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Fakt 2: I conformisti dei carrelli

Quando vado a fare la spesa al supermercato mi capita talvolta  di trovare i carrelli, riposti nell’apposito spazio, in una particolare configurazione. Succede infatti che, se ci sono più file di carrelli, tutti i carrelli siano stati presi da una sola o, viceversa, che siano stati presi da tutte tranne che da una. Beh, di solito le file sono solo due, quindi i due casi coincidono.

Risulta comunque che c’è almeno una fila di carrelli piena, di fronte a una o più quasi vuote. In questi casi, per me è inevitabile fare il Bastian Contrario, pensare “Che diamine, non voglio mica fare come tutti gli altri che seguono le mode!” e, con sicumera, andare a prendere il carrello nella fila piena. Regolarmente, il primo carrello di tale fila ha qualcosa che non va: magari  ha una ruota rotta, o è sporco o, nel caso più comune, il congegno dove mettere la moneta è difettoso e non si sblocca. Quindi, con le pive nel sacco, torno nel gregge e prendo il carrello dalla fila quasi vuota, inveendo: la mia facoltà di scelta è stata violata.

Fakt 2: I supermercati promettono libertà e poi non la danno

Il terribile errore della Voglia Matta

Ecco un’altra storia in cui io sono il malvagio della situazione. Tenetevi forte.

C’è stato un periodo, quando avevo circa 12-13 anni, che avevo preso l’abitudine di andare al cinema da solo la domenica pomeriggio ad Alassio.  Allora, come d’altronde adesso, non vivevo la cosa come un fallimento sociale, semplicemente avevo voglia di vedere un film e andavo al cinema, tutto lì.
In queste mie sessioni, che erano diventate una sorta di rito, mi portavo sempre qualcosa da sgranocchiare: patatine, caramelle, o qualcosa di simile; un giorno, andai a vedere un film il cui titolo ho rimosso (poteva essere magari I tre Amigos o Beverly Hills Cop 2, ma non ci giurerei) al cinema Colombo e acquistai al bar lì vicino, sorprendentemente chiamato Bar Colombo, una confezione di Voglia Matta. Le Voglia Matta, ora generalmente dimenticate, erano un prodotto della Perugina e consistevano in una specie di piccoli cioccolatini in una scatoletta di cartone, nella misura di una ventina per confezione. La pubblicità recitava, sull’aria di Cuore Matto di Little Tony: “La voglia matta, matta da legare, con cinque gusti non sai più che cosa fare” perché, come i più astuti avranno intuito, c’erano cinque declinazioni di Voglia Matta. Questa vertiginosa varietà di scelta cagionò la mia malvagità. Tenetevi ancora più forte. Infatti, iniziato il film, aprii la scatola, presi la prima Voglia Matta e l’addentai; tuttavia, appena morsa la prima prelibata pralina ebbi una brutta sorpresa: avevo commesso un imperdonabile errore e avevo acquistato l’unico gusto di Voglia Matta che proprio non mi piaceva, quella che sotto una scorza di cioccolato nascondeva una ciliegina candita. A me le ciliegine candite fanno cagare, infatti schifo anche i Mon Cheri. Immaginate lo shock: addenti qualcosa che pensi che ti piaccia un pacco e ti ritrovi con qualcosa di inaspettato! Come addentare un croissant e trovarci dentro del ragù al posto della marmellata!
La prima Voglia Matta la ingollai senza masticare ulteriormente, e poi, sconcertato, fui di fronte al dilemma: che fare? Il film sarebbe stato meno godibile senza la pappatoria, e comunque avevo pagato qualcosa tipo 1000 lire per i dolcetti, che non potevano andare sprecati. Ebbi quindi una diabolica illuminazione: in fondo, il cioccolato fuori è buono, almeno quello è mangiabile. Presi allora le Voglia Matta una per una, le succhiai amorosamente gustando ogni stilla di cioccolato…e poi…ehm, approfittando del buio della sala e del fatto che esa fosse semivuota, silenziosamente sputai le orride ciliegie candite sotto il sedile. In questo modo riuscii ad ottimizzare le risorse a mia disposizione, godendo di un po’ di cioccolato anche se non proprio delle Voglia Matta che speravo di avere, e il tutto al piccolo prezzo di un po’ di karma negativo e qualche centinaio di bestemmie di chi avrebbe dovuto fare le pulizie. In fondo il mondo è semplice.

Le regole dello shuffling

zen.jpgDi recente, il mio amato lettore mp3 Creative Zen è defunto. Non riuscivo più a caricarlo se non inveendo per mezzora armeggiando col cavo usb, e comunque, dopo la corsa sotto la grandine, non si è più acceso. Ho quindi provveduto ad acquistarne uno nuovo, ed essendomi trovato bene con quel lettore ne ho preso la versione nuova, lo Zen Mosaic, e per l’occasione ne ho trovato uno rosa. Rosa! Yuppie! A dire la verità mi piace di meno di quello precedente, per diverse ragioni che sono troppo noiose per scriverle qua, ma comunque il suo porco lavoro lo fa. Ho anche colto l’occasione per rinnovare un pochino il parco musicale presente nel lettore: prima era diviso in tre parti più o meno uguali con musica classica, l’opera omnia di De André e heavy metal, più qualche cosina sparsa. Adesso invece ho eliminato De André (perché in occasione del decennale della sua morte è troppo di moda!), ho rimpolpato la parte di classica e aggiunto alcune cose strane e varie. Io uso il lettore sempre e comunque in modalità shuffle, perché mi piace essere sorpreso e variare (pur se nella poca varietà della mia libraria), e pazienza se questo contrasta con l’intenzione dell’artista: De André avrà fatto un bel po’ di giravolte nella tomba ogni volta che sentivo un solo pezzetto de La buona novella o di Storia di un’impiegato.

Ecco, lo shuffle. Ignoro quale sia l’algoritmo che sceglie i brani, ma sono certo che è bacato poiché, in qualche anno di rilevazioni assolutamente non scientifiche e probabilmente basate su impressioni fallaci, ho rilevato che:

– Ma… tutto questo non ha senso!
– Sì, in effetti. Torniamo a parlare di colmi, va’…

Il colmo per un blogger

Una categoria di barzellette piuttosto diffuse, soprattutto ai miei tempi, era quella chiamata “i colmi”. Ad esempio:
– Sai qual è il colmo per un falegname?
– Avere una moglie persiana.
I colmi, quand’ero piccolo, per me erano sinonimi di barzelletta brutta. Non facevano mai ridere, erano roba da Sergio Paoletti. Tuttavia, direi che in quanto barzelletta brutta adesso meritano un po’ di analisi.

La struttura canonica è quella di dialogo introdotta dalla domanda “Sai qual è il colmo per…”. Tale struttura non è necessaria, ma solo una tradizione: il colmo citato funzionerebbe benissimo proclamando semplicemente che “il colmo per un falegname è avere una moglie persiana”.
Il significato di “colmo” è un mio spinguinamento recente. L’ho sempre interpretato come “introduzione su un mediocre gioco di parole”, quando, evidentemente, significa “il massimo”, cioè “la cosa più incredibile che possa mai accadere”. Lo so che è evidente, ma se siete qui avrete sentito parlare del concetto di “Pinguino nel salotto”, suppongo. La conseguenza, comunque, è che il colmo presenta una situazione reale ma che per qualcosa di esterno alla situazione stessa dovrebbe essere buffo. Non c’è niente di strano al fatto che un falegname abbia una moglie mediorientale, se non per uno stupido gioco di parole. Probabilmente è questa la ragione per cui li ho sempre trovati poco divertenti: la barzelletta è il terreno dell’assurdo, non dell’ironico. La stessa cosa vale, ad esempio, per il colmo dell’idraulico (avere un figlio che non capisce un tubo), o il colmo per un matematico (abitare in una frazione) etc.

I colmi raggiunsero il loro colmo nel 1985, col colmo della saga del “colmo dei colmi”. Mi spiego meglio: nel 1983, si diffuse la barzelletta:
– Sai qual è il colmo dei colmi?
– Un muto dice a un sordo: “un cieco ci sta spiando”
Come avrete notato, la grossa differenza rispetto  ai colmi tradizionali sta nel fatto che propone una situazione impossibile, la cui assurdità dovrebbe essere la miccia per l’effetto comico. Dico “dovrebbe” perché in effetti non fa ridere, tanto più che il muto potrebbe comunicare col sordo a gesti, e il cieco potrebbe spiare, in senso lato, origliando.

La cosa non finisce qui: l’anno successivo, qualche buontempone aggiunse un pezzo al colmo dei colmi. Questo è il colmo dei colmi 1984:
– Sai qual è il colmo dei colmi?
– Un muto dice a un sordo: “un cieco sta spiando un paralitico che fa ginnastica”.
Come prima, non fa ridere, e la ginnastica del paralitico potrebbe essere fisioterapia.

Nel 1985 il colmo dei colmi ebbe una svolta. Invece di aggiungere, che so “un cieco sta spiando un mongoloide che insegna a un paralitico a fare  ginnastica” (sì, erano barzellette terribilmente politically incorrect. Vedi sotto) un genialoide propose:
– Sai qual è il colmo dei colmi?
– Ornella Muti dice ad Alberto Sordi: Cecchetto ci sta spiando.
Che, anche se torna nel terreno dei giochi di parole dei colmi tradizionali, un timido sorrisino lo strappa.

Nel 1986, l’Italia fece una figura barbina ai mondiali in Messico, nessuno aveva voglia di raccontare barzellette e così finì la saga del Colmo dei colmi.

PS: il colmo per un blogger è fare un post sui colmi, ovviamente. Lo so che non fa ridere, ma nemmeno il colmo per un falegname.

PPS: sì, per il falegname c’è la variante sulla moglie persiana che va in giro scollata. Ma non fa ridere lo stesso.

PPS: la versione 2008 del colmo dei colmi, ovviamente, sarebbe: “Un diversamente comunicante dice a un audioleso: ‘un non vedente ci sta spiando’ “.

Misteri della vita XC: Sapendo di mentine

Non di rado, per rafforzare l’idea che qualcuno dice una bugia, si utilizza l’espressione “Egli mente sapendo di mentire”.
Ma è possibile mentire senza sapere di mentire? O meglio, è possibile certamente non dire la verità involontariamente, ma questo è classificabile come “mentire”?

Fakt 1: Diàmine, gràndine!

Inauguro una nuova categoria, audacemente battezzata Fakts. Il concetto è opposto a quello della storica categoria Aneddoti inconcludenti giacché a loro differenza i post di essa si focalizzeranno su eventi minori che però mi hanno insegnato qualcosa. La cifra di questa nuova sezione è, infatti, avere imparato qualcosa di nuovo; ogni articolo, quindi sarà composto della narrazione di un evento e del “fakt” che ne consegue, ovvero la nozione che riassume quello che ho imparato. Quasi sempre sarà qualcosa di ovvio ma che,  nel pieno spirito pinguinesco, non avevo ancora realizzato: i più astuti avranno già intuito che tutto ciò non è che un omaggio/citazione/plagio del famoso cortometraggio animato Harvey Krumpet. Per  sua natura, la maggior parte degli articoli verteranno su eventi recenti, ma è probabile che anche qua comparirà ogni tanto il Piccolo Luca.

Evento: ieri mattina, domenica 14 dicembre, sono andato a farmi una corsetta al Porto Antico di Genova. Il tempo era brutto, ma ormai, visto che è un mese e mezzo che piove quasi ininterrottamente, mi sono rodato a correre anche sotto la pioggia invernale. Il problema è che, a un certo punto, tra tuoni e lampi, la pioggia sempre più battente si è trasformata in grandine, in quantità tale che si è formato uno strato per terra che scrocchiava sotto i miei passi.

Fakt 1:  la grandine è molto fredda e fa assai male quando ti cade addosso.

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