E’ autunno, la stagione delle pere! Non è proprio vero, è uno di quei frutti che si trovano tutto l’anno, ma siccome le pere sono un frutto buffo, mi pare un’ottima occasione per dedicare loro un post.
“Frutto buffo?” direte voi, “buffa è la banana perché ha forma fallica, buffi i cachi perché ricordano ‘cacare’, buffo l’avocado perché ricorda la parola ‘avvocato’, ma le pere?”
Beh, ci son tante ragioni per cui sono un frutto buffo. Innanzitutto non trascuriamo il fatto che vengono usate come sinonimo per “tette” e che un po’ la forma di tette ce l’hanno. Le tette di per sé non fanno un gran ridere, però mettono di buonumore, eccome se lo fanno, e questo è un prerequisito fondamentale per ridere.
E poi c’è la barzelletta brutta sulle pere. Eccola qui.
Allora, c’è un giardiniere che lavora in un giardino di un convento di suore. Un giorno, mentre lavora in giardino, gli scappa la cacca, e allora si tira giù i pantaloni e la fa per terra. Mentre è coi pantaloni abbassati arrivano due suore, e lui, per nascondersi, sale su un albero; purtroppo, però, le sue balle pendono giù perché era senza pantaloni. Le due suore si appropinquano all’albero e notano quegli affari a penzoloni. La prima li palpa e dice: “Quest’anno le mele sono proprio mature!”; la seconda la imita ma risponde: “Ma no, ti sbagli, sono pere!” Al che il giardiniere dice: “Non son mele, non son pere, son le balle del giardiniere!”
Numerose domande sorgono all’attento lettore. Perché dovevano essere proprio suore? Come fanno due donne, anche se suore (quindi brutte e probabilmente sceme) a confondere due testicoli umani con mele o pere o qualsivoglia frutto? Perché il giardiniere è salito su un albero invece che tirarsi su i pantaloni? In che razza di posizione stava sull’albero stesso perché i suoi zebedei pendessero ad altezza uomo senza che si potesse scorgere il resto del corpo? E che necessità aveva di intervenire con la sua rimata osservazione? E infine, la barzelletta fa ridere?
Rispondo solo all’ultima domanda, lasciando le altre per esercizio al lettore: sì, la barzelletta fa ridere, e tutto grazie alle pere. Provate a negarlo!
Ma andiamo oltre. Le pere sono buffe perché c’è il detto “Al contadino non far sapere quant’è buono il formaggio con le pere”, che è un detto buffo. Da giovane facevo spesso la gag di prendere qualcuno da parte e sottovoce dirgli: “Ssshh…devo dirti una cosa, ma parla piano perché il contadino ci ascolta…il formaggio con le pere è buonissimo!”. Ho poi scoperto che Andrea Pazienza aveva fatto una vignetta simile e sono rimasto scornato: “Ehi ragazzi, arriva il contadino! Nascondete il formaggio con le pere!” “Bravi giovini che fanno? Mangino?”. E poi, insomma, il formaggio con le pere è buono, ma il formaggio col miele o la marmellata di più. Quindi io sarei per liberalizzare la notizia nei confronti dei nostri amici agricoltori, che poi hanno le scarpe grosse e il cervello fino, quindi lo sanno già. Non nascondiamoci dietro un dito.
Le pere sono inoltre buffe perché ci sono le williams che in effetti non sono tanto buffe, le pere abate che invece sono buffe perché mi vengono in mente dei preti che coltivano le pere e mi torna in mente la barzelletta di prima, e infine le pere kaiser perché che diamine, un imperatore tedesco non ha di meglio da fare che coltivare pere? E dirò di più! Non ha di meglio da fare che coltivare le pere e metterci la cera sul picciuolo una per una? Ma a che diamine serve la cera sul picciuolo delle pere, se non a renderle più buffe?
E poi, insomma, le pere saranno buffe e pure buone, ma un giorno sono di marmo e non sanno di niente, e il giorno dopo sono molle molle che fa un po’ schifino mangiarle. Hanno una finestra di mangiabilità che dura tipo tre ore, e la cosa mi fa sbavare dalla rabbia, tanto che le pere non mi sembrano più buffe. Parliamo invece delle mele Pink Lady…
Nel 2010 la parola “compagno” ci risulta veterocomunista, sessantottina, primarepubblichina, marxista-leninista e chi più ne ha più ne metta. Eppure anche intorno al 1980, periodo a cui risale questa pubblicità, era una parola molto carica politicamente: non potevi dire “compagno” e non pensare a Berlinguer, alla lotta di piazza, agli studenti impegnati politicamente. Erano altri tempi, la politica era dappertutto, ma anche negli snack al riso soffiato?O, viceversa, era una parola talmente comune che non suonava strano sentirla così fuor contesto?
Che poi, al di là dello straniamento sulla terminologia, nascono un sacco di altre domande:
Perché i castori?!? Volete forse dirci che il Ciocorì/Biancorì sono duri come il legno?
E’ più zoccola lei o più servo della gleba lui?(e poi non è che sia molto comunista-emancipazione della donna far faticare l’uomo mentre lei si gode la vita, eh!)
Ma voi avete mai visto una giostra fatta così, con le biciclettine finte? Che senso ha?
Perché intorno ai baloon ci sono le onomatopee “crank cronk”, se nessuno sta sgranocchiando? (anche se entrambi si dichiarano in procinto di addentare)
Ma i castori sudano?
E soprattutto…perché la castora succhia il gambo di un fiore?
(Nota sul titolo che porta a un piccolo Aneddoto Inconcludente: in prima media avevo una professoressa di matematica che si chiamava Passeggi. Il cognome di questa signora non mi entrava in testa, e io continuavo a chiamarla “Compagni”. La cosa era ancor più buffa perché il tratto somatico rilevante della Compa Passeggi erano gli incisivi sporgenti. Da cui “compagni roditori”.)
PS: però Ciocorì e Biancorì rullano di brutto!
Questa notte mi son svegliato verso le 4 e non ho ho più dormito per un’oretta. Mentre mi rigiravo nel letto, insonne persino dopo aver letto un paio di capitoli di Detective Conan, mi è balzato in mente che il libro che sto leggendo è pieno di tirannobuche. Non ho la minima idea di cosa significhi né se sia un giudizio positivo o negativo. Non credo nemmeno che sia importante quale libro sto leggendo, ma per la cronaca è Cicatrici di Gianluca Morozzi. L’unica cosa che so, come una sorta di assioma, è che il prefisso “tiranno-” deriva da “tirannosauro”, non da Dionigi, tiranno di Siracusa, che compare in una versione sì e una versione no.
Insomma, cosa sono le tirannobuche?
Mi son sempre piaciuti un sacco i cartoni animati e i manga sportivi. Sì, quelli dove ci si allena in modo sovrumano sfidando le proprie possibilità nonché le leggi della fisica per fortificare il corpo e lo spirito e per riuscire ad imparare quei colpi segreti che permetteranno la vittoria, anche se questi ultimi sono in effetti molto tipici degli anni ’70, e già nel decennio d’oro dell’animazione giapponese per noi trentenni (’78-’88) sono rari, se ne trova traccia forse in Holly e Benji. Mi piacciono questo tipo di opere perché posso esaltarmi un sacco a pensare quando sia figo alzarsi alle cinque per allenarsi fino a vomitare per la fatica, poi andare a scuola dormendo dietro un quaderno e mangiando il bento in anticipo, e poi riprendere ad allenarsi nel pomeriggio, il tutto senza che io faccia in effetti il minimo sforzo. E poi quando i nostri eroi andranno al Koshien/giocheranno la finale/riusciranno a realizzare il colpo speciale, è un po’ come se fosse stato merito mio!
In questo ambito merita un approfondimento Mila e Shiro due cuori nella pallavolo per il successo ottenuto in Italia, un successo che forse solo Holly e Benji ha saputo rivaleggiare. Ma se per quest’ultimo la strada era spianata in Italia, terra di pizza pallone mandolino, Mila ha saputo crearsi un pubblico con uno sport che è diventato popolare probabilmente grazie a questa serie. In oltre vent’anni di repliche, si sono succedute sui campi di pallavolo italiani milioni di quattordicenni che avevano in testa solo “fare muro” e “servizi di punta”, che speravano di avere un Mister Mitamura che le allenasse duramente e che miravano a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Seul del 1988. Anche dopo il 1988, ovviamente. Tutte che vogliono schiacciare, perché si sa che se giochi in ricezione, come Nami, poi finisce che il tuo allenatore ti picchia, e se fai l’alzatrice, come Kaori, poi finisci a far la pubblicità al Philadelphia. La serie ha inoltre il merito di coniugare anche un po’ di drama alle vicissitudini sportive, con l’amorazzo con Shiro (dimenticato dopo poche puntate, però), le rivalità con le amiche/nemiche, le vicissitudini familiari, e di presentare una protagonista con una certa personalità, laddove Holly o Mimì o Naoto Date sono personaggi assolutamente anonimi (e Holly è infatti soffocato dai comprimari nella memoria collettiva). I fan di Mila e Shiro potranno divertirsi un po’ con questo tumblr irrispettoso che io trovo spassosissimo: il gioco di prendere i fermi immagine e reinterpretarli si può fare con qualunque cartone, ma il fatto che sia stato fatto con Mila ne testimonia la popolarità.
Io stesso, pur trattandosi di una serie da femmine, ho visto Mila e Shiro più volte, ma solo di recente mi son chiesto una cosa che non mi fa dormire di notte: perché diamine la squadra dove va a giocare Mila si chiama Seven Fighters, se i giocatori di pallavolo in campo sono sei?
Le mie gite a Sassello in inverno sono state rare e sporadiche, eppure ricordo un sacco di cose di quelle vacanzine fuori stagione. Sarà che erano così anomale che si prestano a essere rimembrate, un po’ come succede che ti ricordi benissimo dell’unica volta in cui sei andato a pescare merluzzi rispetto a tutte le volte che sei andato a pescare branzini. Che poi i merluzzi freschi non esistono, i merluzzi si mangiano solo surgelati, meglio se in forma di bastoncino, meglio se del Capitano. Il che mi ricorda che i bastoncini di pesce ogni tanto compaiono nella mia dieta, mentre invece i Sofficini, che in qualche modo sono i loro gemelli, invece non li mangio da lustri ormai. Credo che abbiano financo cambiato ricetta.
Ma io divago, tanto per cambiare. Nella Pasqua 1983 andammo a Sassello con tutta la famiglia. Una volta partiti, arrivati di fronte al Grand Hotel Diana di Alassio (a una diecina di minuti da casa mia), il mio babbo si rese conto di aver dimenticato il borsello e dovemmo tornare indietro a prenderlo. Probabilmente in quel borsello (che sarà stato di vero budello) c’erano chiavi e portafoglio, quindi non c’era scelta. Arrivammo in campagna e mi preparai ad andare a scorrazzare in giro coi miei amichetti, quando venni fermato da mia mamma: “Molla qui l’orologio! Poi finisce che lo perdi o lo rompi scorrazzando in giro coi tuoi amichetti!”. Invero, avevo un orologio digitale di cui ero molto fiero perché aveva la bellezza di otto pulsanti, quattro intorno all’orologio e quattro sotto il display, una soluzione mai più vista perché da allora la tendenza nel design è stata di ridurre sempre di più il numero di pulsanti. Misi quindi l’orologio in un contenitore nella credenza dove si tenevano i biscotti e la Nutella e me ne andai a scorrazzare in giro coi miei amichetti.
Passarono alcuni giorni e fu il momento di ritornare a casa; chiudemmo la casa e ripartimmo. Poco dopo, quando eravamo dai Badani (quindi a circa dieci minuti di strada da casa), mi accorsi di aver dimenticato l’orologio in quel contenitore. “Mamma, papà, torniamo indietro, ho dimenticato l’orologio!” li pregai, ma invano. Eravamo partiti e non si tornava indietro. Sì, però per il borsello eravamo tornati indietro, è un’ingiustizia. E quindi rimasi senza orologio per tutta la primavera finché, giunta l’estate, non tornai a Sassello ed ebbi la possibilità finalmente di tornare in possesso del mio orologio digitale con otto pulsanti.
La morale è che, se sono arrivato tardi qualche volta nella primavera 1983, non è colpa mia, e che i bastoncini di pesce sono buoni, anche fatti al forno.
L’unica ragione buona che mi viene in mente per andare a questa assemblea è per proporre di costruire una monorotaia e cantare una canzone a questo proposito.
Monorail, monorail, monoraaaail!
(a parte questo, trovo bellissimo l’accostamento “rumore – sicurezza – viabilità – riutilizzo del mercato del pesce”. Tutti problemi che una monorotaia risolverebbe, eh!)
(e per quanto forse possa essere corretto, “la sindaco” mi suona proprio male…)