Mi son detto: “No, dai, questo non lo posso scrivere. E’ troppo simile a qualcos’altro che ho scritto di recente”. Poi mi son risposto: “Ma vaffanchiappe, scrivo anche un po’ quel che strapicchio mi pare!” (non letteralmente). Infine ho pensato: “Uh, è quasi mezzogiorno, tra un po’ si mangia”. Ma questo non c’entra.
Beh, dicevo. In quarta elementare alle femmine della mia classe era venuta una mania: per diverso tempo, nell’ordine di settimane, forse mesi, le bambine passavano l’intervallo a cantare questa canzoncina:
Oh, Pony pony pony
Zaccaria mustafà
Mustafà-fa-fa
Baccalà-la-là
Tu mi emi emi emi
Tu ami ami ami
Tu mi vuoi vuoi vuoi
Tu mi vuo-o-i
La filastrocca era cantata e suonava così (questa non ve l’aspettavate, eh?) , ed era accompagnata da una specie di balletto da fare a coppie. Non sono in grado di ricostruirlo, ma non era nulla di complesso, era basato su battere le mani, toccarsi i talloni o gesti simili.
Io, che ero (e sono) un maschio non potevo partecipare, ma ero ipnotizzato dalla canzoncina quasi quanto le femmine che vi si dedicavano. In particolare ero affascinato dal testo, e cercavo di trarne un senso. Evidentemente un senso non l’ha, è solo una filastrocca nonsense per bambini, ancora più dadaista di Ambarabaciccicoccò o del ponte di Baracca. Un cavallo, qualcuno che ricorda un nobile mediorientale, un pesce essiccato, una dichiarazione d’amore al contrario, balbettata e dislessica.
Completerò la trattazione ricordando la parodia dei primi due versi che avevo composto: “Oh, miss Pony miss Pony miss Pony/ Suor Maria mustafà”, ovviamente ispirata da Candy Candy. Avevo anche cercato di andare oltre sfruttando “emi” del quarto verso per introdurre Magica Emi, ma non ero approdato a nulla. Che peccato.