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Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Gatorade alla salsiccia

Vicino a casa mia, a Genova, è situato il prestigioso Teatro della Tosse di Genova. Passandoci davanti, poco tempo fa, mi son ricordato che un mio amico, che chiameremo S., lavora lì come tecnico delle luci.
S. , come me originario di Alassio e trasferito a Genova, è stato mio compagno di classe alle medie, compagno di giochi di ruolo durante le superiori, e mio coinquilino nonché compagno di camera durante il primo anno di università. Non è stata una convivenza molto felice, tanto che da allora, in tutti i coinquilinaggi in cui mi sono trovato, ho sempre imposto come vincolo irrinunciabile la camera singola.

Non che io ed S. non andassimo particolarmente d’accordo, ma soffrivo per la mancanza dei miei spazi, e soprattutto lui russava come un ananasso. Dato che una delle Crudeli Leggi della Vita stabilisce che “chi russa si addormenta sempre per primo”, per evitare di trascorrere ore insonni a fissare il soffitto avevo preso l’abitudine di sentire la radio notturna per passare il tempo e coprire il rumore. Avevo uno di quegli stereo “portatili” con maniglione che si usavano ancora nei primi anni ’90, a cui attaccavo dei cuffioni enormi e ascoltavo Radio Due, Planet Rock (amatissimo programma che mi ha avvicinato alla radio nel 1991, ormai defunto da lustri) fino a mezzanotte e poi Rai Stereonotte. Ad un certo punto, comunque, mi addormentavo, e in seguito, verso il mattino, mi svegliavo un attimo per spegnere la radio e liberarmi delle cuffie.

Una notte, passò una canzone bellissima. Non mi è mai accaduto, né prima né dopo, di essere così rapito e commosso nel profondo dall’ascolto di una canzone. Sarebbe bello poter dire che l’ho cercata all’inverosimile e solo l’altroieri l’ho finalmente scovata e oggi sto festeggiando il ritrovamento di quel gioiello, ma non è così. Tutto quello che so è che si tratta di una canzone stupenda passata su Rai Stereonotte in una notte tra il 1993 e il 1994, a naso tra mezzanotte e le due. Non ricordo manco in che lingua fosse cantata. Un po’ poco, temo. Ma forse è meglio così: probabilmente quel pezzo mi era piaciuto tanto per le condizioni particolari in cui lo ascoltai, risentendolo sarebbe stata una delusione.
O no?

I salumi di Paperopoli

Quand’ero piccolo amavo raccontare una barzelletta che era nota al parentado come “barzelletta sadica”, e che recitava così:

Pierino ha una sorella che si chiama Della. Un giorno la mamma manda Pierino e Della dal salumiere chiedendo loro di prendere un etto di prosciutto. Mentre attraversano la strada, Della finisce sotto una macchina e muore. Pierino torna a casa di corsa e grida “E’ morta Della! E’ morta Della!” e la mamma: “Ma io ti avevo detto di comprare prosciutto…”

Raccontavo frequentemente questa barzelletta per suscitare disapprovazione tra i parenti, ma il particolare che non mi piaceva era che Della mi pareva un nome davvero poco plausibile. Non conoscevo nessuna che si chiamasse così! Meglio, a questo punto, le gag con “Mando Lino, Manda Rino”…

La cosa mi ha tormentato per decenni, fino a quando, poco tempo fa, mi è capitato di rivedere l’albero genealogico della famiglia dei Paperi formalizzato da Don Rosa basandosi sulle storie di Carl Barks.
E allora tutto mi è stato chiaro: la misconosciuta sorella di Paperino, la madre di Qui Quo Qua, si chiama appunto Della. La barzelletta ha trasfigurato Paolino Paperino in Pierino, e questo spiega perché i nipotini, ormai orfani, siano stati affidati allo zio. Tutto per colpa di un etto di cotto.

Enciclopedia Stronza XXXI: Cristiano Germano, Purgarib, Paradosso dell’Ossobuco

Cristiano Germano: membro misconosciuto della banda Disney, Cristiano Germano fu creato nel 1971 dallo sceneggiatore Benito Matteotti. Egli decise che era ora di rimpolpare la banda dei paperi, e, pensando ai pennuti ancora non sfruttati, giunse al Germano Reale. Ispirato dal nome, Matteotti pensò di dare alla sua creatura una caratterizzazione tedesca e, lasciandosi trascinare dai luoghi comuni, finì per farne un pennuto nazista che andava in giro per Paperopoli a menare i “ratti comunisti” e “i paperacci negri”. In quegli anni così politicizzati l’idea sembrò fattibile, così la redazione diede carta bianca all’autore e la storia “Cristiano Germano e la lobby papersionista” apparve nel Topolino n. 814. Solo dopo la pubblicazione l’allora direttore responsabile si accorse che Cristiano Germano era ritratto come eroe positivo, amico di Paperino e addirittura spalleggiato da Paperinik nel corso di un “raid punitivo in difesa della giustizia e della razza”. Essendo troppo tardi per ritirare la tiratura, la redazione di Topolino fece finta di niente, cercando di far passare l’episodio inosservato. Da allora, però, la Disney fa incetta di numeri 814 per far scomparire ogni prova. Si dice che ormai ne siano in circolazione meno di venti copie, ognuna delle quali è valutata quanto un Van Gogh.

Purgarib: leggendario eroe della mitologia ittita, celebre per avere sconfitto mille formiche a mani nude.

Paradosso dell’Ossobuco: arzigogolata espressione logica escogitata dal matematico e filosofo Matteo Guido Cassonetto dei Barzotti di Milano nel XVI secolo. Il paradosso dell’Ossobuco recita: “Un cretese che mangia un’ossobuco dice ‘Tutti i cretesi che mangiano ossibuchi sono mentitori’. Mente o dice la verità?”. A chi faceva notare a Cassonetto dei Barzotti che la variazione rispetto al classico paradosso autoreferente del cretese era minima, se non trascurabile o addirittura risibile, il filosofo rispondeva che l’ossobuco è molto buono, zittendo inevitabilmente il suo interlocutore. Tuttavia, il nostro filosofo trovò pane per i suoi denti quando il suo rivale Guidaccione De’ Mammalucchi fece notare che a Creta nessuno mangia l’ossobuco, argomentazione incontrovertibile. Matteo Guido Cassonetto dei Barzotti morì dimenticato da tutti, soffocato da un ossobuco che aveva tentato di inghiottire per intero durante una cena in solitaria.

Misteri della vita LXXVIII: Modelle

(Per rinfrancar lo spirito tra un ponte e l’altro. Giusto per non lasciare il blog vuoto per due settimane, un’allegra domandina di cazzeggio)

Le modelle, come noto, hanno la simpatica e salutare abitudine di vomitare quello che hanno ingurgitato per non ingrassare. Non potrebbero invece gustare il cibo ma non inghiottirlo, sputandolo magari in un contenitore apposito?
L’usanza, apparentemente disdicevole, potrebbe essere resa socialmente accettabile rinominando il contenitore per il bolo Fashion Food Bag, o Topmodel puking purse.

– E ora, per la collezione autunno-inverno di Laura Biagiotti, una Fashion Food Bag con l’esterno in velluto rosa e l’interno in pratico acrilico lavabile marrone. Osservate la grazia con cui la nostra Katiuscia sputazza una coscia di pollo masticata con lo stile che la contraddistingue. Un applauso per Katiuscia!

L’orchestra vuota di Hanao-chan

Ora che il primo decennio del XXI secolo sta volgendo al termine, il fattore nostalgia si sta spostando dagli anni ’80 ai ’90, e fioccano i revival di vario tipo. Come capita comunemente in occasioni simili il tempo trasforma e abbellisce ciò che tanto bello magari non era: per me gli anni ’80 sono i robottoni in tv e le partite di pallone con gli amici nei prati piuttosto che Craxi, Reagan, gli yuppie e le giacche da uomo con le spalline. E, similmente, l’orrenda techno anni ’90 o Sailormoon in TV mandano alcune persone in sollucchero.

Ma io per questo decennio ho deciso arbitrariamente che è troppo presto, ed è per questo che oggi stigmatizziamo un programma che in quel periodo ha fatto furore: il Karaoke di Fiorello. Per chi non lo ricordasse o fosse troppo giovane o ai tempi fosse vissuto in una caverna, ricorderò che si trattava di un programma televisivo in cui un signore con la coda di cavallo girava per le piazze italiane e faceva cantare dei concorrenti dilettanti mentre sullo schermo tv comparivano i testi delle canzoni, invitando quindi implicitamente il pubblico (a casa e dal vivo) a cantare insieme. Al termine dell’esibizione di ogni concorrente il pubblico acclamava e un apparecchio, chiamato applausometro, misurava il rumore dei fan in delirio. Chi otteneva più applausi vinceva. Tuttavia, spesso l’applausometro misurava valori a caso e il vincitore quindi era piuttosto aleatorio, o più probabilmente deciso a tavolino in base alla simpatia o alla telegenicità dei concorrenti. Appare evidente che si tratta di un programma che può avere un certo successo, perché racchiude il coinvolgimento del pubblico sia dal vivo che in tv, coniugato con canzoni conosciute da tutti. Più sorprendente invece il fatto che una formula così povera sia durata la bellezza di quattro anni: non c’è poi tanto da stupirsi se Fiorello si sfondava di cocaina, chissà che palle!

Io ho dei ricordi contradditori del Karaoke; certamente non lo guardavo quotidianamente, un po’ perché era trasmesso alle 20 e alle otto a casa mia si vedeva il telegiornale, ma soprattutto perché a quell’epoca ero fissato con l’heavy metal e, come è normale per gli adolescenti, non accettavo compromessi con altri generi musicali. Figurarsi la musica italiana! Eppure diverse puntate devo averle viste, giacché c’è un momento che ricordo con affetto un po’ trash: la promozione dei jeans Lee. In queste occasioni saliva sul palco un fortunato astante del pubblico che per vincere un premio doveva annunciare un personaggio famoso che si chiamasse Lee, come i jeans. Inutile dire che, evidentemente, la risposta era suggerita dalla produzione. Dopo pochi giorni i Lee più ovvi erano esauriti (Spike Lee, Stan Lee, Sheryl Lee, Bruce Lee…) e iniziarono le risposte più spurie, come Jerry Lee Lewis, Jamie Lee Curtis o il Generale Lee inteso come automobile di Hazzard. Esauriti anche questi, con la telepromozione che non era ancora terminata, gli autori gettarono la spugna e passarono a orrori pseudo-spiritosi come “Leeno Banfi” o “Topoleeno”.

Ancora oggi, quando sento parlare di quanto Fiorello sia bravo e come sia il futuro salvatore della tivù italiana io ripenso a quel signore con la coda da cavallo e lo sguardo un po’ spento che, sentendosi dire “Topoleeno”, ha l’aria di pensare “Che me tocca fa’ pe’ campa’!”. Amico Rosario, figurati che noi ti guardavamo…

Enciclopedia Stronza XXX: San Pancrazio Vergine, Carciofo, Fulmine dei mirtilli

San Pancrazio Vergine: santo della provincia di Asti, noto per l’erezione della Cattedrale delle Bricioline e per le circostanze di canonizzazione. Pancrazio, nonostante avesse preso i voti da frate, era noto per la sua vita sregolata: beveva, bestemmiava e picchiava le vecchiette. Ma nonostante tutto era vergine, poiché nessuna fanciulla voleva giacere con un frate brutto, puzzolente e dal naso rubizzo. Finché un giorno, un corno di vino in una mano, una fetta di formaggio nell’altra, il malvagio Pancrazio cercò di usare violenza su una povera suora di passaggio. Tuttavia, appena introdotto il glande nella malcapitata, un boccone di formaggio gli andò di traverso ed egli morì soffocato. Secondo i testimoni – la violenza stava avendo luogo in pubblica piazza – però, Pancrazio prima di spirare fece in tempo a emettere un gemito da tutti interpretato come un segno di supremo pentimento.
Nel 1578 un congresso di teologi si riunì per stabilire se, date le
circostanze, Pancrazio fosse da considerarsi vergine (e quindi degno di essere canonizzato) oppure no (e quindi destinato a finire all’Inferno). I settantasette vescovi, dopo sei anni di discussioni, proclamarono il principio della “profunda penetratio” secondo la quale Pancrazio era in effetti morto vergine, oltretutto rinnegando il suo passato di scelleratezze. San Pancrazio Vergine si festeggia il sette marzo.

Carciofo: ortaggio con capolino e squame carnose che viene consumato in vari modi prima che giunga a completa fioritura. Particolarmente prelibati sono i carciofi ripieni, i carciofi fritti o i carciofi alla giudea, ma molti li preferiscono crudi conditi con olio e limone.

Fulmine dei mirtilli: fenomeno meteorologico tipico della regione del Trentino, consiste in una particolare forma di fulmine attirata esclusivamente dai mirtilli. Quando i Fulmini dei mirtilli colpiscono questi frutti, danno vita a una rara e succulenta marmellata caramellata, detta Mirtillera, di cui però da ogni scarica se ne ottengono solo poche, preziose gocce. Dato l’alto prezzo di mercato della Mirtillera, alcuni professionisti, detti Marmellanti, si sono specializzati nel raccogliere questa singolare composta nel corso delle tempeste di fulmini dei mirtilli (le cosiddette “Martinelle”), a costo di finire uccisi dalle scariche elettriche. Per ovviare a questa morìa, Manrico Krepentel, un ingegnoso scienziato del luogo, ideò un metodo per produrre su scala industriale la Mirtillera: all’interno della sua coltivazione di mirtilli, egli applicò tante minuscole antenne parafulmine a ogni frutto, sperando così di attirare le scariche su di essi e di ottenere grandi quantità di marmellata. Krepentel morì fulminato e caramellato durante una Martinella particolarmente violenta, e fu venduto dal figlio Ulrico al Mercato dei dolciumi di Fai della Paganella.

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