Dopo la mia scoperta di Teddy Bob dell’anno scorso, quest’anno a Lucca comics ho compiuto un altro passo nel recupero della storia del fumetto italiano, o meglio, nello studio dell’archeologia del fumetto italiano: ho recuperato un fumetto di paninari.
Non molti sanno che queste pubblicazioni sono stati uno dei più grandi successi degli anni ’80, arrivando a tirare oltre 150.000 copie (non molte di meno del Dylan Dog odierno!) e che la casa editrice responsabile del misfatto non è altro che la Edifumetto di Renzo Barbieri, nota per i pornazzi da… barbieri come il Lando e il Tromba e assai abile nel cogliere i fenomeni di costume per sfruttarli commercialmente.
L’albo che ho trovato è in realtà una raccolta, quelle costruite mettendo insieme le rese da edicola e tuttora piuttosto diffuse, e porta come titolo “Super Paninaro”. La raccolta è composta da due albi: un Paninaro vero (il numero 9, Settembre 1986) e una pubblicazione minore: Jeans, dedicata al mito del “giovane autostoppista giramondo con lo zaino sulle spalle”, a cui non dedicherò attenzione.
Concentriamoci sul Paninaro ortodosso: l’albo è composto da una sola storia, “Tamarri allo spray” e, come da tradizione dei Barbierazzi, ogni pagina è composta da due vignette, una sopra e una sotto. Testi di Cioz , disegni anonimi: l’attribuzione dei testi è una cosa piuttosto strana, ma dopo la lettura la cosa sorprende di meno, perché (quasi non ci credo che lo sto dicendo) il Paninaro è scritto piuttosto bene. L’impresa che Cioz (nome d’arte di Paolo Gherlardini, storico sceneggiatore della Edifumetto) è riuscito a compiere consiste nel sapiente dosaggio del tono: il lettore dei tempi, il paninaro decerebrato, godrà nel ritrovare il linguaggio dei suoi miti, le marche in bella evidenza, i riferimenti al Burghy e a Piazza San Babila; invece, il lettore scafato o semplicemente quello moderno (tra i milioni di difetti del mondo del 2007 non c’è quello della presenza dei paninari), leggendo tra le righe, noterà un lieve distacco, una sottile e bonaria ironia appena accennata nel presentare personaggi e situazioni. Il linguaggio, poi, non è altro che una parodia della parlata dei paninari ottenuta mediante iperboli; è così ricco, assurdo e improbabile da risultare ancora più spassoso del gergo di Teddy Bob. Si intuisce che l’autore ai tempi probabilmente pensava “Cosa mi tocca fare per campa’“, ma riusciva a nascondere la sua perplessità dietro la professionalità e l’esperienza di quindici anni come sceneggiatore.
Ma vediamo in dettaglio di cosa parla “Tamarri allo spray“. Avvertimento: racconto tutta la trama fino alla fine. Se pensate di non poter tollerare spoiler sui paninari, non leggete oltre. La storia è inizialmente ambientata a Varese, anzi a “Varese-city“, dove “i giusti di Corso Matteotti fanno le vasche“. Ma altrove “quaglia una brutta brodaglia“: ci sono i nemici dei paninari che scrivono sui muri scritte contro i nostri eroi: “Paninari di merda“, o “Panozzi (teschio) è già fatta“. I paninari, tra cui lo Zocca, il Bolivar e il Caudillo (soprannomi curiosi, molto poco anni ’80) decidono di fare qualcosa e si accordano: “Allora d’accordo“, “Tozzi per uno, uno per tozzi“, “L’unione fa le scorze“, “L’unesco fa la forza“, “Unire l’utile al delittuoso“. In questi dialoghi riecheggiano un po’ le figure retoriche (e l’imbecillità) di Teddy Bob.
La parola raggiunge il Ducetto, un “Sanbabila spiazzato per colpa di un trasferimento paterno” (da Milano a Varese?). Il Ducetto è rappresentato col la testa rasata, una sorta di skinhead paninaro, e, altra sorpresa, si rivelerà un personaggio negativo. Il Ducetto si traveste da tamarro e si infiltra tra i nemici, dove scopre che i tamarri “semplici” si stanno organizzando per rimpolpare i propri ranghi: “Metalli, darki, punki e cinesi sono tutti dalla nostra“. Si ricorderà dal Paninaro di Enzo Braschi al Drive In che i Paninari ce l’hanno con quelli che ascoltano musica “strana”.
Il Ducetto si rivela per quello che è, e, anche se gli altri si rivelano dubbiosi, decide per un “megablitz crematorio” perché “kerosene purifica, lo dice la parola stessa” (ma quale parola?). Uno dei tamarri si è lasciato sfuggire che suo padre ha una bancarella di libri, e il Ducetto, con qualche compare, va a bruciare proprio quella. Bruciare libri: certo che qui Cioz non si fa scrupoli nel presentare una mela marcia paninara.
Il giorno dopo la città è turbata, i paninari non si fanno vedere in giro e le sfitinzie capiscono che son loro in qualche modo i responsabili. Preoccupate, chiedono i rinforzi: “Faccio un ring alla mia amica milanese. E’ la sfitinzia di un vero gallo-di-dio!“.
Ed ecco che, a pagina 47, arriva finalmente l’eroe della storia: la storia non segue gli schemi narrativi più comuni. La scena si sposta a Milano, per la precisione al Castello Sforzesco. Qui, “Max, l’ipergallo più sting della lombard-country, fa lezione di paninosofia alla kid-generation“. Molto curioso questo discorso un po’ contraddittorio: prima fa un’apologia del denaro in piena comunione con l’epoca: “Lo scienziato, il poeta, il musicista possono essere grandissimi, ma se non hanno la zecca sono dei falliti. Se il successo non si traduce in denaro vuol dire che non era vero successo“. Ma al ragazzino che gli dice che lui soldi non ne ha, Max snocciola alcuni consigli per essere vestito con personalità senza spendere, concludendo con “Non ostentate ma non siate neanche umili…il coraggio prima di tutti e la massima onestà con se stessi…l’amido non fa il manico!“. L’impressione è di assistere ad una sorta di schizofrenia tra l’autore e il personaggio.
Max viene a sapere dalla ragazza sopracitata del problema di Varese e decide di occuparsene. Va a recuperare il suo amico Zippo e insieme decidono di coinvolgere Reganone, il cui “arterio è collaudatore di elicotteri all’Agusta“. Galli e sfitinzie milanesi partono alla volta di Varese (e diciamolo che quei provinciali sono proprio sfigati!).
Il loro piano geniale prevede di provocare entrambe le parti per farle convergere in un solo luogo, col metodo più naturale: i telegrammi. “Fai una bella cosa per la nazione: emigra! Firmato: i tazzorri di Varese” o “La cacca è meno stronza di te. Firmato: i panozzi di Matteotti’s Road“. E si arrabbiano, ovviamente: “Dito cane! Taragna vacca!”
Si giunge quindi al momento dello scontro finale: panozzi di Varese vs. tamarri. In uno spiazzo di periferia, all’ombra di cisternoni della Esso, i due gruppi si affrontano in sella a rombanti motociclette, come nella celebre scena di “Altrimenti ci arrabbiamo“. Le cose si mettono male, e le sfitinzie sono preoccupate: “E’ acida la story” “Non mi sessa niente bene“. Ma per fortuna arrivano i nostri: Max & c in elicottero, che, al grido di “Print, gente galla? Iper-print, giù la bomba!” (il Commodore 64 ha lasciato la sua impronta su quei ragazzi!) lasciano andare dell’olio su entrambi i gruppi. Max afferra un megafono e fa la sua predica: “A tutti voi, truzzi e mazzulatori! Aprite gli auricolari! E’ il Max che vi swatta…e quello che vi zozza è olio diesel nero come le vostre genze! Piantiamola di farci la guerra! Quella lasciamola ai cimelios, caterpillar e cadaveri tipo Gheddafi e Komeini, i megatarri dell’orbe terracqueo…” E tutto è bene quel che finisce bene.
Come si sarà intuito, la storia ha una sua piccola morale: i veri galli non usano la violenza, sono talmente fighi che non ne hanno bisogno. I paninari probabilmente sono stati il movimento più imbecille che la storia abbia mai prodotto: un gruppo persone che fa della superficialità e dell’apparenza una bandiera se non un credo forse non fa male a nessuno, ma certamente neanche del bene. In questa storia invece viene introdotta una sorta di etica che storicamente è estranea al “paninarismo”, etica che tuttavia risulta inquinata da un principio dal quale non si scappa: per essere galli ci vogliono i soldi. Se non hai l’amico con l’elicottero, il deus ex machina non arriva.
Ovviamente l’albo è ingenuo, la storia è forzata e poco plausibile, e i disegni sono di qualità bassa se non scadente. Solo la sceneggiatura salva la lettura della storia, che, comunque, risulta nel complesso frizzante e piacevole, soprattutto in virtù di quel particolare tono che lo scrittore è riuscuto ad escogitare. Però se avete tempo, c’è di meglio da leggere!
L’albo è completato da qualche rubrica, tra cui una classifica di tendenze. Da queste vengo a sapere che le seguenti mode sono nella categoria “troppo giusto” : l’orologio Timberland, le Scarpe Tod’s, il diario Paninaro (ovviamente pubblicato dalla stessa casa editrice) e “indossare le felpe a rovescio”. Quindi io, nel 1988, ero un Vero Paninaro, forse un pochino in ritardo.
Infine, ci tengo a citare il test “Ti sai divertire?“. L’albo che ho acquistato era usato e il suo proprietario ha fatto il test: è risultato essere un “Truzzolone di sighero“, il minimo possibile. Sarà per questo che ha rivenduto il fumetto: era un gino!