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Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Ehi, guardate! Sono morto!

Da piccolo, come tutti i bambini, ero lieto che l’attenzione degli adulti fosse diretta a me. Altri bimbi, per ottenere questo scopo, spaccano la casa o picchiano i fratellini mentre io, che ero tranquillo ma ero anche un ottimo osservatore, mi ero rivolto a vie più oblique. Notavo infatti che un grosso magnete per l’attenzione dei grandi era il telegiornale: a casa mia se ne guardavano sempre due, sia all’ora di pranzo che a cena. La mia deduzione era quindi che dovevo finire sul telegiornale. Ma come? Anche qui non era difficile rispondere: notavo che nel tiggì c’era un’insistenza quasi morbosa nel parlare di omicidi, stragi e delitti. Quindi il gioco era fatto, basta farsi ammazzare e finisco in televisione! Chiesi anche conferma:
Mamma, se mi ammazzano finisco sul telegiornale?
– Probabilmente sì.
Mi bastava. Poi mi resi conto di una sbavatura nel mio astuto piano…

Grandi scoperte

Sassello, estate 1980.

Simone G: Blah blah blah cazzo blah blah blah
Luchino Ingenuino: Che cos’è il cazzo?
Tout le monde: Ah, ah, ah! Luca non sa cos’è il cazzo!
Marco P: E’ quello che hai lì (indicando l’oggetto della discussione).
Luchino ora un pochino meno Inguenuino: Ah.

Da allora ho imparato a far finta di sapere il significato delle parolacce e a cercare di dedurle dal contesto, e al limite poi indagare con discrezione in seguito. Si tratta di una condotta che viene spesso utile in questa cinica, ipocrita vita.

Compagni di merendine

Mi son reso conto che molti dei miei amici si meravigliano del fatto che io ricordi i nomi dei miei compagni di classe delle elementari. Forse perché sono cresciuto in una cittadina dove tutte le persone della stessa età si conoscono almeno di vista, ma a mia volta io mi stupisco di coloro che dicono di ricordarsi vagamente due nomi, una faccia e poco più. Ecco qua tutta la bella gente che mi ha tenuto compagnia per cinque anni.
Ometto i cognomi perché non è carino scriverli in modo completo da queste parti, ma assicuro che so bene di chi si tratta.

Chantal B.C.: una bambina carina, delicata, mantenutasi tale fino all’ultima volta che l’ho vista, diec’anni fa circa. Per qualche ragione strana ho sempre avuto l’impressione che mi ammirasse. In un’occasione c’era una messa durante l’orario scolastico e la maestra, una suora, per fingere che ci fosse libertà di culto, disse: chi non vuol venire non venga. Non siamo andati solo io e lei.
Eva B.: ragazza brusca, molto maschiaccio, bionda, simpatica, immediata. Mediocre scolara, una volta l’ho corretta dopo che aveva scritto "all’argo" al posto di "al largo". Rispuntata nel 2003 per una relazione con un mio coinquilino, non è cambiata negli anni e fa la fisioterapista.
Ilaria B.: scomparsa da Alassio per andare a Milano, mi ricordo assai poco di lei se non era popolare tra le altre bambine, e che una volta sono stato a un divertente compleanno con lei. Aveva i denti sporgenti.
Giulia B.: bambina e poi ragazza fine, delicata, ma intelligente e colta, forse un pochino snob. In un compleanno a casa sua ho visto per la prima volta un videoregistratore, anche se ho realizzato solo dopo qualche anno cosa fosse. Capita di vederla ogni tanto in giro, ma non siamo amici.
Cristina C.: il Signore Iddio è stato molto poco generoso con lei. Stupida, anzi, più stupida, bruttissima, aveva anche preso i pidocchi tanto che era chiamata "quattrocchi sparapidocchi". I suoi genitori avevano un negozio di frutta e verdura ad Alassio. Mai più vista dopo la prima media.
Enrico C.: è stato il mio amico "invernale" principale per diversi anni. A scuola non era una cima: sbagliava spesso l’ortografia (in particolare le "h" col verbo avere), ma se la cavava in aritmetica. Ogni tanto prendeva qualche nota, e piangeva abbondantemente. Figlio unico tipicamente viziato, l’ho frequentato fino alle medie, anche in prima superiore, e poi l’ho visto per caso in giro per strada occasionalmente. Si occupa dell’albergo dei genitori con buoni risultati.
Mariachiara C.: alle elementari eravamo abbastanza amici. In seconda ho tenuto un compleanno a casa mia, e l’unica femmina che ho invitato, giusto per fare un favore a mia sorella, è stata lei. Molto chiacchierona, ma simpatica allora. A partire dalle medie, i nostri rapporti si sono deteriorati, e adesso lei per qualche misterioso motivo mi disprezza e anche a me sta piuttosto sui marroni.
Cristian F.: l’unico bambino che a nove anni aveva i baffi. I suoi avevano un negozio vicino a quello di mia nonna, ma raramente giocavamo insieme. Una volta esclamò: "giochiamo a prenderci!", e l’idea di dedicarmi ad un gioco così elementare mi lasciò perplesso. Ragazzo molto semplice, rendimento a scuola medio, mai più rivisto, nemmeno alle rimpatriate. Probabilmente si è trasferito. Una volta, mentre ripeteva una lezione, la maestra gli ha detto "Cristian tu non studi! Ti ricordi solo quello che dico io!". La lezione era sul corpo umano e lui si ricordava che l’azoto non serve per la respirazione.
Nadia F.: bambina assolutamente media, me la ricordo in particolare solo per due fatti: primo, andava a dormire alle 20.30, e ancora a vent’anni suonati aveva il coprifuoco alle 23! Secondo, guardava Creamy, quando lo davano alle 20 di sera ed era di moda, lamentandosi però che nelle figurine avevano scambiato Posi e Nega.
Silvia F.: bambina molto interessante. Vagamente carina, molto intelligente (era la seconda della classe, dopo di me), anche alquanto simpatica. Suo padre, un tipico papà con la barba, aveva un negozio di borse nella zona che bazzicavo ad Alassio, quindi spesso di pomeriggio ci frequentavamo. Mi è rimasta un’ombra di un gran sentimento di rispetto per lei. Ora è a Milano, le piace il cinema d’autore, e fa l’insegnante di inglese per adulti.
Emanuele G.: è stato spesso il mio incubo. Molto dispettoso, mi faceva diversi scherzetti, inducendomi addirittura a piangere, diverse volte. Biondo, gracile, da grande si è fatto crescere i capelli. Sempre maltrattato dalla maestra Suor Maddalena, prendeva tantissime note: probabilmente perché era abbastanza intelligente ma non faceva un belin. Alla gara di geografia di IV è arrivato secondo dopo di me. L’ho rivisto poche volte, dopo le elementari: una volta, in uno splendido bievento, ero con Enrico, e gli dicevo che non avevo più visto Emanuele dopo le elementari. Ed ecco che Emanuele passa in bicicletta: uno splendido bievento. Ora anche lui si occupa dell’albergo dei genitori.
Marialuisa G.: ho uno scarso ricordo di lei, non ho mai fatto particolarmente amicizia. Era di Andora, e spesso andava e tornava insieme alla maestra che pendolava dalla stessa cittadina. A parte i rapporti me, comunque, era una compagnona, faceva amicizia con quasi tutti e giocava volentieri. E’ stata con noi dalla seconda alla quarta: quando in quinta è tornata a trovare la classe, è stata accolta da un’ovazione: "Mary, Mary, Mary…". Rivista nel 1995, era una ragazzona grosa, non particolarmente attraente, che studiava chimica in Piemonte.
Giorgio G.: rimasto un solo anno, in quarta, ma l’ho visto abbondantemente alle medie. Di Milano anche lui, simpatico (anche se a mia sorella stava antipatico), abitava vicino a casa di mia nonna. Quando andavo a mangiare da lei, sulla via del ritorno facevamo la strada insieme, e faceva spesso uno show con delle pulci immaginarie. Medio rendimento a scuola, in quinta, quando ci si vedeva dalle giostre ma non a scuola, spesso si parlava dei rispettivi programmi scolastici ("Io ho già fatto Napoleone!").
Chiara L.: bambina piccolina, di aspetto delicato, da piccola era carina, anche se non brillava di intelligenza. Non più vista dopo le medie, mi han detto che si è sposata giovanissima ed è rimasta invischiata in una sorta di setta di fondamentalisti cristiani. Ahimé, povera Chiara.
Mariangela L.: povera Mariangela! bruttina, sgraziata e stupidina, è stata la mia prima compagna di banco. Ha aggiunto nuovi significati al nome "Mariangela", già seriamente compromesso da Fantozzi. Lavora nel negozio dei genitori.
Mike M.: mai capito perché fosse venuto a scuola da noi, dato che abitava nella parte opposta di Alassio. Ragazzo alto, grasso, riccio, di medio rendimento. L’ho ignorato o quasi per tre anni (eccezione: in terza elementare non faceva ginnastica, e ciò mi colpiva), poi di colpo è diventato il mio migliore amico. Almeno, dal mio punto di vista, dal suo no, aveva il suo mondo. Ci siamo frequentati spesso, facevamo i compiti insieme, eravamo vicini di banco, giocavamo a calcio insieme, in estate andavamo al mare insieme. Aveva un C16 col quale giocavamo spesso. Sua madre era ossessiva e nevrotica, suo padre anziano. Aveva un fratello minore. Una volta sono andato a casa sua a costrire un cm cubo e un dm cubo. C’abbiamo messo tutto il pomeriggio.
Cristian M.: piccolo, sfigatino, veramente uno che ha avuto poco dalla vita, una delle rare persone con cui non scambierei mai la mia vita nemmeno per prova. Debole e poco intelligente, andava maluccio a scuola, e non siamo mai stati molto amici. Sua madre era inglese ma non è che avesse grande propensione per questa lingua. L’ultima volta che l’ho visto, nel 2003, faceva il magazziniere e bestemmiava tantissimo. Avrà avuto le sue buone ragioni.
Alessandro M.: ragazzo semplice, molto poco intelligente ma di indole buona. Poveretto, non capiva mai un cazzo, anche alla fine delle elementari non leggeva ancora bene, sbagliando spesso e generando ilarità generale. In prima aveva l’astuccio identico al mio a parte il colore; aveva dei robot sopra. Di origini meridionali, aveva una lavanderia nella zona che bazzicavo io, e spesso giocavamo insieme nei giardini. Ha un bar ad Alassio.
Cristina P.: ha avuto un fratellino in II. Ad un suo compleanno ho imparato il significato delle parole "scopare" e "pettinare". Per il resto, nulla da segnalare: bambina con gli occhiali, capelli corti e ricci, di medio rendimento.
Flavio P.: ragazzo tozzo, giocava in porta a calcio, ha avuto l’apparecchio ortodontico per molto tempo. Anche lui, come me, guardava il cartone animato "Coccinella", e lo commentavamo insieme. Sua madre lavorava in posta, quindi spesso io e lui arrivavamo presto, verso le 8, e giocavamo a tirarci una gomma da macchina a scrivere dal suo banco al mio in attesa che arrivasse altra gente. Ci sballavamo tantissimo.
Cesare R.: lo ricordo in generale come un bulletto, ma senza grossa cattiveria. Da piccolo ogni tanto mi picchiava, ma per gioco; a scuola non era una cima ma neanche stupido. L’ho visto e ho avuto a che fare con lui diverse volte durante gli anni, con esiti alterni (le medie sono state il suo periodo peggiore), ma da adulto si è dimostrato persona simpatica e gentile, decisamente maturato. E’ una persona robusta, alta, muscolosa.
Susanna S.: bambina molto, molto vivace, piccola di dimensioni, attiva a proporre attività e giochi, con un certo talento artistico ma non particolarmente costante come rendimento scolastico. Una volta mi ha fatto ridere tantissimo mettendosi i capelli, molto lunghi, come se fossero baffi e facendo la faccia seria.
Simona V.: grassottella da bambina, sembra che cresciuta sia diventata una panzona. Non avevamo nulla in comune, se non il fatto di abitare vagamente dalle stesse parti. Inoltre, ci pativo che avesse il cognome posteriore al mio nell’ordinamento alfabetico. Volevo essere l’ultimo!

Oltre questo nucleo di persone, ognuna delle quali è rimasta almeno un anno, i seguenti due hanno fatto una comparsata più rapida e non ne ricordo il cognome:

Vincenzo: presenza fantomatica. E’ stato in classe con noi solo in prima, da settembre a dicembre. Sono venuto a sapere da Suor Maddalena che c’erano stati problemi coi suoi perché non ci sentiva bene. Si faceva fare sempre i compiti dal padre. Aveva gli occhiali, era biondo.
Fiorenza: ragazza venuta dal Canada, rimasta poco, meno male: stupida, grossa, "muccosa". Gli altri maschi dicevano che mi piaceva, ma non era affatto vero. Io avevo pensato una battuta: "Fiorenza la strenza, Fioronza la stronza", ma non l’ho mai detta perché temevo che "strenza" volesse dire qualcosa, del tipo "figa". Una volta ha raccontato un aneddoto su un cervo incontrato vicino a casa sua. Quando correva agitava le braccia in modo stupido.

Il giorno più bello della mia vita

Sassello, estate 1984 (anno più, anno meno)
Io e i miei amici stavamo osservando una ruspa al lavoro con fare sognante, e quel benemerito signore che la comandava, vedendo quei bambini in adorazione di fronte al possente mezzo giallo, si offrì di caricarci sopra la pala e sollevarci. Da grande anch’io guiderò le ruspe.

Zombi nell’armadio

Albenga, 1988-1989

Luca quattordicenne è in prima liceo. Come ben sapranno i miei lettori più affezionati, è il periodo in cui è monomaniaco per gli Iron Maiden. Il suo diario scolastico, un azzurro volume dedicato alle Sturmtruppen, non è altro che un tributo al gruppo di capelloni in questione. Il nostro eroe scrive testi, appiccica foto, compie analisi (aveva già preso questo vizio di cui non riesce a liberarsi) e ogni tanto si lascia andare ad un’adorazione quasi religiosa.
Quasi? Leggiamo la pagina del 24 gennaio 1989. In bilico tra la blasfemia, l’autoironia e l’essere un otaku ante-litteram, questo pezzo è un piccolo gioiello.

Iron Maiden nostri,
che siete alla EMI, (1)
sia santificato Eddie, (2)
venga il vostro concerto, (3)
sia fatta la vostra volontà,
come in Inghilterra così in Italia
Dateci oggi il vostro album annuale, (4)
rimettete a noi le nostre canzoni
come noi rimettiamo le 16.500 lire (5)
Non ci inducete in tentazione (d’ascoltare i Ricchi e Poveri)
ma liberateci dai Guns’n’Roses. (6)
Amen

Note:
1) La EMI era la casa discografica del gruppo al momento. Non so se lo sia tuttora.
2) Eddie è lo zombie mascotte degli Iron Maiden. Di lì a santificarlo…
3) Alla fine il Ventimiglia riuscirà a vedere gli Iron Maiden in
concerto nel 1992, ma leggende narrano che ci arrivò spompato per aver
troppo pogato durante l’esibizione degli scarsissimi Almighty che li
precedevano.
4) Dal 1980 al 1988 gli Iron Maiden hanno sfornato ben sette dischi in
studio più un doppio dal vivo. In seguito, tale prolificità diminuirà
sensibilmente.
5) 16500 lire era il prezzo di una audiocassetta in quel periodo.
6) L’autore in quel periodo provava un misterioso odio viscerale per i Gun’s’Roses, forse rei semplicemente di avere troppo successo.

Just a perfect day
Quand’ero piccolo c’erano, ogni anno, almeno un paio di giorni di festa inaspettati: quelli in cui il termometro proclamava che era arrivata l’influenza. Si poteva allora stare a casa ad ingozzarsi di televisione, scoprendo quei meravigliosi quiz della mattina di Canale 5 che la scuola mi negava: Tuttinfamiglia, Bis, Il Pranzo è servito. Quando io gioivo per giornate del genere, mia mamma era lesta a sgridarmi: "Non bisogna mai essere felici di essere ammalati". Io annuivo, ma sotto sotto benedicevo quel 37.2 che, al prezzo di qualche colpo di tosse, mi permetteva tanto godimento.

Nell’adolescenza ho acquistato una salute di ferro e non ho più avuto una linea di febbre tra il 1989 e il 2004. Con l’avvicinarsi del trentesimo anno di età, il mio fisico ha ceduto e sia l’anno scorso che quest’anno qualche bacillo ha fatto breccia nella mia fortezza. Tuttavia, accanto alla triste consapevolezza del mio inevitabile declino fisico, è tornata la felicità di potermi prendere un giorno di "vacanza" dal lavoro. Quest’anno, in particolare, l’influenza mi ha colpito all’inizio di due giorni in cui ero fuori città per lavoro e non potevo proprio assentarmi; terminato questo sforzo, in cui ovviamente non ho fatto nessun passo verso la guarigione, finalmente ho passato una giornata a casa. Ed è stata una giornata bellissima. Sono riuscito a trovare il tempo per fare tantissime cose che relego a fatica nel tempo libero o che era tanto che rimandavo.

Ho guardato un intero dvd della 4. Stagione dei Simpson, episodi in inglese e poi commenti (8 episodi, quindi).
Ho fatto due lavatrici, una di cotoni colorati e una coi tappetini di bagno e cucina.
Ho montato una bellissima ruspa di Technic Lego (mi sono avanzati solo 5 pezzi, tutti piccoli e tutti diversi. Mi auguro che Mr. Lego li abbia messi di scorta in caso di smarrimento)
Ho scritto numerose mail, tutte brevi e che richiedevano scarso impegno, e ho cazzeggiato a lungo in internet.
Ho studiato un po’ di francese.
Ho cucinato un’ottima pasta col pescespada. Ho dimenticato di metterci le olive, peccato.
Ho rivisto un film che ho scoperto migliore di come lo ricordassi: Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio di Pedro Almodovar.
Ho chattato non poco con diverse persone, in particolare con una adorabile che però non mi legge. Pazienza.
Ho fatto una lunga doccia seguita da minuziosa toeletta.
Ho catalogato gli ultimi acquisti di libri e fumetti.
Ho visto la terza puntata di Desperate Housewives, la serie di moda al momento.
Ho persino dato una mano ai miei colleghi al lavoro che avevano bisogno di aiuto per alcuni problemi.

Per una bella coincidenza, ho rivisto proprio in quella giornata la puntata dei Simpson Homer l’eretico, in cui il buon panzone proclama "il giorno più bello della mia vita" quello in cui sta in casa a dedicarsi ad attività simili (dal suo punto di vista, ovviamente) invece che andare a messa. Già, il mondo è crudele, è bello lasciarlo fuori dalla porta. Ma prima o poi i viveri finiscono…

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