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Allegro quanto basta
Allegro non troppo, di Bruno Bozzetto, 1977
"Musica classica e animazione…dicono che l’ha già fatto un certo Trisney, Bisney, boh".
Già a partire dall’ironico inciso iniziale del "presentatore" Maurizio Micheli, è abbastanza chiaro che non si nega che l’idea di base è quella del Fantasia di Disney. Tuttavia, al di là del concetto di animazione applicata alla musica classica, tra i due film sono molte più le differenze delle analogie, e possono essere riassunte in un singolo concetto: Allegro non troppo tralascia la ricerca dell’estetica e della meraviglia visiva che è il cuore di Fantasia (ed è il suo limite perché a tratti Fantasia è proprio palloso. Il re è nudo.), ed è invece più teso a cercare di trovare le emozioni dello spettatore. Con un’eccezione, che vedremo.
La parte dal vivo che fa da cornice ai diversi pezzi è una specie di comica al di fuori dal tempo. Un disegnatore, Maurizio Nichetti, fa animazione in tempo reale di fronte ad un direttore d’orchestra prepotente che dirige un’orchestra di vecchiette pomposamente vestite. Forse non strettamente necessaria ai fini artistici, è però tutto sommato molto divertente. Inoltre, diciamolo, permette al film di raggiungere i dignitosi 80′ che di sola animazione sarebbero stati impossibili per i budget italiani.

Il primo episodio è uno dei più deboli: Il preludio al pomeriggio di un fauno di Debussy narra le visissitudini di un vecchio fauno che non si rassegna al fatto che sia terminato il suo tempo e che ormai le donne non lo vogliano più. Pur rasserenata da alcune gag comiche, la storia è tutto sommato un triste apologo della vecchiaia: rassegnarsi a scomparire, a diventare sempre più piccolo di fronte alla grandezza della gioventù è quello che il destino riserva ad ognuno di noi. Il disegno affianca al fauno caricaturale delle fanciulle discinte molto realistiche, forse quasi al rotoscopio. Il pezzo non è riuscitissimo, ma non per qualche ragione particolare: semplicemente l’alchimia fallisce in qualcosa, e questo episodio è infine semplicemente noioso. Con ironia, il presentatore Maurizio Micheli si sveglia di soprassalto al termine di esso. Beh, forse non sono ancora abbastanza vecchio per capirlo in fondo!

Subito dopo, con la Danza Slava n. 7 di Dvorak, invece si ride con una tipica comicità da Bozzetto. Al ritmo travolgente della musica si assiste ad un rapido riassunto della storia dell’uomo focalizzata su come le masse seguano ciecamente i propri leader. Almeno, non sempre, come scopriremo nell’ultima esilarante scena. Un episodio breve, travolgente, a modo suo anche politico, forse il più vicino all’estetica dei cortometraggi di Bozzetto.

E segue il celeberrimo Bolero di Ravel. Questa è l’eccezione di cui parlavo prima. E’ l’episodio che rinuncia a toccare le corde emozionali dello spettatore per narrare semplicemente la grandiosa marcia dell’evoluzione, col solo tocco di ironia della bottiglia di Cocacola lasciata dagli esploratori spaziali che dà origine alla vita. Si tratta dell’episodio più bello esteticamente: tantissime forme in movimento in animazione quasi disneyana, decine di personaggi uno diverso dall’altro contemporaneamente in scena, disegni molto particolareggiati addirittura al tratto a tratti immersi persino in effetti speciali. Veramente da rimanere a bocca aperta. Forse il Bolero di Ravel è una scelta "facile" per l’evoluzione, ma personalmente, pur nella mia ignoranza musicale, non riesco ad immaginare nient’altro con un simile crescendo; a parte Stairway to heaven che però non è ancora musica classica. Musica da matusa, forse.

Sfoderate i fazzoletti per il Valzer Triste di Sibelius, perché il gatto più infelice del mondo saprà farvi commuovere come capit all’intera orchestra di vecchiette. In una casa diroccata, un gatto ricorda i momenti felici che ha lì passato con le persone che la abitavano quand’era ancora in piedi. I ricordi, ripresi dal vero ma molto sfumati, si contrappongono al design particolarmente espressivo del gatto protagonista (corpo sinuoso, occhi enormi, animazione curatissima) per un effetto emotivamente devastante.

La parte centrale del film è decisamente il meglio del film. Di qui in poi si va a calare verso il gran finale.
Il Concerto in C-Maggiore di Vivaldi è un piccolo divertissement di stampo comico, con la bella trovata dell’ape che "apparecchia" il fiore di cui si vuole nutrire. Il rotoscopio è palesemente usato per gli esseri umani che disturbano l’insetto, dando un contrasto non da poco. Tutto sommato divertente, ma la parte miglire è l’introduzione col risveglio della natura.

L’ultimo pezzo è l’Uccello di fuoco di Stravinsky, ambizioso episodio in cui Bozzetto torna ai temi a lui cari del bombardamento pubblicitario e dell’alienazione dell’uomo moderno (e lo diceva trent’anni fa!). Purtroppo questo episodio è molto "manuleggiante", e a me la mano di Guido Manuli proprio non piace: l’episodio tende troppo al grottesco perdendo quel minimo di tensione drammatica che era indispensabile. Notevole l’inserimento di tecniche diverse come la plastilina a passo uno e alcuni sfondi dal vivo, tutti ben integrati.

E ci vuole un finale! Come chiudere meglio che non mandando "Aigor" in soffitta a cercarne uno? Assistiamo così ad un piccolo sfogo di vari finali che non sono altro dei brevissimi cortometraggi in diverse tecniche, forse anche omaggi ad autori famosi: mi è parso di riconoscere un tocco di Svankmajer in uno.

Film quindi a tratti disomogeneo, ma nel complesso godibilissimo. Una grande prova per la scuola d’animazione italiana nata da Carosello, e forse il suo canto del cigno.