Date queste premesse, tratte dalla saggezza dei popoli (*)…
- La farina del diavolo va tutta in crusca
- Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi
- Chi va al mulino si infarina
- Ogni pentola ha il suo coperchio
- Chi ha pane, non ha denti
- Quando Dio ci dà la farina, il diavolo ci toglie il sacco
- Quando piove e c’è il sole, il diavolo fa l’amore
- Quando piove e c’è il sole, le vecchie fanno l’amore
…si possono trarre queste conseguenze:
- Il diavolo prova a farsi le minestre di crusca ma, essendo senza coperchi, esse vengono male
- Il diavolo usa i sacchi che ci toglie per metterci la crusca, che poi tra l’altro non può cucinare
- Chi va al mulino del diavolo si incrusca invece che infarinarsi, probabilmente a causa dei sacchi pieni ivi abbandonati
- Se ogni pentola ha il suo coperchio e il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, può conseguire solo che il diavolo non fa nessuna pentola. Ed ecco che fare la minestra di crusca diventa ancora più difficile.
- Quando piove e c’è il sole, il diavolo fa l’amore con le vecchie, oppure si trasforma in una vecchia.
- Quando piove e c’è il sole, il diavolo non ha tempo di maneggiare la farina e farla diventare crusca. E’ quindi un buon momento per andare al suo mulino e infarinarsi. Tutto ciò, ovviamente, se non siete delle vecchie, allora anche voi avete di meglio da fare.
- Il diavolo non ha pane, perché non ha farina (suppongo che un pane solo di crusca non si possa fare), quindi può avere denti. Li userà per suggere la crusca cruda.
Compito a casa pei lettori: cosa si deduce dal fatto che le vecchie non hanno denti?
(*) Popoli di merda!
(Grassie a Cementino per la silente ispirazione)
E che non si dica che io non mantengo le promesse, perdiana! Vi ho fatto sospirare il maiale in agrodolce di cui vi parlai tanto tanto tempo fa, ma finalmente eccolo qua. Signori, rimboccatevi le maniche e mettiamoci al lavoro! Sappiate però che questo piatto è più difficile degli altri che ho descritto finora. Non tanto per la manualità e l’esperienza necessarie, ma piuttosto per la laboriosità, il tempo richiesto e l’abilità di sincronizzare i tempi. Ma non vi agitate, io come sempre vi tratto come degli scemi, leggete tutto con calma, memorizzate e poi vi interrogo.
Prepararsi
Il maiale in agrodolce è un piatto cinese, ma io non l’ho mai cucinato in atmosfera cinese ed è sempre venuto benissimo. Quindi fate come me, accendete la tv della cucina e guardate MTV scuotendo la testa per la povertà della musica d’oggigiorno. E poi mettetevi il solito grembiule, vi servirà.
Passiamo agli ingredienti; sono parecchi e li separo per area tematica corrispondente più o meno alle fasi della preparazione.
La peperonata:
- 1 peperone: giallo, rosso o verde, a vostro gusto. Se vi piace “fare colore” fate mezzo e mezzo.
- olio extravergine d’oliva: ormai siete bravi e posso dire “cubì”, per quanto riguarda la quantità
- 1 cipolla di medie dimensioni
La salsa:
- Fecola di patate, 2 cucchiai: ricette simili a questa a volte prevedono la maizena, la quale è simile per l’effetto amalgamante ma ha un nome più buffo. Se ve la sentite di rischiare, probabilmente il piatto verrà uguale ma con un fattore di buffità maggiore.
- Acqua, 4 cucchiai: quella del rubinetto.
- Succo d’ananas, 4 cucchiai: più sotto vedrete che è richiesto anche dell’ananas. Voi comprate una scatola di ananas a fette, e utilizzatene il sugo qua e le fette là.
- Aceto, 3 cucchiai: bianco o rosso va bene lo stesso. Probabilmente con quello di riso è ancora meglio, ma io non ce l’ho.
- Zucchero, 4 cucchiai
- Salsa di soia, 2 cucchiai: fate in modo di averne una boccetta piena, vi servirà.
- Ketchup, 2 cucchiai: ketchup? sì, ketchup!
- Salsa worcester 1.5 cucchiai: salsa worcester? sì, salsa worcester. Vi dirò sottovoce che sono ragionevolmente convinto che senza di essa il piatto venga abbastanza uguale, ma non potrei giurarlo. Decidete voi se vale la pena rischiare.
(piccola digressione sul concetto di “cucchiaio”, che è una misurazione apparentemente piuttosto imprecisa: come faccio a sapere se il mio cucchiaio è grosso quanto il tuo? e si intende “raso” o riempito finché posso? Non preoccupatevi troppo, i cucchiai sono in fondo abbastanza simili e l’importante, in questo caso, sono le proporzioni: i cucchiai di roba in polvere devono quindi corrispondere a quelli di liquidi, che quindi sono poco sopra il livello del cucchiaio. Se preferite essere precisi, contate 20 ml per cucchiaio)
Il maiale vero e proprio:
- Maiale, 450 g: andrà tagliato a pezzettini. Se trovate un pezzo unico di lonza, secondo me è l’ideale, altrimenti vanno anche bene fette un po’ spesse di lonza o coppada tagliuzzare. Che non sia grasso, e in tal caso eliminate le parti grasse.
- Farina: servirà a infarinare il maiale, diciamo che ve ne servirà un pugno
- Olio di semi: di semi?!? Perché non quello di oliva? Perché nella cucina orientale non si usa. Ho fatto un’eccezione per i peperoni.
- Ananas, 4 fette: vengono dalla scatola di cui sopra, ricordate?
- salsa di soia: viene dalla boccetta di cui sopra, ricordate? Belin che memoria corta…
- 1 uovo
- sale
Il contorno di riso:
- riso basmati 150 g: altre varietà simili potrebbero andar bene, ma l’importante è che siano aromatiche e profumate e adatte come contorno.
- acqua
- sale
E dopo gli ingredienti l’attrezzatura:
- un padellone molto grosso, o, se l’avete, un wok. Io non ho il wok e mi accontento del padellone.
- una padella più piccola per i peperoni, col suo coperchio
- una pentola bassa e larga per il riso, anch’essa col suo coperchio
- due ciotole, una per il maiale e una per la salsa (potrebbe bastare anche un piatto fondo se un po’ grosso)
- due fornelli
- un cucchiaio di legno
- una spatola, di legno o di plastica
- un frullatore (opzionale) per la cipolla, altrimenti tagliere e coltello
- un bel coltellaccio per tagliare il maiale
- un cucchiaio per misurare le dosi e mescolare la salsa
- una tv per guardare MTV e inveire contro i giovani d’oggi
- il vostro grembiule
Cucinare
Fase 1: Popeye
Ovvero, marinare. Marinare è una parola piuttosto buffa. Si discuteva di questa parola nel film Kissing Jessica Stein, di cui ricordo solo questo e il fatto che una delle protagoniste aveva la faccia cricetosa. Comunque, prendete il porco e tagliatelo a cubetti, piccoli tanto quanto regge la vostra pazienza. Un centimetro cubo o giù di lì andrà benissimo.
Agguantate una delle ciotole, e mescolateci dentro un uovo e abbastanza salsa di soia da ricoprire il maiale. Mescolate e metteteci il maiale a pezzettini. Mescolate ancora. Ci deve stare tre quarti d’ora, quindi nel frattempo faremo dell’altro.
Fase 2: Pizza Pepperoni
Premessa: a me i peperoni non piacciono molto al dente, li preferisco ben cotti. Quindi la mia strategia consiste nel cuocerli prima e aggiungerli insieme al resto della preparazione già pronti. Se voi li preferite più crudi, saltate pure questa sezione e mettete peperoni e cipolla direttamente nel Mescolone Globale di cui si parla sotto.
Siete ancora qui? Bravi ragazzi. Quegli altri, quelli che non preparano i peperoni a parte, sono malvagi. Noi li odiamo, probabilmente sono un po’ aglioti. Comunque, lavate i peperoni e tagliateli a pezzetti di circa un centimetro quadrato, togliendo tutti i semi. Sbucciate e tagliate finemente la cipolla (andrà bene anche il frullatore, una volta tanto) e spadellate il tutto a fuoco medio-basso con olio d’oliva cubì. Aggiungete acqua quando si asciuga, coprite con un coperchio e lasciate cuocere una mezzoretta. Nel frattempo, prepariamo la salsa.
Fase 3: salsa e merengue
Mentre il maiale marina e i peperoni cuociono (ogni tanto dateci una girata e verificate che non si asciughino troppo, mi raccomando), passiamo alla salsa. Per me questa salsa è una magia, perché la lista di ingredienti è davvero disgustosa, ma la loro combinazione funziona perfettamente. Non c’è molto da dire: mescolateli tutti e amalgamateli in un recipiente. L’unico piccolo accorgimento che posso suggerire è di mettere la fecola poco alla volta acciocché non faccia grumi. Ci metterete poco, e i peperoni e la marinatura non saranno ancora pronti. Passiamo al riso.
Fase 4: grasse risate
Il riso di contorno non si fa come la pasta, ma piuttosto come una versione semplificata del risotto. Mettete il riso nella pentola bassa e larga, copritelo di acqua salata e cuocete a fuoco basso col coperchio. Se l’acqua si consuma, aggiungetene e ogni tanto mescolate. Ci vorranno circa dieci minuti, magari un pochino di più a seconda della qualità di riso. Quando è pronto, spegnete il gas e lasciate coperto. Se foste in ritardo col resto, prima di servire aggiungete ancora un filo d’acqua e scaldate.
Mi raccomando, non dimenticatevi di questa fase. Sarebbe uno smacco enorme presentare il vostro piatto senza contorno. Per fortuna non mi è mai capitato.
Fase 5: il Mescolone Globale
Avevamo lasciato il porcellino a marinare. Scolatelo e infarinatelo allegramente, per quanto si possa essere allegri coi video di MTV che passano in televisione. Prendete il padellone e metteteci uno strato sottile ma diffuso di olio di semi, scaldandolo a fuoco vivo. Col cuore in gola per l’emozione, aggiungete sua maestà il maiale e fatelo rosolare, girandolo continuamente con la spatola. State attenti che il maiale è stato infarinato, e se vi fermate brucia subito. Un po’ di olio di gomito, su! Hop hop hop, forza con quella spatola! Dopo un minuto o due, quando non vedete più rosa da nessuna parte (a parte la vostra camicia), spegnete il fuoco, togliete il maiale e rimettetelo dove stava prima. Ma come? Dopo tutta ‘sta fatica devo toglierlo? Sì. Dura la vita. Riaccendete il fuoco lasciandolo medio-basso, e traferite i peperoni dall’altra padella in quella grossa, e poi aggiungeteci l’ananas tagliato a pezzettini (li potete tagliare direttamente mentre li mettete in padella) e successivamente la salsa. Amalgamate, e poi con gioia potete rimettere la carne. Salate, ma non troppo, e mescolate, mescolate, mescolate: se vedete che si asciuga troppo, ancora acqua. E mescolate, mescolate, il segreto del piatto sta nell’amalgamento degli ingredienti. Qualche minuto per terminare la cottura del maiale, e potete servire.
Mangiare,bere, varianti e impatto anale
Innanzitutti spegnete la tv, è un’ora che stiamo cucinando e un’ora di MTV friggerebbe il cervello a chiunque. E servite: se siete dei bravi ospiti, servirete con due piatti di portata appositi il maiale e il riso. Se, come me, siete dei poveracci, porterete le pentole in tavola. Sconsiglio di usare le bacchette, a meno che non vogliate mettere in difficoltà i vostri ospiti. In tal caso, tanto di cappello e fate pure.
Le bevande possono andare in due direzioni: birra, se volete fare un po’ come al ristorante cinese, o, meglio, un bianco aromatico, tipo un Gewurtztraminer. Se non bevete alcolici, acqua, le bevande tipo Coca o Sprite proprio sono una buona idea; piuttosto, sorbite del tè. Ma per una volta bevete un bicchierino di vino, ci sta.
Per quanto riguarda le varianti, la principale che mi sento di suggerire è di provare col pollo al posto del maiale. Credo che sia sostanzialmente identico, anzi, penso che la prossima volta ci proverò io stesso. La lista degli ingredienti può essere variata qua e là: ci si può dare un che di piccante con un po’ di peperoncino o salsa piccante, si può fare la malvagità e metterci l’aglio, si possono anche sostituire i peperoni coi pomodori (molti ristoranti cinesi fanno così). Però andateci cauti, il piatto funziona bene per l’equilibrio dei sapori: è facile rovinare tutto.
E infine, il temutissimo impatto anale. Il maiale in agrodolce è un piatto pesante, non lo nascondo. Cipolle, peperoni, maiale, il tutto pasticciatissimo e anche semi-fritto. Non esagerate con le porzioni, o rassegnatevi ad avere una panza così, dormire male e avere gli incubi. In compenso, se non siete allergici a qualcuno degli ingredienti, il vostro intestino non farà una piega.
E così vi siete fatti il vostro maiale in agrodolce in casa. Se lo ordinavate al cinese sottocasa, spendevate 4 euri ed era uguale, magari anche più buono, e in quell’ora potevate fare qualcosa di meglio che guardare MTV mentre cucinavate. Non vi sentite un po’ scemi?
Qua sopra, per la vostra gioia, ecco i segnali stradali di senso unico in italiano, inglese e tedesco, e qui sotto, acciocché possiate felicitarvene, i cartelli di divieto d’accesso in italiano, inglese e tedesco.
La domanda l’avete già capita, so che siete svegli (quasi tutti, almeno): cos’ha di tanto speciale il senso unico da meritarsi una scritta, peraltro inutile perché il cartello è perfettamente comprensibile anche senza conoscere la lingua in questione?
Ma io non l’avevo mica capito, che il Giornalino fosse malvagio. Voglio dire, era un giornalino a fumetti con un nome particolarmente sciapo (sarebbe come chiamare un quotidiano Il Giornale, chi potrebbe essere così scemo da pensarci?) stampato dalle Edizioni Paoline, una casa editrice col nome buffo perché la mamma del mio amico Daniele si chiamava Paolina e parlava in modo buffo, ma per il resto mi pareva innocuo.
Certo, magari poteva mettermi in allarme il fatto che Il Giornalino fosse distribuito in classe con la maestra che raccoglieva i danari. Suor Maddalena non sponsorizzava mica tanto i fumetti: perché leggere Topolino e Braccio Di Ferro quando si può leggere De Amicis o Silvio Pellico, o meglio ancora le lettere di San Paolo ai Circensi? Poteva anche farmi insospettire la presenza di rubriche dedicate alla religione, o la presenza di preti tra i redattori. Però non l’avevo proprio capito che fosse uno strumento di indottrinamento pensato per forgiare le giovani menti dei piccoli virgulti. Beh, con me non ci sono riusciti, per fortuna, probabilmente per merito dei cartoni giapponesi. Ma vediamo un po’ ciò che ricordo del Giornalino.
Micromino. Micromino faceva proprio cagare. Era la storia di un bambino povero contrapposto ai ricchi e viziati Vanessa e Lampisterio, ma che grazie alle proprie virtù l’aveva sempre vinta in storie autoconclusive. Ho un po’ di nausea. Purtroppo per me, leggendo la Storia Infinita di Michael Ende, mi raffiguravo Bastiano Baldassarre Bucci come Micromino. La cosa mi ha sempre fatto rabbia, ma quando ti raffiguri un personaggio di un libro in un certo modo, non c’è proprio possibilità di cambiare.
Nicoletta era il clone sfigato di Valentina Mela Verde. Questo l’ho scoperto di recente leggendo le deliziose tavole di Grazia Nidasio, ricche di una classe e di un’attenzione al mondo moderno che Il Giornalino non poteva proprio permettersi. Però Nicoletta, a modo suo, narrava le vicissitudini di un’adolescente con brio e un po’ di umorismo, e quella paginetta era sempre una delle prime che leggevo.
Le storie avventurose costituivano una metà abbondante dei fumetti del Giornalino. Dirò con un filo di vergogna che le saltavo praticamente tutte. Alcune erano palesemente fuori moda persino negli anni ’80, essendo ispirate ai western bonelliani più vetusti, altre invece erano modellate sui telefilm americani del tempo, che non ho mai sopportato ora come allora (per quelli moderni è un’altra storia…). Ho scoperto solo da adulto la caratura dei nomi che lavoravano al Giornalino, da Sclavi a Toppi a Castelli a Tacconi…beh, io preferivo Geppo, che diamine! Mi pare di ricordare solo che leggessi Larry Yuma. Chissà perché proprio quello, era un western come tanti altri.
E poi c’era Pinky. Pinky, il coniglio rosa giornalista, è una striscia (a volte espansa a tavole o storie brevi) assolutamente folle e cartoonesca, ed è praticamente un capolavoro per la genialità che sprizza da ogni vignetta, per l’inventiva, le battute sceme e meno sceme, il disegno così iconico e perfetto per il tema e i colori pastellosi. Autore di Pinky era (è?) Massimo Mattioli, uno dei “cannibali” che tanto hanno dato al fumetto italiano a cavallo del 1980: nello spassosissimo Prima pagare poi ricordare di Filippo Scozzari ricorda come gli altri del gruppo deridessero bonariamente Mattioli perché “lavorava per i preti” sottintendendo che era costretto a fare roba poco seria. Ciononostante, lo dico sottovoce, Pinky secondo me è il vero gioiello di Mattioli, ha una grazia e un tocco lieve che manca nelle opere più adulte di questo autore. E rendiamo grazie al Giornalino per questo.
E infine, nell’ultima pagina c’era un’ulteriore storia umoristica in una tavola, un indiano chiamato Piccolo Dente. Mediocre anch’esso, e a ripensarlo anche un pochino razzista: beh, erano altri tempi, in tv c’era Arnold, il telefilm più razzista mai trasmesso.
Sono stupito di ricordare poco degli altri fumetti: occasionalmetne c’era qualche franco-belga, che però avevo già letto in altre edizioni (I Puffi e Asterix a puntate), ricordo anche qualche riduzione a fumetti di opere letterarie (la Bibbia, i Promessi Sposi, Gargantua e Pantagruel – quest’ultimo di Toppi, mi pare) e un fumetto sul calcio molto scemino che leccava il culo a Paolo Rossi e Bearzot chiamato Il torneo degli assi. Beh, mi rinfrescherete voi la memoria su ciò che dimentico.
Uscendo dal seminato dei fumetti, c’era una sezione sportiva piuttosto nutrita, e comprendeva due capisaldi: la nostra moviola, rubrica in cui venivano ricostruiti i gol del campionato in una singola vignetta (dal punto di vista tecnico del fumetto, è una sfida interessante ricreare l’azione con questi vincoli) e la Palla a Facchetti. Facchetti, ora noto come Facchètti grazie a Elio e le Storie Tese, rispondeva a domande sul calcio (o lo faceva il suo ghost writer, ciò è irrilevante) che venivano proposte dai lettori. Io scrissi alla Palla a Facchètti, chiedendo il bilancio delle sfide tra Juve e Roma. In realtà sapevo benissimo la risposta, ci avevo l’Almanacco del Calcio, ma il fatto è che le mie compagne di classe Silvia e Susanna avevano scritto a un altra rubrica di domande generiche (forse Susanna risponde o qualcosa di simile) parlando delle loro gare di corsa tra di loro, e non solo erano state pubblicate, ma avevano anche avuto l’onore di un disegnino. E io ero invidiosissimo. Facchètti non mi rispose, ed è da allora che odio Facchètti e regalo le sue figurine a Elio. Sì, l’invidia è il mio peccato capitale preferito.
Update: La sezione Pinky è stata aggiunta in seguito a segnalazione di MCP, che ringraziamo.
3 Agosto
Oggi Mario, io, Gabriele e Daniele siamo andati a fare una passeggiata fino al villaggio abbandonato abbiamo scoperto che un ponte e crollato, abbiamo mangiato more, abbiamo trovato una tana di una biscia, insomma ci siamo divertiti.
4 Agosto
Oggi io, Daniele, Gabriele, il belga abbiamo fatto le corse in bici.
La prima volta ho vinto.
La seconda sono arrivato terzo.
Nella seconda ha vinto il belga che si chiama fabrizio.
Queste due giornate passeranno alla storia come la trilogia dei peccati capitali. Infatti, ciò che le caratterizza è il mio essere il “cattivo” della storia tramite un vizio capitale. Non siamo ai livelli della storia della bottiglia di Cocacola, ma commetto certamente dei peccati mortali e quindi finirò all’inferno.
Il tre agosto, ovviamente, il peccato è l’invidia. Non mi era mai andata giù la passeggiata del 24 luglio, quella in cui non ho partecipato, sicuramente per fare i compiti , e probabilmente ho spaccato i marroni a Zio Mario per una settimana prima che mi accontentasse e mi portasse a quel cacchio di villaggio abbandonato. Loro avevano avuto la biscia e il temporale, io non potevo essere da meno: la biscia non l’abbiamo vista ma ne abbiamo trovato una supposta tana (ma esistono le tane di bisce?!?); il temporale non ce lo siamo potuti inventare però, cacchio, scoprire che un ponte è crollato è mica roba da tutti i giorni (anche se probabilmente era crollato tipo nel 1967). E in più noi ci abbiamo avuto le more! Ah! Vittoria su tutti i fronti!
Rileggendo il quattro agosto mi son vergognato da matti. Non per il chiaro razzismo nei confronti del belga, cosa assolutamente meritata e doverosa, ma per la superbia dimostrata tramite l’inganno. Metto le carte in tavola: ricordo benissimo quella gara, e ho barato. La corsa consisteva nel partire in bicicletta dalla chiesetta di Sant’Anna, andare fino al termine della strada asfaltata, in corrispondenza del Lago del Mulino e della casa di Cipulìn, e poi tornare indietro, il tutto cronometrato coi nostri possenti orologi digitali. Ebbene, io, che son sempre stato scarso in tutti gli sport, non sarei mai certamente arrivato primo se non avessi invertito furbescamente la marcia un decina di metri prima del punto previsto. Sono una persona orribile! Infatti, nella seconda gara sono arrivato solo terzo perché qualcuno (mi pare Daniele), insospettito dalla mia improvvisa bartalizzazione, mi ha seguito a distanza e non ho più potuto mettere in atto il mio diabolico piano. Moan, e mi son fatto battere da un belga…maledetti belgi!
Nel triste panorama fornito dai servizi del telegiornale, non mancano mai quelli sulla cosiddetta “tassa sull’idiozia”, ovvero il gioco d’azzardo statalizzato: lotto, lotterie, superenalotto e fratelli minori (esisterà ancora il Totip? – no, non è questo il Mistero. Ma se volete rispondere, fate pure).
Esistono due tipi di servizi su questo argomento: prima della vittoria e dopo la vittoria. I primi si tengono quando il montepremi è alto o stanno per avvenire le estrazioni, e tipicamente consistono in interviste per strada ai passanti a cui si chiede: “Cosa farebbe se vincesse i duecento fantastiliardi in palio?”. Tutti a parlare di ville, viaggi intorno al mondo, beneficenza, e nessuno mai che risponda “Comprerei il Lesotho”. Io comprerei il Lesotho per cambiarne il nome in “Terra dei Bruste e del Cioccolato” e per promulgare una legge che imponga lo studio dell’Enciclopedia Stronza a scuola e impedisca l’uso dell’aglio in cucina. Sì, nella stessa legge, che chiamerò “Il Decreto della Gongolanza”. La bandiera della Terra dei Bruste e del Cioccolato sarà una pizza al salame piccante, per confondere i nemici. Non una raffigurazione di una pizza su una bandiera, ma una pizza vera e propria.
Ma io divago. I servizi del prima sono quelli che non mi interessano. Parliamo invece del dopo. Tipicamente, il pezzo si svolge nel bar/tabaccheria dove è stata giocata la schedina. Ci si interroga su chi può essere il fortunato vincitore e tutti sono contenti, stappano lo spumante e brindano. Non hanno vinto un cazzo, ma brindano lo stesso. Che brindano a fare? Manco avessero un Lesotho come parco giochi personale…