Qualche anno fa Daniel Pennac (che, tra parentesi, riconosco essere bravo ma terribilmente antipatico e supponente) stilò un decalogo sui diritti dei lettori, un’iniziativa per rendere la lettura un’attività meno “polverosa” e accademica. Uno di tali diritti riguardava il “diritto di non finire un libro”, come per dire che se il libro fa cagare, non vi mangia nessuno se lo mollate a metà. Ecco, io confesso che qualche volta ho esercitato questo privilegio, ma con terribili sensi di colpa. Innanzitutto c’è il fattore economico: al ristorante, io seguo la filosofia di “io pago, io mangio”, cioè mangio tutto quello che ho ordinato anche se non mi piace perché soffro troppo ad abbandonare del cibo pagato caro (a casa non mi capita mai perché mi cucino quello che mi piace, son mica scemo!). Per i libri, la situazione è simile: “io pago, io leggo”. Secondariamente, sono convinto che la lettura di qualunque libro, per quanto banale, sciatto e scritto male, accresca le conoscenze e renda le persone migliori. Con l’eccezione di Moccia. C’è un limite a tutto.
Ripensando quindi ai libri che ho abbandonato (almeno temporaneamente, chissà che non mi capiti di riprenderli in mano!) non mi vengono in mente molti titoli. Eccone qualcuno.
L’idiota di Fedor Dostojevskij: io eDostojevskij non siamo mai andati particolarmente d’accordo. Ho letto due volte Delitto e castigo ma non mi ha lasciato praticamente nulla, almeno a livello conscio. Sì, un tipo ammazza una vecchietta e poi si sente in colpa. Per settecento pagine?!? E pensare che l’ho riletto appunto perché della prima lettura non ricordavo niente e la cosa mi infastidiva… L’idiota l’ho provato all’inizio del 2006 ma, arrivato a metà, mi son reso conto che non solo stavo arrancando, ma che continuavo a confondere i personaggi e non ricordavo cosa avessero fatto in precedenza, sintomo del fatto che non stavo capendo una ceppa e che il libro non mi stava dicendo nulla. Ho deciso quindi di lasciarlo, ma secondo me prima o poi io e Fedor riusciremo a trovare un accordo.
Il passaggio smeraldo, primo libro della Pentalogia del Prisma di Dark Sun, di Troy Denning: da giovane, credo di averne già parlato, mi piaceva il fantasy, e leggevo un pacco di romanzi del genere. Qualcosa di decente lo si poteva trovare qua e là, ma nel complesso la quantità di spazzatura che mi sono sciroppato è impressionante. Probabilmente questo libro è stato l’apice, era talmente scemo che, per fortuna, son rinsavito e ho smesso di dedicarmi a questo tipo di letteratura. Non tutto il male vien per nuocere.
Un amore di Swann di Marcel Proust: ancora un classico, ma su questo ho una buona scusa. Tra la quarta e la quinta liceo, il mio professore di italiano diede alla classe una lista spaventosa di libri da leggere durante l’estate in modo da prepararsi allo studio del Novecento, in Italia e all’Estero. Saranno stati 30-40 libri, comprendenti mostri come l’Ulisse di Joyce o L’uomo senza qualità di Musil o l’opera omnia (o quasi) di Kafka, e porcate come Il piacere di D’Annunzio o I Malavoglia di Verga (lupini!). In questo elenco, c’era anche la lettura di un romanzo a scelta della Recherche di Prouse, e io a caso presi Um amore di Swann. Come avrete intuito, non ce l’ho fatta, ma per un diciottenne credo che sia quasi fisiologico non riuscire a digerire Proust. Affrontare questo autore è invece adesso uno dei miei prossimi obiettivi, anche perché la fenomenologia del ricordo, come forse avrete intuito leggendo questo blog, è uno degli argomenti che più mi stimolano.
The Essential Howard the duck di Steve Gerber e Val Mayerik: persino un fumetto! Gli Essential, per chi non lo sapesse, non sono riassunti, ma sono volumi enormi su carta economica che ristampano vecchi fumetti Marvel. Howard the duck è un fumetto culto degli anni ’70, da cui hanno tratto il controverso film (molti lo odiano, diversi lo amano, io non l’ho visto) e che parla di un papero che fuma il sigaro e si candida alla presidenza degli Stati Uniti, una sorta di versione per adulti del mondo Disneyano. Eppure, complice anche la lunghezza, la ripetitività e comunque l’abitudine a leggere fumetti per adulti con un grado di maturità ben superiore di qualunque cosa possa mai uscire dalla Marvel, me l’han fatto venire a noia. Ahimé.
Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov: un altro russo, e tre volte ci ho provato, diamine! Ho perso il conto delle persone, anche affidabili, che mi hanno tessuto le lodi di questo libro, raccontandomi di quanto fosse meraviglioso, quindi ho voluto insistere. Niente da fare, c’è qualcosa, ne Il Maestro e Margherita, che me lo rende non-interessante. Dopo poche decine di pagine, regolarmente, perdo interesse, lo leggo sempre di meno e finisco per mollarlo. Non credo ci proverò più.
Fisica, volume I di Richard Feynman: anche un saggio scientifico in questo elenco, ma ho una buona scusa. Il testo di Feynman è straordinario, è interessantissimo e propone spesso visioni “laterali” a molti aspetti della fisica di base che la rendono viva e stimolante. Il problema, però, sta nell’edizione che ho preso: è bilingue, col testo originale e a fronte quello italiano a lato, e brossurata. Il libro quindi diventa larghissimo e scomodissimo da leggere, soprattutto per chi, come me, legge soprattutto a letto. Inoltre la traduzione italiana è pessima e priva di qualunque revisione. Non so come una casa editrice come la Zanichelli possa pubblicare un libro con scritto sistematicamente “perchè” al posto di “perché”. Scrissi anche per protestare, e mi risposero che “era l’unico modo per pubblicarlo, e comunque c’è il testo a fronte”. E allora me lo compro in inglese!
Gli indifferenti di Alberto Moravia: sarebbe stato un libro del lotto “estate tra la quarta e la quinta”, ma a quei tempi non ci pensai nemmeno. Lo affrontai invece pochi anni fa, una volta che ero rimasto senza nulla da leggere e me lo ritrovai tra le mani. Quello che mi rese difficilissima la lettura, e alla fine me la fece abbandonare, era il fastidio per quello che accadeva al protagonista. Succedeva infatti che gli capitassero una serie di situazioni terribilmente imbarazzanti; per l’empatia che è inevitabile provare col personaggio principale, non potevo fare a meno di sentirmi in imbarazzo io stesso (“No! Non voglio leggere questo!”), e la cosa mi infastidiva terribilmente, tanto da spingermi alla resa.
Insomnia di Stephen King: in generale King mi piace. Ha i suoi difetti (alla fine il punto chiave dei suoi romanzi è spesso lo stesso – la distruzione di una famiglia o, in senso più esteso, della società -, e nei finali di solito l’autore non sa come risolvere le situazioni e finisce per far esplodere tutto), ma è un grande narratore, e non è vero che Clive Barker è più bravo di lui. Però Insomnia è uno dei suoi libri proprio riusciti male: noioso, stupidino, non porta da nessuna parte. Almeno, fino alla parte in cui sono arrivato (tre quarti del libro); visto che i finali sono di solito la parte peggiore di King, non mi pento particolarmente di averlo mollato.