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Il giovane Luca alle prese col malvagio professor Enzo

Oggi sfoderiamo un po’ di rancore.

Nel luglio 1989 partecipai alla mia prima vacanza studio in terra anglofona, per la precisione a Nottingham, nel centro dell’Inghilterra, con soggiorno presso una famiglia. Non fu un’esperienza molto felice: un po’ ero troppo babanotto per poter godermi l’esperienza, un po’ la compagnia non era un granché, un po’ la città la ricordo come bruttina.  E soprattutto la spedizione era guidata dal professor Enzo.

Curiosamente ho rimosso il cognome di questo malefico signore, ma ho davvero un pessimo ricordo di lui come persona e come insegnante. La vacanza era organizzata dal Don Bosco di Alassio, istituto che è noto per cercare di inquadrare i ragazzi in modo molto preciso per mantenerne il controllo: ad esempio vengono stabiliti i tempi di studio e si costringono i ragazzi a dedicare un tot di tempo a ogni materia: oggi dalle 14 alle 15 studiate latino, e non importa se sapete già la lezione, al massimo fissate il vuoto, e pazienza se non imparate a gestirvi e maturate, l’importante è che sappiate la perifrastica passiva. Enzo si adattava perfettamente a questa filosofia. Era infatti molto scrupoloso nel controllare i movimenti di tutto l’entourage, arrivando a telefonare tutte le sere in ogni casa per verificare se fossimo usciti. Infatti, secondo le sue regole, non si poteva uscire se non col gruppo intero o al massimo con la famiglia ospitante. A chi era preso in fallo, spettava la temutissima Telefonata a Casa: Enzo prendeva e telefonava in Italia dicendo “Suo figlio è uscito!”. Per quanto mi riguarda, come dicevo, ero un po’ babanotto e poi la mia casa era un po’ fuori mano, quindi non mi ero neanche posto il problema di uscire, ma suppongo che se l’avessi fatto e fossi stato beccato, i miei avrebbero detto “Embe’? Se è uscito è perché aveva qualcosa da fare!”.

Come tutti i capetti fascistelli, Enzo pretendeva che gli altri rispettassero le sue regole ma si riteneva al di sopra delle altre. Ad esempio, durante le lezioni, si metteva a fumare nonostante i divieti ben esposti nelle aule. A chi gli chiedeva spiegazioni, lui rispondeva scrollando le spalle: “Rules are done to be broken”, le regole sono fatte per essere infrante.
Una sera, riportai alla mia famiglia ospitante questo comportamento, e li vidi stupitissimi. Non per la ribalderia del nostro supposto educatore, ma perché proprio non riuscivano a capire il senso della frase: le regole sono regole, che diamine! Non son mica fatte per essere infrante, devono essere rispettate! Era un po’ come se gli avessi detto qualcosa privo di senso come “ho messo un autobus nel panino per migliorare l’acustica della Lettonia”. Gli esterofili potranno interpretare il loro stupore come indizio dell’integrità dei popoli nordici che non riescono nemmeno a concepire l’idea di considerare le regole come spazzatura, mentre gli xenofobi sosterranno che in fondo è una battuta, e che l’onestà non dovrebbe pregiudicare la capacità di comprendere una gag, per quanto stupidina, e che quindi i popoli nordici sono un po’ duretti di comprendonio. Infine, i più malvagi potrebbero sostenere che fossero le mie scarse doti nella lingua d’Albione a compromettere la loro comprensione. Ma vi assicuro che non è così.

E per concludere il ritratto di Enzo: la partenza per la Gran Bretagna avvenne da Nizza con Air France perché “Alitalia fa sempre scioperi”. Al ritorno ci fu uno sciopero improvviso e selvaggio di Air France che ci costrinse a stazionare in aeroporto per oltre sei ore. Ok, magari questa non è colpa sua, ma mi andava di infierire!

Update: mi fanno notare che è più corretta l’espressione “Rules are MADE to be broken”, però sono abbastanza certo di aver sentito “done”. Potrebbe essere una quarta spiegazione alla perplessità dei nottinghamesi e un ulteriore indice dell’incompetenza di Enzo, oppure una conferma della mia scarsa memoria. Scegliete voi.

Cinque puntate perdute di Holly e Benji

Lo so, crediamo di averle viste tutte alla nausea le puntate della classica serie Holly e Benji due fuoriclasse (aka Captain Tsubasa aka Che Campioni Holly e Benji) : la prima, la seconda serie, gli OAV sulla nazionale e i remake.  Ma non è così: la tv non ci ha detto tutto. Solo i più informati, infatti, hanno visto cinque puntate perdute. E io mi picco di essere uno di essi. Degli informati, cioè.

Il gemello perduto

La Newteam incontra ancora una volta la Hot Dog dei gemelli Derrick, ma la aspetta una sorpresa: Jim Derrick, il terzo gemello che finora era stato in Germania a studiare per diventare ispettore. Lo stupore si muta in sconcerto quando Jason, James e Jim sfoderano il nuovo tiro speciale: il Panino al Wurstel, omaggio alla propria squadra. Si tratta di una variante della Catapulta Infernale, in cui Jason e James agganciano contemporaneamente Jim coi piedi e lo scagliano velocissimo in avanti, permettendogli di andare a segnare di piede o di testa. La potenza è tale che vengono sollevate zolle d’erba, al che James commenta asciugandosi il moccio col dito: “Che panino al wurstel è senza insalata?”. Holly, dopo un attimo di sconforto, trova la soluzione piazzandosi coraggiosamente di fronte a Jim quando sta per essere scagliato, facendo in modo di farsi fare fallo. “Coi wurstel ci vanno i crauti, non l’insalata!” è il suo commento dopo la rimonta e la vittoria.

Rigore a porta vuota

Nel girone eliminatorio  del Campionato Nazionale il sorteggio porta ancora una volta la Newteam di Holly Hutton e la Toho di Mark Lenders a confrontarsi. La partita finirà in un rocambolesco pareggio 3-3, quindi il primo posto nel girone verrà deciso dalla differenza reti. Entrambe le squadre devono ancora affrontare la Doner Kebab, ed entrambe si ritroveranno nella stessa situazione: viene assegnato un calcio di rigore alle due contendenti, e il portiere Peter Fries, spaventato dalla potenza di fuoco dei due numeri dieci, non osa mettersi in porta. Mark non avrà pietà e segnerà a porta vuota sfondando la rete, mentre Holly preferisce passare il pallone con dolcezza a Fries, per insegnargli che il pallone è il suo migliore amico. Come conseguenza sarà la Toho ad arrivare prima nel girone e la Newteam dovrà affrontare avversari assai più ostici nel suo cammino verso la finale.

Il tiro ipnotico

La Newteam affronta la Mandrake (pronunciato “Mandrache”), squadra nota per il famigerato “Tiro ipnotico” del capitano Gus Goldwing. Quest’ultimo è in grado di imprimere al pallone un tale effetto per cui tutti coloro che lo guardano rimangono paralizzati e impossibilitati a muoversi (durante l’ipnosi, ovviamente, ci sarà un florilegio di flashback). Il tiro è talmente efficace che nessun membro della Newteam è in grado di contrastarlo, e ogni azione di gioco si conclude con un gol. Per fortuna la Mandrake è assolutamente incapace in difesa, quindi i gol si accumulano fino all’incredibile risultato di 23-23. Allo scoccare dell’ultimo minuto, però, Bruce Harper ha un’idea: chiudere gli occhi quando il tiro viene scoccato. Giocando al buio e basandosi solo sul suono del pallone, Holly riuscirà a neutralizzare il Tiro Ipnotico e vincere 26-23.

Il mistero della Mythos

Anche la Flynet di Phillip Callaghan affronta un avversario inedito ed ostico: la Mythos, squadra famosa per essere particolarmente resistente. Nel secondo tempo, infatti, quando la fatica della partita si inizia a sentire, la Mythos è fresca come una rosa e, forte di un gioco basato sul movimento continuo dei giocatori, finisce per rimontare e fare polpette di tutti i suoi avversari. Il primo tempo finisce 2-0 per la Flynet, ma è nella ripresa che tutti sono col fiato sospeso: infatti la squadra di Hokkaido, nonostante la durezza dei suoi allenamenti nella neve, pian piano cede alla velocità e alla resistenza dei giocatori della Mythos e a pochi minuti dalla fine perde per 4-2. La manager della Flynet Mary Aircrosser, però, vedendo da vicino un avversario e notandone una cicatrice, ha un sospetto: si mette un paio di baffi finti e si introduce nello spogliatoio della Mythos dove scopre che questa squadra è composta da undici coppie di gemelli identici: un gemello gioca il primo tempo, mentre il secondo entra nella ripresa in modo da essere freschissimo. Mary corre, va dall’arbitro cercando di spiegargli la situazione ma a causa dei baffi finti non è riconosciuta dal direttore di gara, che fischia il termine dell’incontro ignorando le sue proteste. In seguito la situazione viene a galla, ma essendo ormai impossibile provare la condotta smargiassa della Mythos, la vittoria di quest’ultima viene confermata. Nel turno successivo, però, l’arbitro verificherà i giocatori mettendo loro dei braccialetti e la Mythos perderà con ignominia.

A piedi nudi dalle isole

E’ invece la Mambo di Julian Ross che affronta la Bossanova, proveniente da un’isola presso Okinawa. La Bossanova ha la caratteristica di giocare a piedi nudi: il regolamento del calcio per giovani virgulti infatti non richiede in Giappone l’uso di scarpe durante le partite. La grande sensibilità che deriva dal contatto diretto col pallone permette alla squadra del sud una grandissima precisione nei tiri, da cui deriva una strategia particolare e molto efficace, soprattutto contro la tattica del fuorigioco messa in atto dalla Mambo. Tutti i giocatori stanno in difesa, tranne le punte che stanno però sempre nella propria metà campo. Appena il pallone viene conquistato, viene scaraventato lontanissimo, verso la bandierina del calcio d’angolo, dove rimbalza e ritorna in mezzo all’area, con le suddette punte pronte a insaccare. L’incredibile strategia combinata alla strenua difesa della Bossanova la porteranno in vantaggio per 3-0. Ci vorrà tutta l’energia di Julian Ross (e un nuovo farmaco per il suo cuore malato sviluppato durante il secondo tempo dai Laboratori Eggfield) per ribaltare il risultato e vincere ai rigori.

(Tsuzuku?)

Annecy 2010 parte prima: lungometraggi

Vedo già Joril strozzarsi col vitaminico katsudon che stava sgranocchiando davanti al pc e Kotekino inveire “Per Belenos! Per Toutatis!”: ma come?!? Non avevi detto che quest’anno avevi saltato il festival e quindi avresti rinunziato ai consueti pallosissimi resoconti? Certo! E’ per questo chegli articoli del 2010 saranno scritti da Mastro Botty, e solo commentati da me (nonché corretti dove non mi piaceva come aveva scritto, che diamine, questa è casa mia e qui comando io!). I miei commenti in corsivo.

Partiamo subito con una considerazione di carattere generale: la consueta mandria di gente con borsa e badge al collo che gli altri anni praticamente soppiantava la popolazione locale, quest’anno non si è vista… Gran numero di persone, sì, ma non così eclatante. Io me lo sono spiegato con tre possibili ipotesi (non ho ancora scelto quella da ritenere vera…. fate voi, o aggiungetene altre): c’erano effettivamente meno partecipanti, per i più svariati motivi (meno soldi? Si era sparsa la voce che Luca XXmiglia non ci sarebbe stato? Mah!); c’era lo stesso numero di persone ma una considerevole percentuale si è rotta le palle di andare in giro festonata con borsa e badge (tendo ad escluderla); i locali, complice il bel tempo (che io in realtà gli anni scorsi non avevo mai visto) hanno deciso in massa di uscire e godere della loro splendida cittadina riducendo l’impatto percentuale.

 Mumble…intanto non sono mica tanti quelli che vanno in giro con la borsa, che è oggettivamente più scomoda di un italico zainetto. I badge a volte si tende a nasconderli, soprattutto se, come l’anno scorso, i portabadge sono difettosi e tendono a rompersi verso il giovedì. Magari c’era più gente autoctona in giro, ma anche se l’impatto percentuale varia non cambia quello del numero assoluto. Insomma, l’unica possibilità ragionevole è la prima che citi: che si fosse saputo che io non c’ero e che quindi mancasse lo stimolo primario a recarsi nella lacustre cittadina. Sì, non c’è dubbio.

Altra considerazione importante, il nostro scout (nel senso US Army del termine, non nel senso badenpauelliano) Spacca ha scoperto un luogo dove fanno il caffè meglio che nello Chalet a Crepe (anche se con cameriere più brutte); per non dire della recente apertura di un Sushi restaurant in zona Pierre Lamy, che è stato prontamente collaudato (si puo` andare, l’anno prossimo, tested and approved).

L’immagine di Spacca vestito da scout è impagabile. Infatti non la pagherei. Stigmatizzo invece il sushi: che diamine, siete in Haute Savoie, patria della tartiflette, e vi andate a cibare di pesce vecchio di giorni, e quindi con poche vitamine? Scuoto la testa in segno di disapprovazione e vi informo che ad Annecy 2011 nessuno mangerà sushi se non ha mangiato prima almeno una tartiflette, una tartare di manzo, due crepe (o galette) e un assiette du terroir.

Nota finale ‘extra evento’, la Grande Salle ha raggiunto livellio termici degni della Pierre Lamy. Solo che in Gran Salle ci sono 2000 persone…

Ciccio, tu non sei stato nella Pierre Lamy nel 2003, l’estate più calda del millennio, e non hai idea di cosa sia una sala bollente. (Aggiungo come nota di colore che nel 2003, mio anno di novellinato ad Annecy, ero andato su pieno di maglioni e pantaloni lunghi perché mi avevano detto che faceva freddo. Stolti consigliori!)

E ora veniamo all’evento vero e proprio.

Era ora.

La programmazione di quest’anno, tanto per iniziare, era un discreto scoglio, quantomeno all’apparenza, visto che pareva nettamente privilegiare i corti in concorso e i lunghi, sia in concorso che fuori concorso, a discapito degli altri programmi. In realtà alla fine non è stato proprio così perché son riuscito a vedere tutti i corti fuori concorso, un paio di film di scuola, oltre ai commissioned e un paio di retrospettive. Però in concomitanza dei corti della sera in Grande Salle, c’era, alla Petite Salle, la retrospettiva completa dei vincitori di Annecy, da quando e` stato creato ad oggi. Unica programmazione possibile, in quell’orario. Che, come è chiaro, può essere un po’ fastidioso…

Non mi è chiaro in cosa consistesse il privilegiamento dei corti in corcorso e dei lunghi rispetto agli altri programmi. E’ una mera questione di orari? Comunque consolati… a vedere i vincitori di Annecy, avresti dovuto riguardare anche i bambini sudanesi!

Il concorso.

I lungometraggi erano ben 7. Non mi ricordo, onestamente, quanti fossero gli altri anni, ma mi sembra un buon numero. Di questi 7 ne ho visti 5, perdendomi scioccamente quello di Trondheim (basato su un soggetto suo, sì, non saltatemi dalla sedia pensando che LT si sia dato all’animazione senza avvertirvi) che avevo bollato come cazzata (mal me ne incolga) e rifiutandomi invece di vedere One Piece (di cui sono in overdose solo che da cosplayer).

Il lungometraggio di Trondheim è tratto da Allez raconte, una sua opera molto personale in cui il nostro rivive le favole che raccontava ai suoi figli da piccoli: sono storie folli, sconclusionate, ricche di immaginazione e per questo spassosissime. Ne era già stata fatta una serie, e ora si attendeva per il lungometraggio. Che Botty avrebbe dovuto vedere, ovviamente. One Piece è roba di gente che si mena con un bel design gommoso. Secondo me un lungo si può anche vedere, c’è di peggio in giro.

Il livello di questi 5 era tutto sommato accettabile, con un solo sconfinato abisso costituito dal Beavis and Butthead cinese, Piercing I di Jian Liu… Corruzione e ingiustizia esistono anche in Cina…  (“sai la novità” “no, invece è importante che si faccia un film così, vuol dire che la cina si apre” “no, è esattamente il contrario. E’ innegabile che esistano corruzione e ingiustizia, ci faccio fare un film che così sembra che sono un paese democratico” fu il dialogo Botty – resto del mondo… ma è noto che io sia un cinico e anche un po’ arido…). Comunque il film era brutto.

Non ho capito, Beavis and Butthead parlano di corruzione?

Carino ,nel suo essere una favoletta per bambini, Kerity et la maison des contes, a cui è anche stata assegnata la Menzione Speciale. Naturalmente gli integralisti hanno subito avversato che la sceneggiatura era fatta a rampazzo e che non era realistico (belin, è una fiaba per bambini, dico io) che c’era troppo affidarsi al caso come espediente narrativo (belin, è una fiaba per bambini, ripeto io), che si prende il pubblico per scemo, perché i pretesti di base non sono credibili (belin, è una fiaba per bambini, insisto io, cominciando a mulinare una mazza ferrata). Comunque ha vinto.

Hai torto: il fatto che un’opera sia diretta ai bambini non deve pregiudicarne la coerenza, la validità della struttura narrativa e la credibilità.

Il grande atteso dallo spettatore offstream (tutti i mainstream avevamo Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson. Non ne parlo perché ne hanno gia` parlato dovunque. A me è piaciuto. Ha vinto il Cristal. Direi che basta e avanza, come recensione) era Summer Wars di Mamoru Hosoda, che gli ammiratori de La ragazza che saltava nel tempo attendevano in questa nuova prova. Non ho visto ‘la ragazza’, ma se era come questo, tutto sommato non ne sento troppo la mancanza. Si commentava che ha perso l’occasione per essere la versione anime di “Speriamo che sia femmina”, visto che l’incipit aveva un po’ questo sapore. Dopo un tot di tempo, che non saprei quantificare, parte lo svacco. In crescita esponenziale. Non ero pronto. Pollice verso. Mi dispiace Paolo e Giovanni, ma proprio non si poteva guardare.
Soprattutto, era l’ennesima parabola sui pericoli della rete, mi viene il latte alle ginocchia ogni volta che si sfiora l’argomento, ormai (vedi anche alla voce “faciloneria”).

Non so niente di questo film, ma La ragazza che saltava nel tempo è una roba discreta, non un capolavoro ma affascinante per il suo spirito “eighties”. Non ho capito bene di che parla questo qua, ma è vero che la rete è pericolosa, se esistono siti come Pinguini nel salotto!

Il mio favorito era Metropia, di Tarik Saleh, film svedese (ché in Svezia  non producono solo bambini sudanesi e powerpoint) con un’interessante (anche se un po’ deja vu) rappresentazione di un futuro distopico in cui la vita è sorvegliata dalla solita mega corporation che controlla i pensieri della popolazione (anche se, pensandoci a mente fredda, non si capisce esattamente quale sia lo scopo, visto che non si prospettano gli effetti di questo controllo). Hanno detto (e può essere vero) che hanno usato l’animazione per rendere attraente un qualcosa che in live action non si sarebbe filato nessuno. Può essere. Comunque all’inizio si vede la fermata della metropolitana di Kista, dove lavoro io, quindi era bello.

Tu lavori alla fermata della metropolitana? Questo spiega molte cose! Anche a Genova ho visto controllori del metrò fare presentazioni powerpoint! Non ho capito, comunque, di cosa parli questo film, al di là dell’ambientazione.

Gli altri due, come già detto, non li ho visti. Mi sono pentito di aver perso Allez Raconte!, di Jean-Cristophe Roger ché Spacca mi ha detto essere molto carino e reggere parecchio bene il lungometraggio, a dispetto dell’apparenza un po’ “serie tv”. Di One Piece Film: Strong World di Munehisa Sakai mi importa una seppia.

Le seppie sono buone.

Dei lunghi fuori ho visto probabilmente i più tamarri. Il secondo della quadrilogia di Evangelion Evangelion shin gekijōban: Ha, di Hideaki Anno che, rispetto alla serie, parte con lo svacco e le esagerazioni nettamente in anticipo (ce ne hanno messo di ogni, a partire dalla metà del secondo film… voglio sapere ora come vanno avanti. Giudizio sospeso, anche se su Eva son diventato un po’ un fanboy. Ah, e c’era un sacco di fan service, ma l’avevano in effetti promesso alla fine del primo…).

Sabisu, sabisu! Eva è fanservice (anche a livello meta) nel suo nucleo, quindi c’è poco da stupirsi. Ecco, questo mi ruga moltissimo non averlo visto sul grande schermo…

Prometteva di essere devastante (e a quanto ne so lo è stato) il lungometraggio colombiano a tecnica mista (e con mista intendo tutte quelle umanamente utilizzabili) Los extraños presagios de León Prozak, per la regia di Carlos Eduardo Santa, affettuosamente rinominato Prozac, per non parlare del minacciosissimo croato Duga (Joško Marušić). Tuttora ignoro. Rintarô, col suo Yona Yona Penguin, mi dicono aver raggiunto abissi ormai imbarazzanti, mentre pare essere stato discreto Mai Mai shinko to sennen no maho di Sunao Katabuchi. Ma veniamo alla vera star della programmazione Lunghi fuori concorso… Redline, di quel genio di Takeshi Koike. Dichiaratamente tamarro, fin dallo snapshot dei cataloghi… non si può non amarlo. A differenza di Summer Wars era così talmente sfacciatamente cafone che l’istruzione ‘spegni il cervello che arrivano le vacccate’ passava gia` da prima di entrare al cinema… Mi son divertito. Come un bambino scemo, sì, ma mi son divertito.

Dicci di più: tamarro in che senso? come trama, come spirito, come realizzazione? Tamarro come può essere Ken il guerriero o un film con Vin Diesel? O piuttosto come Beavis and butthead?

Grazie mille a Botty, soprattutto da parte di Joril, e attendiamo la parte seguente!

Lo smemorato

Non ricordo la prima volta in cui sono andato al cinema. E’ un po’ come se ci fossi sempre andato. Forse era una proiezione di Capitan Harlock, o un Disney, o un Bud Spencer, o Gli Ufo Robot contro gli invasori spaziali. Chissà.

Non mi sovviene più il volto della maestra d’asilo Suor Luciana. Poco male, era una suora quindi era brutta.

Ieri sera ho dimenticato di caricare l’iPod. Per fortuna non dovrei doverlo utilizzare e ce n’è ancora per un po’.

Non sono più in grado di dimostrare il teorema di Rolle. Di conseguenza, nemmeno quello di Lagrange che si appoggia a Rolle come lemma, almeno nella dimostrazione canonica.

Non ho memoria di quando sono andato all’estero la prima volta. Ma era in Francia.

Se cerco di elencare le province della Sicilia, me ne mancano sempre un paio. E dire che sono rimaste 9 come ai miei tempi….

Ma dove diavolo avrò messo quel pennarello indelebile che uso per scrivere sui pacchi da spedire? Mi tocca scrivere con la biro e non si legge bene!

Oggi devo fare la spesa, ho stilato una lista ma sono certo di aver tralasciato qualcosa. Cosa sarà mai? E poi vado alla Coop, che mi è fuori strada e ci vado raramente, speriamo non sia qualcosa che hanno solo lì…

Ho riscoperto la settimana scorsa l’esistenza della quarta declinazione neutra in latino. Confesserò che vivevo bene lo stesso.

Non so più dov’è il Lago dei Giardini a Sassello. Ma ne ho un sospetto: secondo me è quello dalla passerella di legno, la prima dopo il Lago del Mulino. D’altronde, la regione chiamata “I Giardini” è altrove.

Aiuto.

Andare, camminare, lavorare

Non ho mai amato camminare, perlomeno in una specifica declinazione. Può infatti piacermi fare la tipica “passeggiata”, da quella postprandiale rilassata per digerire a quella per fare shopping a quella più impegnativa in montagna. Mi piace quindi camminare per il gusto di farlo, laddove detesto invece ferocemente andare a piedi per recarmi in un luogo specifico. Mi annoia, mi stanca, mi infastidisce. Quando mi capita perché ne sono costretto, scarpino velocissimo o addirittura corro in modo da ridurre al minimo l’agonia del tragitto, pensando: “Vi prego, datemi una motoretta, un autobus, un sidecar, una mongolfiera, una bicicletta! O almeno portatemi in spalla!”

Da bambino la pensavo già così, e quando ne avevo la possibilità correvo sempre, arrivando affannato e sudato a destinazione. Quando invece ero costretto a camminare, magari insieme alle vecchie zie che andavano pianin pianino e magari volevano persino il braccetto, sbavavo dalla rabbia e meditavo qualche soluzione. A parte l’ovvia risposta di prendere sempre la macchina, salutare abitudine, mi arrovellavo nell’inventare qualche stratagemma per camminare più rapidamente. Ero infatti convinto (e lo sono ancora!) che esista un modo per camminare più velocemente, ma non qualche tecnica strana tipo quella che usano gli atleti della marcia, quella buffa in cui si muove l’anca: piuttosto qualcosa di totalmente inaspettato e a cui, nella storia delle oltre dieci miliardi di persone mai vissute, nessuno abbia mai pensato, e che conduca ad aumenti di velocità proprio radicali. Qualcosa di rivoluzionario, talmente geniale nella sua semplicità che chiunque, dopo averlo sentito, possa dire “Ma perché non ci ho pensato io?”.

“Sì, bravo, ma cosa? Come vuoi migliorare qualcosa di così naturale e semplice come la camminata?” diranno i più rompiballe dei miei lettori (cioè tutti). Non lo so, per saturno! Se lo sapessi non solo andrei a piedi più rapidamente, ma brevetterei la mia Supercamminata Plus Plus Plus (ho anche già il nome pronto!) e sarei ricchissimo. E andrei in giro per il mondo a chiedere i soldi a tutti quelli che la usano, intanto camminando farei in fretta.

Pinguini in cucina II: Tartiflette

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Pinguini in cucina, la rubrica che dà dipendenza a Barbara!

Warning! High Calories dish!

Sì, lo so che aspettavate tutti la ricetta del nefasto maiale in agrodolce, ma, come i più informati sanno, questa è la settimana del Festival d’Animazione di Annecy 2010. Siccome per la prima volta dal 2003 sono assente, mal me ne colga, mi pare doveroso omaggiare la savoiarda cittadina col suo piatto da gustare almeno una volta durante il festival: la tartiflette.

(Come sarebbe a dire “Cos’è la tartiflette”? Non sosterrete mica di non aver letto con attenzione i miei dettagliatissimi resoconti dei festival dal 2005 a oggi?Ah! Mal ve ne colga!
Vabbè, leggete oltre, lo scoprirete)

Prepararsi

Innanzitutto, per gustare la tartiflette è necessario prepararsi psicologicamente. Non solo indossando il vostro grembiule preferito (che ormai do per scontato), ma entrando nello stato d’animo dell’amante dei cartoni animati: riguardatevi il vostro cartone preferito, e magari mentre cucinate mettete su un po’ di buone vecchie sigle anni ’80. La tartiflette non verrà più buona, ma voi sarete più contenti. Quindi via! (Coc-ci-nel-la chi non è d’accordo guai)

Ecco gli ingredienti per 3-4 porzioni:

E ora gli attrezzi:

Cucinare

Come al solito, amici fessacchiotti, facciamolo a passi.

1) mettete a bollire le patate intere. Dai, prima date loro una sciacquata per togliere la terra, che poi fa schifino vedere l’acqua sporca. Ci metteranno almeno 15′, quindi nel frattempo, visto che siamo gente che non ha tempo da perdere, passiamo ad altro. (Il suo cuore ora sì, batte batte forte, forte, forte)

2) sbucciate e tagliate la cipolla. Secondo il mio gusto non va troppo fine, ma se volete risparmiare fatica e usare il frullatore  non mi opporrò. Però, dai, è una cipolla sola, e poi il frullatore non è nell’elenco dell’attrezzatura e quindi non l’avete a portata di mano. E poi sporcare tutta quella roba per una cipollina sola, che non fate manco in tempo a piangere?

3)  mettete i lardoni nella padella e fateli andare a fuoco vivo girandoli col cucchiaio di legno. Quando sono dorati da tutti i lati, abbassate il fuoco e aggiungete la cipolla in padella. Continuate a cuocere finché la cipolla non è ben morbida e amalgamata, ci vorranno un 5 minuti abbondanti. Spengete il fuoco.

4) Nel frattempo, le patate potrebbero essere cotte. Dipende da quanto sono grosse, voi pungetele con la forchetta per capire se sono pronte. Quando lo sono, sbucciatele. Inveirete non poco perché saranno caldissime ma insomma, nessuno vi aveva mai detto che sarebbe stata facile. Per non scottarmi troppo io mi aiuto con degli Scottex da cucina, voi non so. (E quell’amo è una calamita, impossibile cambiare strada)

5) Ungete col burro la teglia. Se noi fossimo salutisti potremmo utilizzare magari la carta da forno invece del burro, ma riguardate gli ingredienti: pensate davvero che cambi qualcosa nell’impatto calorico quel poco burro rispetto alle quantità di formaggio, lardoni e patate? E poi la carta forno fa tristezza… quindi zitti e imburrate. Vi sentirete anche un po’ Marlon Brando, vuoi mettere l’emozione?

6) Tagliate metà delle patate a fette spesse circa mezzo centimetro e stendetele in modo ordinato sulla teglia. Metteteci sopra metà della padellata di cipolle e lardoni, seguita da un ulteriore strato di patate tagliate a fette e dal rimanente delle cipolle e dei lardoni. Coprite il tutto con la panna. Come ultimo strato, il formaggio, tagliato a fettine. Quest’ultimo deve riposare in modo uniforme su tutta la teglia, quindi dovrete regolarvi con lo spessore delle fettine, ma non è un grosso problema: forse non ve ne rendete bene conto, ma due etti di fontina sono tanti.

7) Infornate a forno molto caldo, 220-250°. Su, mettetelo al massimo e non pensateci più. E’ quasi tutto già cotto, quindi non deve starci molto, diciamo circa 10′. Se vi va (e io ve lo consiglio nonostante lo sbattimento) ci sta anche una gratinata mettendo il grill, così da rendere croccante la parte superiore. (Non è possibile stare al mondo se non possiamo sbagliare mai)

Mangiare, bere e impatto anale

La tartiflette deve essere servita caldissima. Questo vuole la tradizione, anzi, nei ristoranti ti danno addirittura le teglie di ceramica monoporzione per tenerla calda mentre mangi. In realtà, nella mia esperienza, è buona anche non calda calda calda, io l’ho addirittura scaldata al mattino e portata al lavoro nella gavetta termica per mangiarla in pausa pranzo. Però voi non ditelo ai francesi. Ah, è anche buona riscaldata più volte, anche se mi rendo conto che l’idea di far sciogliere il formaggio ripetutamente possa suonare strano.

L’accompagnamento più naturale è il vino rosso, in quanto piatto a base di formaggio e salumi, eppure, per qualche ragione che non mi spiego, non lo vedo male nemmeno con un bianco un po’ deciso. Ciononostante, io consiglio un Teroldego o qualcosa di simile. (C’è la speranza che d’ora in poi un futuro avremo noi)

La tartiflette è un piatto impegnativo, non tanto per il tratto finale del vostro intestino quanto per quello iniziale. L’abbondanza di formaggio, coniugata alle cipolle e alla pancetta, lo rende un cibo dalla digestione piuttosto difficoltosa: se, per fare un esempio puramente ipotetico, andate a vedere un festival di animazione in Alta Savoia e la prima sera al ristorante ordinate sempre la  tartiflette e poi dormite male, non è per il materasso duro o per quello là che russa, ma per le conseguenze della vostra cena. Ah, e il giorno dopo andrete di corpo regolarmente, ma ci saranno un po’ di puzzette extra: a meno che la vostra dieta abituale non consista nel chili con carne, in tal caso ne farete di meno. E i vostri compagni di camera ne saranno lieti.

(In una foresta sto, e molti ami…CLICK!)

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