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Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Milena

Alassio, 1984. Andava di moda un simpatico scherzetto.

-Sai chi è Milena?
-No.
(pugno nelle balle del malcapitato)
-E’ quella che ti castra e che va in giro con una balena.

Vi prego, trovatemi il genio che ha inventato questa gag.

Traumi infantili
Io so molto poco di psicologia, direi sostanzialmente quello che quasi ognuno sa per sentito dire. In quinta liceo ho letto un estratto da "L’interpretazione dei sogni" ma non ricordo quasi niente. So cos’è un lapsus freudiano, so più o meno cosa sia un Edipo, so per vie traverse che esporre su un elmetto il simbolo della pace e accanto la frase "Born to kill" esprime un concetto junghiano. Non so quindi fino a che livello nelle mie turbe della personalità possano aver inciso alcuni traumi infantili, in particolare quelli che non ricordo, e in particolare lo shock del bambino brutto sul passeggino.

Pare che io, appena nato, fossi straordinariamente brutto. Anche adesso non mi considero canonicamente "bello" ma, sebbene la mia vocina interna più incline all’autodistruzione continui a suggerirmelo, nemmeno propriamente "brutto". Tuttavia,le leggende sulla mia bruttezza da neonato si sprecano. Io ritengo che tutti i bambini in fasce siano sgradevoli da vedere: quella testa enorme, il viso deformato dal pianto, la crapa pelata li rendono quasi una grottesca caricatura di un essere umano. Ma io ero peggio. Dicono che zio Attilio a vedermi abbia esclamato "Mamma mia quant’è brutto!" e che mia mamma tenendomi affettuosamente in braccio dicesse "Che carino il mio scimmiottino".
L’apice di questa storia però è stato raggiunto in un aneddoto che mi limito a riferire così come l’ho sentito. Un giorno una commessa del negozio di mia nonna, tal Antonella, mi portò a fare un giro col passeggino per il Budello (il caruggio lungo e stretto che attraversa tutto il centro storico di Alassio). Ebbene, la leggenda vuole che una signora abbia ritenuto opportuno fermare per strada Antonella per dirle quando fosse brutto quel bambino che lei stava portando a passeggio.

Ora, ragionando da adulto, mi pare estremamente improbabile che esista al mondo una persona così rincoglionita da andare a insultare senza ragione una mamma (o presunta tale) sconosciuta giudicando i tratti somatici del suo bambino. Almeno, io che tutto sommato sono ottimista e ho fiducia nell’umanità, vorrei credere che si tratti di un mito deformato dagli anni e dall’usura dei racconti (è sempre stato un piatto forte delle riunioni di famiglia!), ma a volte sospetto che il trauma si sia infilato nelle pieghe più nascoste della mia mente, e che almeno parte della mia atavica insicurezza possa nascere da quella vecchiaccia e la sua bocca larga. Maledetta signora sconosciuta, è tutta colpa tua.

Giulio, o della congestione

Chi, da giovane, non ha mai sofferto quelle due, tre ore in spiaggia a morire di caldo prima che la focaccia rapidamente ingurgitata per pranzo potesse essere dichiarata ufficialmente digerita? Già, è lo spettro che pare terrorizzare le mamme italiane, la temutissima congestione. Personalmente non ho mai conosciuto nessuno che sia stato colpito da questo male, se non la mia amica Sara che però se l’è beccata bevendo acqua dal frigorifero. C’è gente che annega in un bicchier d’acqua, ma per fortuna lei non è una di queste, e la nana in questione è ancora a far danni nella sua adorata Lombardia.

Giulio era un torinese (abitante in corso Unione Sovietica, come ci teneva a ribadire) in vacanza ad Alassio. L’ho conosciuto nell’estate tra la terza e la quarta elementare; era di un anno e un mese più anziano di me, ma molto più rincoglionito. La sua grande passione erano le piste con le biglie, a cui dedicava gran parte delle sue giornate in spiaggia. Individuato uno spiazzo sufficientemente ampio, tracciava a grandi linee la pista con una mano. Accanto ad essa iniziava scavare una buca stretta e profonda che chiamava pozzo artesiano, da cui estraeva sabbia bagnata utile per costruire gli ostacoli e le mura del tracciato della pista. Esistevano poi diverse varianti su come giocare a biglie, ma lui non ne vedeva altre che "buca torni dov’eri" o "fuori torni dov’eri", frasi che ripeteva ossessivamente centinaia di volte al giorno. Le varianti tipo "parabolica" o "fuori uno fuori due fuori tre" non le voleva nemmeno sentir nominare.

Ma non è la sua piccola grande passione per le biglie che mi è rimasta più impressa di Giulio. Ciò che giganteggia nei miei ricordi è l’immagine di lui e sua madre che prendono un panino e della frutta, entrano in acqua, proseguono finché l’acqua non supera i loro stomaci, e a questo punto attaccano a banchettare. "E’ proprio buono questo panino al prosciutto, ne?". Era la loro ricetta persona contro la congestione: ritenevano, non so sulla base di quale diceria o teoria (pseudo)scientifica, che facendo così lo stomaco si abituasse al freddo dell’acqua e si potesse fare il bagno subito dopo.
Giulio e sua mamma non hanno mai avuto una congestione. Un sondaggista di Forza Italia potrebbe trarre la conclusione che avevano ragione.

La festa delle elementari

Ho un ricordo abbastanza vivo delle feste che si tenevano alle elementari. Mi pareva che ce ne fossero tante, ma ho scoperto solo in seguito che in realtà mi invitavano ad una piccola parte di esse dato che, da bambino, pare che io stessi sui marroni un po’ a tutti. Avranno avuto le loro buone ragioni.

Uno degli episodi più fenomenali è avvenuto alla festa di Alessandro M.. il quale si era messo alla porta e controllava che tutti gli invitati portassero un regalo. Chi non portava il regalo, non era ammesso alla festa. Non ho mai capito se Alessandro fosse particolarmente avanti e avesse già capito come funziona questo cinico mondo, oppure se fosse semplicemente un po’ tardo e non capisse i principi basilari dell’educazione.

Un altro meraviglioso episodio in una festa, che ha segnato anni e anni della mia vita, è avvenuto quando, un pochino più grandicelli, alla festa di Cristina P., si tenne il seguente dialogo.

Cesare R: Io so cosa vuol dire scopare!
Tutti gli altri: Sì, certo, significa strisciare la scopa sul pavimento per raccogliere polvere, briciole o altri residui che non si desidera rimangano lì
Cesare R: No, significa mettere il cazzo dentro la figa (scusate il francese NdR)
Tutti gli altri (a cui sfuggiva il vantaggio di un’operazione così astrusa ma che non volevano apparire minchioni): Oooooh!
(momento di silenzio)
Enrico C: E voi sapete cosa vuol dire "pettinare"?
Tout le monde (che non osava più azzardare previsioni. Forse era mettere il ginocchio nell’ascella?): (silenzio)
Enrico C: Lo stesso di scopare!

Ho passato quindi anni e anni della mia esistenza a credere che le espressioni "scopare" e "pettinare" fossero sostanzialmente intercambiabili. Tuttora mi chiedo da dove Enrico C. abbia tirato fuori quell’idea: una mia ipotesi è che avesse orecchiato l’espressione petting e l’avesse "normalizzata" in pettinare.

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