alle patatine tagliate come chips.
Le Tre Caravelle, al Porto Antico: il ristorante a cui ho cenato più spesso nel 2011, di gran lunga (non ho dati precisi, ma suppongo almeno 20 o 30 volte), e non perché sia particolarmente buono. Gli è, semplicemente, che è l’unico posto papabile vicino allo Space Cinema, che, a sua volta, è l’unico cinema che fa regolarmente spettacoli intorno alle 18.30. Io e la mia cricca usciamo dal lavoro, andiamo al cinema e poi ci avviamo a cena, e siamo troppo pigri/affamati per prendere i mezzi e andare altrove. Beh, è una pizzeria di media qualità, ne conosco ormai il menu a memoria e spesso prendo la pizza Ingorda (mozzarella, gorgonzola, salciccia, bruste, pancetta). Prezzi medi, non male la scelta di birre (per una pizzeria), i coltelli tagliano male.
Ostaja (ex Guglie), in via San Vincenzo: il locale da genovese, in tutti i sensi. Genova è strapiena di trattorie tipiche, ma troppo spesso i prezzi sono da ristorante e la qualità da osteria (se non peggio). Certo, c’è Maria la zozza, che di recente è anche migliorata come igiene, ma io trovo che questo localino in via San Vincenzo, a due passi dalla stazione Brignole, sia ideale. Vende da asporto le tipiche cose da gastronomia genovese: farinata, torte di verdura, frittelle di baccalà e così via, ma permette anche di fermarsi su dei bei tavoloni di marmo e mangiare, in aggiunta al menu da asporto, altri piatti della genovesità: minestrone, trofie e gnocchi al pesto, acciughe fritte. Si spende poco e si mangia bene.