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Non è infrequente che a scuola gli studenti riversino il loro odio nei confronti dei professori, spesso intesi come categoria in generale, arrivando a dichiarazioni del genere “Tutti i professori sono bastardi”. Io avevo una percezione ben diversa, poiché i miei genitori erano professori, e quando alle medie mi dicevano “Ah ah sfigato figlio di professori” non potevo che scrollare le spalle e fare il superiore.
Eppure, ripensando alla mia carriera scolastica, non posso non ricordare una serie di eventi da stigmatizzare riguardo coloro che mi insegnavano.

Per iniziare, la mia maestra alle elementari era sottilmente antisemita. Sì, ci faceva leggere il diario di Anna Frank, condannava l’Olocausto, però neanche tanto tra le righe ci diceva che gli ebrei sono cattivi perché hanno ucciso Gesù. Sorvolando sul fatto che Gesù fosse ebreo, ovviamente. E poi sappiamo tutti che gli ebrei sono cattivi non per motivi religiosi ma perché vogliono dominare il mondo, come ampiamente dimostrato dai Protocolli dei Savi di Sion.
Un altro insegnamento errato della cui utilità mi son sempre chiesto è quello di “aiuole”. E’ una passione di tutte le maestre affermare che “aiuole” è l’unica parola italiana che contiene tutte le vocali (è cioè panvocalica). Già alle elementari mi ero reso conto che la parola “cuoiaie” è pur essa panvocalica. E’ vero che è inusuale e declinata, ma lo stesso vale per “aiuole”. E’ però vero che quest’ultima contiene le vocali senza ripetizioni. Eppure, anche la parola “eiaculo” (voce del verbo “eiaculare”) ha la stessa proprietà. Non capisco perché non ce l’abbiano insegnata (comunque, trascurando anche altri neologismi come “quizzarole”, il semplice termine “guidatore” è panvocalico senza ripetizioni. Credo che Bartezzaghi abbia fatto un censimento ampio di termini simili).

Della mia maestra, però, devo dire che aveva un approccio piuttosto moderno alla matematica, partendo dagli insiemi e parlando poi di operazioni e relazioni di ordine sugli insiemi, cosa che corrisponde al concetto di algebra omogenea con predicati. Non posso dire altrettanto della mia professoressa di matematica delle medie. La sventurata era una biologa, ma per i misteriosi meccanismi della Pubblica Istruzione insegnava matematica e scienze alle medie, con la preparazione di un solo esame universitario di matematica generica (un estratto di Analisi I con una spruzzata di statistica, credo). Conseguenza è stata che quando ha dovuto insegnarci le regole dei segni (più per più fa più, più per meno fa meno, meno per meno fa più…) ha avuto il coraggio di asserire che “non c’è una ragione precisa, è così e basta”. Eh, no, ciccia, non è un assioma, è un teorema e in quanto tale si può dimostrare a partire dagli assiomi! E ora me lo fai a casa per esercizio!
Già che parliamo di medie, stigmatizziamo il professore di musica che avevo in prima. Le ore di musica, per caso, erano sempre all’ultima ora, da mezzogiorno all’una. Questo signore arrivava, proclamava di essere stanco per aver lavorato tutta la mattina, e si metteva a leggere il giornale. Purtroppo, però, non ci lasciava cazzeggiare in allegria, ma ci faceva star buoni dandoci sempre lo stesso esercizio: scrivere della musica a caso sul pentagramma. Giacché ci aveva insegnato solamente che in un 3/4 la somma della durata delle note deve fare 3/4, si trattava di un mero esercizio di somma di frazioni e di disegno di puntini con la stanghetta. Cosa implichi invece che una certa composizione sia in tre quarti è invece per me tuttora un mistero. Questo spiega molte cose, nevvero?
Concludo la trattazione delle medie stigmatizzando la prof di ginnastica (pardon, di “educazione fisica”) che pretendeva di fare lezione in classe. Ok, bonga, capisco che la tua professionalità viene lesa dal fatto che tutti pensano che educazione fisica = ricreazione. Ma un po’ di pietà!

Curiosamente al liceo, al di là della prof del terrore che ho già trattato, ho avuto abbastanza fortuna. C’era il professore di scienze che si divertiva a chiedere chi “giustificava” e poi non interrogare nessuno, ma a posteriore ho imparato ad apprezzare questa sottile crudeltà come forma di umorismo. Stigmatizzerò solo la professoressa di matematica del triennio, che conosceva la materia, sapeva insegnarla, ma aveva la rara capacità di farla odiare a tutti, vessando con gratuità severità gli studenti. Ad esempio, non solo dava i compiti nelle vacanze estive, ma pretendeva che le venissero inviati per posta periodicamente! Leggere il giornale in classe è perdonabile, uno studente può comunque essere invogliato, magari per ripicca, ad approfondire la materia per proprio conto. Trasmettere odio per il proprio insegnamento è invece il peccato peggiore per un professore. Per fortuna, ho riscoperto l’amore per la matematica all’università, altrimenti sarei stato un individuo più culturalmente povero. Ancora di più, cioè.

Libri, riti e vecchie comari

Io ho un po’ il vizio di farmi gli affari altrui. “Vizio” tra virgolette, perché trovo che sia una delle grandi verità della vita che impicciarsi sia assai divertente, ma non solo: trovo che l’atteggiamento di chi fa una bandiera di “io mi faccio i cazzi miei” sia in qualche modo stigmatizzabile perché nasconde indifferenza ed egoismo e perché, nella sua degenerazione, porta all’omertà. Ovvio poi che, come tutti piaceri, vada intrapreso con moderazione per evitare l’effetto pettegolezzo, che è una cosa differente. Inoltre ritengo che, soprattutto nel confronto dei propri amici, sia quasi obbligatorio farsi gli affaracci degli altri, soprattutto quando è una questione antipatica. “Sai, Bongo, penso che dovresti lavarti più spesso le ascelle” (chi non ha un amico che si chiama Bongo?).

Da piccolo, anche se non avevo ancora razionalizzato tutto questo, non la pensavo in modo diverso. Un giorno, alle elementari, per qualche motivo intervenni a sproposito in una discussione tra Silvia e Susanna. Quest’ultima, un po’ scocciata, mi disse “Ma ti interessa?” al che io, punto nel vivo, replicai sfacciatamente “Sì!”. Lei allora esclamò “Prendi il libro e vai a messa!”. Sotto shock per l’arguzia della battuta e anche per la blanda blasfemia sottintesa, fui zittito. A questo punto interloquì Mariangela che, pazientemente, mi spiegò che “Quando ti dicono così, tu devi rispondere ‘Il libro non ce l’ho e a messa non ci vo'”. Provai un certo disappunto: innanzitutto perché è una risposta terribile con una rima tremenda, quel “non ci vo” mi dà tuttora i brividi, poi perché uno può andare benissimo a messa senza alcun libro (ci sono i fascicoli apposta!) e, viceversa, possedere uno splendido libro ma non andare a messa. Ma la mia delusione nacque soprattutto perché mi resi conto che si trattava di uno scambio di battute istituzionalizzato, e in quanto tale privo di mordente. Ebbi altre volte in seguito la stessa risposta relativa a libri e messe, ma non utilizzai la risposta preconfezionata. Così mi sentivo più fico, però uscivo sconfitto dalle schermaglie verbali. La volontà di essere originali ha il suo prezzo.

Come un blog vero

Oggi facciamo finta che questo sia un blog vero con la gente che parla della propria vita e delle proprie opinioni (rigorosamente non richieste) e vi racconto cosa ho fatto sabato scorso in dettaglio (scene di panico con gente che si strappa i capelli, sorrisi sarcastici, cliccate decise sul tasto “back” alla ricerca di siti erotizzanti, ex-amici che skippano decisamente sui commenti scrivendo “perché ci vuoi così male?”). Si noti che userò il presente come faceva Patrick Bateman in American Psycho. E’ un caso.

Giacché il weekend precedente l’avevo passato tutto in compagnia e, benché mi fossi divertito, mi ero stancato e non avevo recuperato gli strali della settimana lavorativa, ho deciso che nei limiti del possibile avrei passato un sabato misantropo ad Alassio riposandomi e facendomi gli affari miei.
Al mattino mi sveglio alle 8.30. Io tendo a svegliarmi presto, cosa che in generale mi piace perché amo la luce del mattino, ma che diventa problematica quando non posso decidere autonomamente gli orari. Mi lavo, faccio colazione con molta calma con un caffè, una confezione di Pavesini e un succo di frutta alla pesca. Durante la colazione indugio al computer leggendo distrattamente la mail e i feed. Ad Alassio ho il 56k, quindi le operazioni su internet tendono ad essere minimali. A questo punto mi vesto e vado a correre. Il sabato mattina, avendo parecchio tempo a disposizione, cerco di fare il lungo, mentre in settimana, dato che corro durante la pausa pranzo, tendo a fare ripetute o corsa in salita o migliorare tempi su percorsi fissi. Comunque sia, parcheggio l’auto alla Cappelletta, all’estremità a levante della baia di Alassio, e percorro l’intero paese, la passeggiata per Laigueglia, il paese di Laigueglia e ancora oltre fino all’inizio della salita di Capo Mele. E poi ritorno: 13 km in 1h16’52”, il percorso lo trovate qui. La temperatura è buona, intorno ai 12°, un po’ di vento in direzione ponente (quindi nel percorso di ritorno, dannaz!), la sabbia molto compatta.
Si noti che durante quest’attività, sui Maialini sono stati scritti oltre trenta commenti. Terminata la corsa e lo stretching, riprendo la macchina e vado a prendere mia mamma che è andata a fare la spesa. Purtroppo non sente il cellulare, quindi devo aspettare non poco e prendo freddo, ma comunque verso le 11.30 riesco ad infilarmi sotto la doccia.
Dopo di essa, mi metto a leggere al sole un po’ di fumetti, in particolare termino il terzo volume delle storie di Barks pubblicato dal Corriere della Sera e mi sciroppo l’ultimo volume del manga di Old Boy. Dev’essere la prima volta che un film tratto da un fumetto è così migliore sotto ogni punto di vista rispetto alla sua controparte cartacea. Giunge l’ora di pranzo, che consiste in una bistecca di brontosauro, almeno a giudicare le dimensioni. Ho ufficialmente terminato la dieta e posso permettermi una cosa del genere, almeno dopo una bella corsa. Non solo era grossa, ma era anche molto buona. La accompagno con un po’ di “pelandroni” (hanno un altro nome i fagiolini larghi e schiacciati?) e la faccio seguire da un’arancia.
Il pomeriggio mi sento un po’ stanchino e praticamente non mi schiodo dalla tricotomia poltrona-letto-pc. Guardo una puntata di South Park, la 9×09, “Marjorine”, una puntata con Butters. Vi ho mai detto che Butters è senza dubbio il mio personaggio preferito in South Park? Nei Simpson non ho una simpatia così decisa nei confronti di un personaggio particolare.
Passo poi non poco tempo a giuocare col Nintendo DS. Mi cruccio un po’ perché mi sento in colpa a giuocare quando potrei fare cose più costruttive, ma giuocare sdraiati sul letto col DS è una delle cose più rilassanti del mondo. Sto giuocando a Magical Starsign, un gioco di ruolo alla giapponese, che però a differenza dei vari Final Fantasy ha una bella trama, dei personaggi interessanti, non poca ironia, un mucchio di rosa e di viola e dei dialoghi scritti bene. Sarà un vizio da chi ha l’abitudine a leggere molto e valutare con attenzione le sceneggiature, ma per me una buona scrittura è il fattore più importante di un videogiuoco. E’ anche per questo che amo tanto la serie Phoenix Wright, che invece gli amanti dei videogames bollano come “piatta” e “ripetitiva”.
Verso metà pomeriggio decido di farmi un tè e di iniziare a vedere un film: ho da vedere il dvd di Batman Begins (Batman Belin per gli amici). Non sono un appassionato particolare di tè, quindi faccio un semplice Lipton, però con miele di castagno. Il film ha un inizio terribile, ma poi migliora decisamente. Comunque ne guardo circa 45′ e poi decido di andare a farmi un bagnetto. Sì, avevo fatto la doccia poche ore prima, ma io faccio il bagno più per piacere che per lavarmi. Durante il bagno leggo il nuovo Martin Mystére, che parla dell’ipotesi che i viaggi sulla luna siano una finzione. Soggetto un po’ stupidino (soprattutto la spiegazione finale), disegni mah, però davvero una bella sceneggiatura.
A cena risotto coi funghi, insalata e due kiwi, e poi finisco di vedermi il film iniziato nel pomeriggio. E’ un buon film, Batman Belin (forse lo preferisco anche al Batman di Tim Burton, che era tutto atmosfere e si curava poco dello svolgimento delle vicende e dei personaggi di contorno), anche se stento a capire perché gli americani ne abbiano tutta questa passione.
Dopo ho ancora tempo per un paio di puntate di Friends. Mi è venuta voglia di vederlo cronologicamente. Sono stupito del fatto che, all’inizio della terza stagione, sia già successo quasi tutto quello che ricordavo. Cacchio fanno per altre sette stagioni? Beh, si è fatta una certa. Buona notte.

(a chi è arrivato qui senza addomentarsi in omaggio un abbonamento semestrale alla rivista Minestroni & Minestrine)

Chi ben comincia

La prima mail che ho mandato l’ho spedita nel 1996, dal mio indirizzo universitario (xxmiglia@educ.disi.unige.it) usando il comando Unix mail. Il destinatario era la trasmissione Target di Canale 5 (ai tempi condotta da Gaia de Laurentiis) e aveva un indirizzo complicatissimo, comprendente il nome del server pop, che mi ero scritto su un foglietto di carta. Il testo era il seguente, più o meno letterale:

Segnalo “Sportento” su RaiTre Liguria il lunedì sera.

E basta. Alla faccia della netiquette non mi firmai né tantomeno porsi il minimo saluto.
Sportento era una specie di editoriale umoristico sportivo condotto da Orlando Portento, quel signore che ha avuto i suoi quindici minuti di celebrità un paio di anni fa in seguito a non so quale sua piazzata in non so quale reality show (mi pare di ricordare la parola chiave cammellata). Il pezzo forte dei suoi interventi erano le sviolinate e le cannonate. Se il Genoa vinceva, proclamava “Sviolinata per il Genoa!” facendo finta di suonare un violino. Se la Sampdoria perdeva, proclamava “Cannonate per la Sampdoria!” e si tappava le orecchie mentre un poderoso effetto sonoro simulava un colpo di cannone e la telecamera, in un guizzo di fantasia, tremava per simulare l’esplosione (e lo stesso a squadre invertite, era una trasmissione bipartisan).

L’appuntamento del lunedì con Sportento era un cult immancabile per la casa di studentelli di Salita Inferiore della Noce, ancora di più da quando avevamo visto il buon Orlando fare la spesa al supermercato (uno dei momenti più intensi della mia gioventù). Mi ero sentito perciò in dovere di condividere l’informazione con la bionda Gaia, o chi per lei.

Non ho ricevuto risposta alla mia laconica mail. Un cattivo inizio.

Un bagno di umiltà

Da piccolo mi capitava di leggere il settimanale Oggi, che mia nonna acquistava con regolarità e che io sfogliavo a casa sua. Non che mi interessasse particolarmente, ma quando da lei non c’era mai moltissimo da fare, quindi mi adattavo. Tra una vicenda dei Savoia e i consigli ai lettori di Susanna Agnelli, un giorno lessi in un titolo il nome di Donald Regan. “Che ignoranti!”, sbottai, “due errori in un solo nome: si chiama Ronald Reagan, non Donald Regan!” e mi affrettai a girare pagina, beandomi della mia saggezza. Da bambino mi gasavo assai quando scovavo gli errori altrui; ad esempio una volta corressi la maestra su una frase che aveva scritto alla lavagna: “Suora, non si usa la e con la virgola!”. Non ricordo la frase precisa che stava scrivendo, ma ovviamente se la “e” è usata per coordinare più frasi e non più termini di un elenco è ammesso usarla in congiunzione con la virgola. Ad esempio: “Io mangio il maiale, e ne vado fiero!” è corretta, mentre l’elenco “Mangio pollo, manzo, e maiale” suona piuttosto male. Ricordo che la maestra corresse la frase che stava scrivendo, probabilmente perché stava facendo matematica e non aveva voglia di andare fuori tema.

Beh, comunque, qualche tempo dopo scoprii che esisteva effettivamente un certo Donald Regan e, sorpresa!, non era Ronald Reagan! Arrossii e mi scusai mentalmente con il giornalista di Oggi. Però non persi il gusto nel correggere la gente, e questo è uno dei motivi per cui tutti mi odiano.

La bella lavanderina

Alassio, 1984 circa (ehi, ma pare che in quegli anni sia successa un mucchio di roba!)
Era un pomeriggio primaverile, ed ero solo in casa a farmi gli affari miei, probabilmente guardando cartoni animati in allegria dopo aver fatto i compiti. Io prima facevo i compiti, poi guardavo i cartoni animati, e per questo ero additato come esempio dalle mamme dei compagni di classe meno coscienziosi. Bando alle divagazioni, all’improvviso biiip! suonò il citofono. Oibò, chi sarà? Giacché abitavo in una villetta fuori città, esco di casa e mi appropinquiai al cancello a vedere chi fosse. Lì vidi una signorina sconosciuta, che mi apostrofò:

– Ciao, che ne diresti di comprare dei fazzoletti di carta?
– No, grazie.
– Ma dai, prendimi dei fazzoletti!
– No, davvero, non mi servono, mi dispiace
A questo punto la signorina in questione, smessa la faccia gentile di circastanza, sbottò:
– Ma insomma, se ti dispiacesse veramente mi compreresti qualcosa!, e se ne andò imprecando e insultandomi.

Io ci rimasi malissimo, perché, se non mi servivano dei fazzoletti di carta, non avrei mai immaginato di dover comprare dei fazzoletti di carta. Ci rimasi talmente male che la cosa mi segnò per sempre: da allora, quando vado a comprare qualcosa in un negozio, mi premuro di non scontentare il venditore, e spesso compro qualcosa di cui non ho realmente bisogno solo per non essere scortese. Se vado in panetteria, prenderò una scorta di pane per un mese. Se ho bisogno di un biglietto dell’autobus, ne prenderò almeno due, e magari pure un giornale.

Maledetta zoccola. Sicuramente vendeva fazzoletti per comprarsi la droga.

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