La famiglia di mia mamma è sempre stata matriarcale. Da piccolo ero circondato da uno stuolo di signore attempate che per semplicità chiamavo zie, ma che probabilmente spesso non erano nemmeno legalmente mie parenti. La natura ha purtroppo fatto il suo corso, e ora me ne ritrovo molte di meno, ma non posso non ricordare zia Lidia (era zia di mia nonna), zia Franca (cugina di mia nonna, ancora in vita e in ottima forma), zia Marianina (siciliana e centenaria, probabilmente zia di mio nonno), zia Mavi (più giovane, cugina prima di mia mamma), zia Frida (moglie del cugino di mia nonna), più altre figure che sono un po’ più nebulose, tra cui zia Enrichetta e zia Vigina, che non vedevo quasi mai.
– Ehi mamma, come sta zia Vigina? E’ un po’ che non la vedo!
– E’ morta due anni fa.
–D’oh!
Quasi tutte queste zie erano zitelle o vedove. Ripensandoci, la cosa è un po’ inquietante. Tutti i maschi del clan Bielli probabilmente dovrebbero toccarsi un po’ le balle.
Principessa delle zie zitelle era zia Adelina. Zia di mia nonna (quindi mia proprozia), quand’ero piccolo mi pareva vecchissima. Era nata nel 1899, quindi quando io la frequentavo era poco più che ottantenne, età più che rispettabile ma tutto sommato non così rara. Si trattava di una tipica vecchietta, piccolina e pettinata con lo chignon, praticamente una copia di Zia May di Spider-Man. E ha segnato la mia esistenza.
Come molte persone che hanno conosciuto la guerra (e lei ne aveva viste ben due), zia Adelina era molto preoccupata per la Fame e, non avendo di che sfogare le proprie paure nell’opulenta Italia di Craxi, voleva risolvere il problema della Fame nel Mondo. La sua personale soluzione era di far mangiare ai propri nipoti tutto quello che c’era nel piatto.
– Mangia! Pensa ai bambini che hanno fame!
– Ma zia, cosa cambia per loro se io ingurgito queste quattro orribili carote? Non sarebbe piuttosto meglio assicurarsi che gli aiuti dei paesi occidentali non vengano spesi in armamenti, oppure cancellare i debiti che strozzano quei paesi, o insistere per un controllo dello sviluppo demografico, oppure ancora dare degli incentivi alle aziende per investire e garantire uno sviluppo? (questo è uno splendido esempio di Esprit d’escalier. Quello che in realtà dicevo era "Ma zia, le carote sono cattive!")
– Mangia! Pensa ai bambini che hanno fame!
E così fu. Ancora adesso devo fare sforzi enormi per lasciare qualcosa nel piatto, arrivando a raccogliere il singolo chicco di riso e facendo scarpetta fino ad avere un piatto lindo. A volte mi capita di mangiare fino a star male, e ovviamente tutto questo ha influenza sulla mia linea, e il fatto che sono sovrappeso ha implicazioni sulla mia vita sociale in questo mondo così superficiale. Maledetta zia Adelina, è tutta colpa tua.
Mi piace la lingua francese. Mi piace come suona, la vaga checchitudine di quell’accento con le "erre" arrotate; ammiro anche l’orgoglio e la nobiltà della lingua con una delle letterature più ricche del mondo. In attesa di trovare il tempo di studiarlo oltre la misera infarinatura che ho, mi accontento di parlarlo come l’Ispettore Clouseau: "avete una stonsa?". Ognuno si diverte come può!
C’è poi un’espressione in francese, che ho sentito anni fa in un vecchio Dylan Dog, che trovo esprima un concetto complesso ma luminoso nella sua sintesi: esprit d’escalier, spirito delle scale. Esso consiste nel rimuginare su una situazione che si è vissuta in cui non si ha avuto abbastanza prontezza di spirito per dire la cosa giusta al momento giusto. Quando poi si va via, percorrendo appunto le scale, è inevitabile rendere sempre più acuta e sferzante la risposta che non si è data.
Lo facciamo tutti, ed è anche un buon allenamento per la volta successiva in cui ci si troverà in una situazione del genere. E’ meno comune il lato patologico della situazione, quando cioè l’esprit d’escalier assurge a verità, in buona o mala fede.
Uno splendido esempio è dato da questo sito, Storie dalla sala macchine , in cui un signore, probabilmente un sistemista frustrato da un lavoro che in effetti richiede di aver a che fare con imbecilli e rompiballe, scrive tutto quello che avrebbe voluto fare in reazione ai suoi utenti (che chiama con disprezzo Clueless User) ma che, ovviamente, proprio non può. E allora sogna di strappare moduli in faccia, di rifiutargli favori elementari, di denunciarli ai superiori o semplicemente di mandarli a quel paese, spacciando tutto questo come "pura verità". Oddio, io spero che quest’uomo sia un mentecatto sognatore, perché uno si augura sempre che non ci siano persone che si comportano con tanta arroganza e maleducazione. Ciononostante, una volta assunto che si tratta di fiction (se preferite: di una camionata di balle), i raccontini sono piacevoli e divertenti da leggere, e raramente manco l’appuntamento il lunedì quando il sito viene aggiornato.
Stupida, stupida memoria. Man mano che invecchio tendo a dimenticarmi un po’ di cose, soprattutto nell’area di memoria breve. Sempre più spesso mi capita di guardare l’orologio per leggere l’ora e, pochi secondi dopo, rendermi conto di avere già dimenticato che ore sono (non sono l’unico, però. Cristian P. dice che gli capita sempre). Per non parlare dell’uso di un’agenda o di file di "2do" o di mancoliste di fumetti, quando fino a poco tempo fa ricordavo sempre tutto.
Tutto questo, però, tutto sommato non mi disturba. Lo accetto come parte del mio decadimento naturale, è normale. Quello però che mi irrita profondamente è lo spazio che, nella mia memoria, è riservato a dati che non voglio ricordare. Non parlo solo di episodi tremendamente imbarazzanti che vorrei dimenticare, come quella volta che con Silvia R….ma no, lasciamo stare. Parlo anche di informazioni irrilevanti, che non mi sono di alcuna utilità, nè ora nè in passato, nè utilità pratica nè, per così dire, "estetica".
Ad esempio, mi ricordo quanti gradini dovevo fare per raggiungere la mia casa in via Gaulli (141). Chi se ne frega? Oppure, ricordo l’odore della casa dei miei cugini quand’ero piccolo. Che me ne faccio? Ancora, so quali sono le precise parole con cui mi sono presentato quando ho iniziato a lavorare nella ditta in cui adesso sgobbo. (passa un corvo: cra! cra!)
Ma il principe di queste informazioni è il numero telefonico di Pronto Raffaella, "3139, 06 per chi chiama da fuori Roma" (erano tempi in cui "fissa il prefisso" era ancora lungi da venire…). Non mi piaceva la trasmissione, la Carrà mi è tutto sommato indifferente e non ho mai telefonato. Non me lo voglio ricordare! Stupida memoria, cancella questo dato e riserva quello spazio a cose più utili, per dire, il numero di telefono dell’idraulico che ogni volta lo devo cercare!
Argh! Più cerco di dimenticarlo più me lo fisso in mente. Sigh…
Che io abbia una mente un pochino malata è ben noto. Tuttavia dice il saggio: "E’ più folle il folle o il folle che lo segue?". Secondo me il folle. E’ il saggio che dice che è folle, e il saggio è saggio mica per niente. Dell’altro (quello che segue) non sappiamo nulla, se non che segue il folle. Magari lo fa perché pensa che, essendo l’altro un folle, potrebbe perdere il portafoglio e allora potrebbe farlo suo. Altro che folle!
Ho perso il filo. Dicevo, uno dei sintomi di tale mongolaggine è data dal fatto che alcune parole mi fanno ridere irresistibilmente. Mi basta sentirle pronunciare o leggerle per farmi una grassa risata interiore, ma se posto nel contesto giusto e prima che tali parole si logorino con l’uso, posso veramente trovarmi a sganasciarmi.
Tali parole, in questo momento, sono
- lupini
- broccoletto
- pepinèrie
…e ovviamente ora sto ridacchiando.
Analizzando la questione, al di là di quanto sono folle io (anche se non seguo nessun altro folle) c’è il fatto che si tratta di parole intrinsicamente un po’ comiche, e, in qualche modo, sono legati ad un episodio almeno blandamente divertente. Il resto del divertimento è anche un po’ autoreferenziale: probabilmente trovo comico il fatto che queste parole mi facciano ridere. Il richiamo al mondo vegetale che le accomuna penso invece che sia un caso.
Per quanto riguarda lupini, è ovvio che la mente corre ai Malavoglia. E’ inevitabile che si amino poco i romanzi che vengono imposti a scuola, ma io i Malavoglia proprio non sono mai riuscito a reggerlo. Quel suo prendersi così tremendamente sul serio, soprattutto se confrontato con la levità che nello stesso secolo Dickens utilizzava per trattare temi simili, mi scatenava una sorta di ilarità. La parola lupini, protagonista di alcuni delle fasi più drammatiche pur suonando in modo così ridicolo, risulta inevitabilmente comica.
Broccoletto ha anch’esso una storia. Andiamo sulle cattiverie: la moderatrice del newsgroup it.arti.animazione, Elena P., pur essendo una brava ragazza, ha spesso dei gusti a dir poco imprevedibili nel campo che dovrebbe essere il suo expertise, il cinema d’animazione appunto. In una discussione su Sen to chihiro no kamikakushi, noto anche come Spirited Away, noto anche come La città incantata, l’ultimo film di Hayao Miyazaki, premiato con l’Oscar (R), vincitore dell’Orso d’oro di Berlino, e ora la smetto con le apposizioni, lei disse che non era un granché e che Broccoletto era molto meglio. Dopo un po’ di indagini abbiamo scoperto che si trattava di un film cinese Grandma and her ghosts, che nella traduzione italiana ha proposto l’improbabile nome.
Le pepinèrie non hanno una storia comica (si far per dire) dietro, se non il riferimento al nome di Peppino, che è in effetti un nome che fa intrinsecamente ridere. Peppino. Grandioso! Come? Non sapete cosa sono le peppinerie? Fate un giro in Corsica. Eccone una qui.
E ora guardo verso il futuro luminoso, sicuramente foriero di altre parole comiche. Quale sarà la prossima? Spinacina? Noce moscata? Chi vivrà vedrà (a meno che non stia troppo appiccicato al folle davanti).
I giuochi da cortile dei bambini sono sempre stati una mia piccola fissazione. Mi è sempre piaciuto confrontarli con altre persone, soprattutto se provenienti da regioni d’Italia differenti dalla mia, e ho rilevato molte differenze, sia come giuochi in sé che come denominazioni che come sfumature delle regole. Ad esempio, quello che io chiamavo L’orologio di Milano fa tic-tac è molto più noto come "Un due tre stella". Suppongo in effetti che a Milano faccia un po’ ridere parlare dell’orologio di Milano. Quale? Ce ne sono così tanti! Milan l’è un gran Milan!
Potrei poi citare giochi come <i>Fulmine, Rialzo, Strega Comanda Colore, Palla Bufalo, La Settimana</i> e tanti altri, ma molti di voi non saprebbero di che parlo o li conoscerebbero con altro nome o con regole leggermente differenti. Magari un’altra volta ne parlerò, se mi capiterà di non avere idee!
L’aspetto che accomuna i giochi è però il fatto che siano fondamentalmente mirati a divertirsi. Non è così ovvio: tutti questi giochi possono essere facilmente aggirati piegando le regole (ovviamente molto generiche) alle proprie necessità. E non si pensi che i bambini non ci arrivassero: semplicemente loro sapevano che lo scopo del gioco era il divertimento, non la vittoria. Altrimenti non sarebbero lì. Voglio dire, sapendo che la sporcellosissima Ambarabacicicocò ha 46 sillabe, non è complicato calcolare subito a chi tocca stare sotto!
Mi è venuta in mente questa considerazione (apparentemente ovvia, ma, per quanto mi riguarda, un piccolo Pinguino nel Salotto) una sera in cui, in una festa popolata da ingegneri, li vidi giocare a Jenga , il gioco in cui bisogna togliere un pezzo dalla base di una costruzione di mattoncini di legno e riporlo in cima ad essa. Ebbene, mi fece molta tristezza vedere come essi si applicassero nel trovare azioni che andassero a loro vantaggio1 e che non fossero esplicitamente vietate nelle regole, tradendo così lo spirito del gioco…e divertendosi assai di meno.
1a volte le affinità tra ingegnieri e avvocati mi sorprendono
C’è una storiella la cui origine mi è ignota e che mi ha sempre colpito.
Un uomo viveva con un pinguino nel proprio salotto. Conduceva la suavita normalmente con il simpatico animale che razzolava tra divano e televisione, senza rendersi conto della sua presenza. Un giorno, un conoscente gli disse "Ma come fai a vivere con un pinguino in salotto?", al che l’uomo rispose "Quale pinguino?", volse lo sguardo verso la stanza incriminata e si rese conto che c’era sempre stato un pinguino. Si chiese come avesse fatto a non accorgersene prima e, da quel giorno la sua vita non fu più la stessa.
Adoro questa favoletta perché innanzitutto è tremendamente inconcludente (pare quasi un aneddoto di Abe Simpson!) e perché
comunque rispecchia un atteggiamento che trovo encomiabile: cercare di osservare il mondo per coglierne gli aspetti che abbiamo sempre dato per scontato ma che spesso nascondono delle sfumature inaspettate.
Ma cosa voglio farci con un blog? E cosa non voglio farci?
Innanzitutto, vorrei parlare dei pinguini nel salotto che ogni tanto mi spuntano, e, se possibile, regalarne qualcuno al mondo intiero.
E poi gli Aneddoti inconcludenti. Me
la cavo benino nel raccontare eventi del passato, a volte trasfigurati dal passare del tempo o dalla selezione della memoria (detti anche Amarcord, se preferite) ma in modo tale che siano più divertenti; qualche escursione nel presente tuttavia non la escludo!
Non mancherà poi, qua e là, qualche pseudo-recensione su film, libri, fumetti, cartoni animati che mi sono pappato.
Prometto, invece, di non mettermi a raccontare gli affaracci miei, come implicherebbe l’etimologia di blog. E, tantomeno, ad occuparmi di attualità, per la semplice ragione che mi pare di averne poco l’attitudine.
…e abbiate pietà di me!