Una serie di fatti irrilevanti su di me di cui è probabile che non vi freghi alcunché.
Il sushi mi piace ma mi stufa subito, e trovo il tempura un ossimoro (fritto leggero? che senso ha?). Però adoro il katsudon, anche per il nome buffo.
Non sono più capace a scrivere in corsivo, e la mia grafia in stampatello è sempre peggiore e sempre più lenta. Poco male.
Di recente ho comprato un paio di guanti di cervo. Avrei preferito mangiarmi quella bestiola, ma i guanti sono comunque molto ganzi.
In estate leggo molto di più che in inverno.
Ho bevuto latte col Nesquik per anni e anni. Sono ancora vivo e sano.
Ho rinunciato a fare il risotto. So cucinare tante altre cose ma quello proprio non mi viene. Pazienza, lo mangio preparato da altri.
Detesto mettere i miei documenti nella cartella Documenti. Ne creo sempre un’altra chiamata Data, con le appropriate sottodirectory.
Ho sempre la stessa sveglia dai tempi delle scuole medie. Funziona egregiamente e ci vogliamo abbastanza bene a vicenda.
Mi piace utilizzare il saluto “salve”. Spesso spiazza l’interlocutore.
Non sono un intenditore di té, ma lo prendo volentieri col miele di castagno.
Ho la stessa suoneria al cellulare da anni, ed è un midi della sigla dei Looney Toons (That’s all folks, per capirci).
Sono miope (porto gli occhiali), secondo me anche un po’ sordo, ma sono convinto di avere un odorato molto sviluppato.
L’unica moltiplicazione che io abbia mai sbagliato in un compito di “tabelline” è 7×8, per la quale diedi 54 invece che 56 e presi il mio unico 9 invece che 10.
Sono piuttosto bravo a Forza Quattro, a Monopoli e a Taboo, ma a Risiko sono quasi più scarso che nel giocare a calcio. E poi becco sempre i cannoni…
Non ho mai rivisto il Remì di Dezaki in età adulta.
Io e Word non andiamo d’accordo. Va meglio con Excel e Powerpoint (anche se quest’ultimo lo disprezzo), mentre trovo Access uno strumento unico nel panorama informatico mondiale, e mi rammarico che non ne esistano alternative.
Anche se qualcuno potrebbe obiettare, io mi ritengo una persona mediamente ordinata. “Mediamente”, però, non nel senso demografico (ordinato come la media delle persone) ma nel senso che sono tanto preciso e scrupoloso nel tenere le cose al loro posto in alcuni ambiti, e altrettanto noncurante e quasi sciatto per altri.
Sono ordinato, ad esempio, per le mie collezioni: i libri sono separati per sezione e in ordine alfabetico per autore, i dvd per titolo, i fumetti sono troppi per tenerli ordinati alfabeticamente (sono costretto a ottimizzare lo spazio) quindi hanno un database dedicato in cui è indicata la collocazione. Ma non solo: i file nel mio computer sono catalogati per bene e so sempre dove trovare quello che cerco, nel mio frigo ogni cibo ha il suo posto (lo yogurt va in alto! la frutta nel cassetto di destra! la verdura in quello di sinistra! gli avanzi nel piano più in basso! ecc.) e similmente nella dispensa (inveisco violentemente se qualcuno mi mette le spezie al posto delle conserve!). Vado invece meno bene per i vestiti: cassetti e armadi hanno un contenuto genericamente dedicato, ma non immune da eccezioni quando ho qualche attacco di pigrizia. Nel secondo cassetto ci sono le magliette, ma a volte finiscono anche nel primo. Anche per i documenti (bollette, estratti conto…) sono un po’ contraddittorio: rimangono sullo scaffale accanto all’ingresso per dei mesi, ma quando mi decido a metterli a posto finiscono ognuno nel suo faldone.
Quello che invece mi rende oggettivamente disordinato è la mia tendenza a lasciare in giro le cose, che col tempo si trasforma in quella che io chiamo la sindrome degli oggetti invisibili. Mi spiego meglio. Mi capita spesso di lasciare un oggetto nel posto sbagliato, per fretta o per noncuranza: la schiuma da barba sul tavolo della cucina, il computer portatile accanto ai fornelli, un biglietto dell’autobus usato sul comodino, un cappello per terra. Questi oggetti fuori posto di solito rimangono lì per un bel po’ di tempo, all’inizio perché la stessa pigrizia che me li ha fatti lasciare fuori posto si ripete (“Uff, dovrei tirare su quel cappello…ma chi se ne frega, stia dove sta!”), e dopo un po’ perché non li vedo più: per me, quegli oggetti diventano proprio invisibili. Non è come se il posto in cui si trovano diventasse magicamente quello giusto, è proprio che non li noto. Suppongo che si tratti di un meccanismo di difesa inconscio, stimolato da quel sentimento potentissimo che è la pigrizia, per evitare di mettere a posto le cose: non vedendole, è come se tutto fosse in ordine. Dopo un po’ di tempo l’incantesimo però si rompe. Uscito dalla doccia, ad esempio, mi spunta un punto interrogativo sulla testa e mi chiedo: “Ma perché diamine c’è un coperchio in bagno?!?” e mi rassegno e lo rimetto dove deve stare.
Insomma, se venite a casa mia e trovate un’arancia in camera da letto o un rasoio in cucina non inquietatevi. Non sono io ad essere un maniaco, sono loro ad essere invisibili.
Di recente, il mio amato lettore mp3 Creative Zen è defunto. Non riuscivo più a caricarlo se non inveendo per mezzora armeggiando col cavo usb, e comunque, dopo la corsa sotto la grandine, non si è più acceso. Ho quindi provveduto ad acquistarne uno nuovo, ed essendomi trovato bene con quel lettore ne ho preso la versione nuova, lo Zen Mosaic, e per l’occasione ne ho trovato uno rosa. Rosa! Yuppie! A dire la verità mi piace di meno di quello precedente, per diverse ragioni che sono troppo noiose per scriverle qua, ma comunque il suo porco lavoro lo fa. Ho anche colto l’occasione per rinnovare un pochino il parco musicale presente nel lettore: prima era diviso in tre parti più o meno uguali con musica classica, l’opera omnia di De André e heavy metal, più qualche cosina sparsa. Adesso invece ho eliminato De André (perché in occasione del decennale della sua morte è troppo di moda!), ho rimpolpato la parte di classica e aggiunto alcune cose strane e varie. Io uso il lettore sempre e comunque in modalità shuffle, perché mi piace essere sorpreso e variare (pur se nella poca varietà della mia libraria), e pazienza se questo contrasta con l’intenzione dell’artista: De André avrà fatto un bel po’ di giravolte nella tomba ogni volta che sentivo un solo pezzetto de La buona novella o di Storia di un’impiegato.
Ecco, lo shuffle. Ignoro quale sia l’algoritmo che sceglie i brani, ma sono certo che è bacato poiché, in qualche anno di rilevazioni assolutamente non scientifiche e probabilmente basate su impressioni fallaci, ho rilevato che:
- le ultime canzoni inserite vengono fuori con maggiore probabilità (il che, a dire il vero, mi sta anche bene: se le ho aggiunte, mi garba che spuntino fuori)
- i brani vanno spesso “in branco”: cioè capita molto di frequente che capitino due, tre o più canzoni dello stesso autore o dello stesso genere a breve distanza. Si noti che questa è una cosa diversa dal fenomeno “Ehi, questa canzone l’ho sentita poco fa!” che capita abbastanza di frequente per semplici leggi probabilistiche (è una versione del paradosso del compleanno, Codogno ci ha fatto qualche conto sopra se vi interessa). Stamane, ad esempio, mentre inveivo contro la neve, ho sentito due volte nell’arco di un quarto d’ora la soundtrack dei titoli di testa di Arancia Meccanica. Invece, per dire, nella vecchia versione del lettore mi è capitato di sentire 8 canzoni di seguito di De André, il che, essendoci un brano su 3 del suddetto autore, dovrebbe capitare una volta su 6500. (Ok, in realtà potrebbe essere sempre il paradosso del compleanno, ma la mia impressione istintiva è che il fenomeno sia più marcato nel senso che dico io).
- Al mio lettore piaccono i Rolling Stones. Su circa 700 canzoni, ce ne sono soltanto tre del dinamico complessino (Ruby Tuesday, Paint it black e Satisfaction), ma capitano con una frequenza paurosa, e in un paio di occasioni anche con la doppietta.
- Nel percorso che faccio di corsa ad Alassio, nella frazione di Vegliasco, nel pezzetto che io mentalmente chiamo “la grande ansa” (per chi è della zona: quando inizia la discesa dopo il bivio per Madonna della Guardia, poco prima del punto panoramico. Oh, insomma, qui), mentre lo percorro in salita, arriva quasi sempre un pezzo di Vivaldi. La cosa è talmente sorprendente che ogni volta ci faccio caso.
- Infine, come regola generale, se hai voglia di sentire qualcosa in particolare (non dico un pezzo specifico o un autore, ma magari “qualcosa di brioso per accompagnarmi nello sprint finale” o “qualcosa di calmo per rilassarmi”), il lettore non lo proporrà, nemmeno andando avanti per diversi brani. Da questo si deduce che la malvagità è il vero seme randomizzatore dello shuffle.
– Ma… tutto questo non ha senso!
– Sì, in effetti. Torniamo a parlare di colmi, va’…
Una categoria di barzellette piuttosto diffuse, soprattutto ai miei tempi, era quella chiamata “i colmi”. Ad esempio:
– Sai qual è il colmo per un falegname?
– Avere una moglie persiana.
I colmi, quand’ero piccolo, per me erano sinonimi di barzelletta brutta. Non facevano mai ridere, erano roba da Sergio Paoletti. Tuttavia, direi che in quanto barzelletta brutta adesso meritano un po’ di analisi.
La struttura canonica è quella di dialogo introdotta dalla domanda “Sai qual è il colmo per…”. Tale struttura non è necessaria, ma solo una tradizione: il colmo citato funzionerebbe benissimo proclamando semplicemente che “il colmo per un falegname è avere una moglie persiana”.
Il significato di “colmo” è un mio spinguinamento recente. L’ho sempre interpretato come “introduzione su un mediocre gioco di parole”, quando, evidentemente, significa “il massimo”, cioè “la cosa più incredibile che possa mai accadere”. Lo so che è evidente, ma se siete qui avrete sentito parlare del concetto di “Pinguino nel salotto”, suppongo. La conseguenza, comunque, è che il colmo presenta una situazione reale ma che per qualcosa di esterno alla situazione stessa dovrebbe essere buffo. Non c’è niente di strano al fatto che un falegname abbia una moglie mediorientale, se non per uno stupido gioco di parole. Probabilmente è questa la ragione per cui li ho sempre trovati poco divertenti: la barzelletta è il terreno dell’assurdo, non dell’ironico. La stessa cosa vale, ad esempio, per il colmo dell’idraulico (avere un figlio che non capisce un tubo), o il colmo per un matematico (abitare in una frazione) etc.
I colmi raggiunsero il loro colmo nel 1985, col colmo della saga del “colmo dei colmi”. Mi spiego meglio: nel 1983, si diffuse la barzelletta:
– Sai qual è il colmo dei colmi?
– Un muto dice a un sordo: “un cieco ci sta spiando”
Come avrete notato, la grossa differenza rispetto ai colmi tradizionali sta nel fatto che propone una situazione impossibile, la cui assurdità dovrebbe essere la miccia per l’effetto comico. Dico “dovrebbe” perché in effetti non fa ridere, tanto più che il muto potrebbe comunicare col sordo a gesti, e il cieco potrebbe spiare, in senso lato, origliando.
La cosa non finisce qui: l’anno successivo, qualche buontempone aggiunse un pezzo al colmo dei colmi. Questo è il colmo dei colmi 1984:
– Sai qual è il colmo dei colmi?
– Un muto dice a un sordo: “un cieco sta spiando un paralitico che fa ginnastica”.
Come prima, non fa ridere, e la ginnastica del paralitico potrebbe essere fisioterapia.
Nel 1985 il colmo dei colmi ebbe una svolta. Invece di aggiungere, che so “un cieco sta spiando un mongoloide che insegna a un paralitico a fare ginnastica” (sì, erano barzellette terribilmente politically incorrect. Vedi sotto) un genialoide propose:
– Sai qual è il colmo dei colmi?
– Ornella Muti dice ad Alberto Sordi: Cecchetto ci sta spiando.
Che, anche se torna nel terreno dei giochi di parole dei colmi tradizionali, un timido sorrisino lo strappa.
Nel 1986, l’Italia fece una figura barbina ai mondiali in Messico, nessuno aveva voglia di raccontare barzellette e così finì la saga del Colmo dei colmi.
PS: il colmo per un blogger è fare un post sui colmi, ovviamente. Lo so che non fa ridere, ma nemmeno il colmo per un falegname.
PPS: sì, per il falegname c’è la variante sulla moglie persiana che va in giro scollata. Ma non fa ridere lo stesso.
PPS: la versione 2008 del colmo dei colmi, ovviamente, sarebbe: “Un diversamente comunicante dice a un audioleso: ‘un non vedente ci sta spiando’ “.
Per le mie abitudini di vita, io non ascolto molta radio. Un po’ in macchina, le poche volte che la uso, e alla mattina mentre mi lavo; non al lavoro (le web-radio sono bloccate dal proxy) e non mentre faccio sport (il mio lettore mp3 è privo di radio). Non sono quindi un gran consumatore di questo mezzo, ma me ne dispiace. A diffferenza della tv non richiede piena attenzione, e inoltre i minori costi consentono maggiore varietà. Ascolterei quindi più volentieri la radio se ne avessi più occasioni e se, perbacco, non fossero in agguato i seguenti Nemici della Radio.
Le gallerie: iniziamo da qualcosa di semplice, sull’ascolto delle radio in macchina. C’è poco da fare, in autostrada dalle mie parti si può sentire solo Isoradio. E non solo è completamente inutile per quanto riguarda le notizie sul traffico che fornisce a getto continui (ho sperimentato più volte che ha il ritardo che ha nel dare le notizie è tale che per il quale sei già imbottigliato quando le senti), ma spesso è funestata da orrendi programmi quali La rubrica del camionista o, peggio, dalle partite di calcio. Pietà.
Gli oroscopi: credo che non ci siano radio che, al mattino, non si sentano in dovere di prenderti per il culo dandoti l’oroscopo. Io, come già scrissi, non sono disposto a tollerare fregnacce simili. Mi è capitato di uscire dalla doccia gelato e bestemmiante e sbavante dalla rabbia per cambiare stazione quando è comparso il solito “Toro: siate gentili con gli estranei”.
Gli scherzi telefonici: e poi non riesco a spiegare quanto mi facciano arrabbiare gli scherzi telefonici alla radio. Non solo l’idea stessa è scema e infantile, ma quando perpetrati da chi, in un certo modo, ha il potere dei numeri e del denaro, sono trasformati in una vera e propria prepotenza intollerabile. Ovviamente la stessa cosa vale, moltiplicata per dieci, per le televisioni, con le loro Candid Camera.
La musica di popò: ok, le radio sono tante e con tanti programmi, quindi ce n’è un po’ per tutti i gusti, ma le radio mainstream come potrebbero essere Radio Deejay, 102.5 o Radio 105 trasmettono più o meno sempre le stesse cose, e sono in media cose terribili, inqualificabili. Musica da MTV, insomma. Questa è una delle ragioni per cui non amo le radio che trasmettono musica a getto continuo, ma soprattutto perché, comunque, mi piace sentire qualcuno che parla. Purtroppo questo conduce a…
I deejay petulanti: ultima categoria di nemici, e forse la più micidiale, è quella dei deejey imbecilli. E’ vero, esistono dei bravissimi professionisti in radio che hanno la rarissima abilità di dire sempre qualcosa di interessante ed essere brillanti. Linus, per dire, è bravissimo (*), Fiorello forse anche di più (ma incontra meno i miei gusti). Ma la maggior parte dei deejay si limitano a commentare con banalità i lanci delle agenzie stampa, o tirano fuori cose come “Avete mai notato che tutti i sabati, anche quelli più uggiosi, a un certo punto viene fuori un raggio di sole? Eh, il sabato è proprio il giorno del sole!” (davvero, ho sentito proprio queste parole). E vieni anche pagato per dire stronzate simili!
E per concludere fermo quelle persone che stanno per consigliarmi Radiodue: no, ci ho provato ma mi son risultati tutti antipaticissimi. Quindi, direi continuerò a inveire. Tanto per cambiare.
(*) Scrivo come nota, per non andare troppo fuori tema, che però Linus l’ha fatto a fette a tutti con la sua passione per la corsa. Io stesso sono un runner (o pseudo-tale), amo tantissimo correre e so quali soddisfazioni questo sport rechi, ma so anche benissimo che al resto del mondo non frega assolutamente niente di tempi, percorsi, abbigliamento, tecniche di allenamento, tanto che uso questo tema come tecnica per infastidire i miei interlocutori.
– Golosino, sai che oggi ho fatto il Giro Sciacca in 39’02”?
– Non me ne frega un cazzo!
– E pensa che potevo scendere sotto i 39′, se ci fosse stato un po’ meno vento dalle parti del Monumento di Quarto…
– Aaaargh!
Ecco. Sostituite me a Linus e Golosino a milioni di ascoltatori.
L’estate scorsa, in occasione del quindicesimo anniversario della maturità, ho partecipato a una cena di classe coi compagni del liceo. E’ stata una cena divertente, e tra un aneddoto e l’altro alcuni commensali, parlando del presente blog che avevano scovato, mi hanno chiesto: “Ma perché non parli mai del liceo? Ci sono un mucchio di cose divertenti da raccontare! In fondo ormai è passato tanto tempo, dovresti avere un certo effetto-nostalgia anche per quel periodo”. E in effetti, riguardando gli aneddoti inconcludenti coi quali ammorbo i miei lettori, mi son reso conto che ormai da tempo ho sconfinato dai primitivi limiti temporali autoimposti e ho narrato diverse storielle dal periodo universitario e a tratti anche alcune piuttosto recenti; tuttavia, per quanto riguarda il liceo, continuo a dire molto poco.
Pensandoci sopra e cercando di capire cosa c’è che non mi stimola in questo periodo, sono giusto ad un paio di conclusioni. Una delle motivazioni nasce dalle conversazioni del genere “Mi ricordo che durante le superiori…”. Avete mai provato a parlare degli anni del liceo con interlocutori sparsi, ad esempio alla macchinetta del caffè in ufficio? Ebbene, la tendenza generale è di bullarsi per quanto casino si è fatto o di quanto poco si è studiato o di chi ha avuto i professori peggiori. E’ spesso una gara al rialzo a chi ha fatto più scioperi inutili, a chi ha trattato peggio i propri insegnanti, a chi se l’è cavata meglio senza nulla fare. E’ un’abitudine che trovo profondamente irritante: sembra quasi di sentire coloro che ricordano di quando hanno fatto il militare! Diamine, perché bisogna proporsi come un esempio negativo per sentirsi importante?
E’ probabile che esista una chiave di lettura in tutto questo: la normalità è poco interessante, ciò che richiama l’attenzione è l’eccezione. E l’eccezione in un ambiente che, quasi per definizione, è legato allo studio, all’insegnamento e alla disciplina, è appunto il non-studio, il non-insegnamento e la non-disciplina. Risulterebbe quindi molto più memorabile narrare di quella volta che ho litigato con quel fidipù del professore di disegno invece che di quell’anno che ho studiato sodo latino e, dal 5 in pagella che avevo nel primo quadrimestre, sono passato al 7. Ma, a questo punto, mi sembrerebbe di allinearmi a quella fenomenologia che ho precedentemente disprezzato. Non che la coerenza per me sia un valore così importante, ma non ne vedo proprio la necessità.
In realtà credo ci sia dell’altro: la mia vita dai 14 ai 19 anni non è stata solo la scuola, sebbene in qualche modo la mia esistenza ruotasse attorno ad essa; potrei quindi anche scrivere aneddoti riferiti alla mia vita extra-scolastica. Tuttavia non mi sento più legato al me stesso come adolescente, una personalità che non sento più mia, a differenza invece del me stesso da bambino che invece percepisco come parte di me. A causa di questo distacco scrivere di quel periodo mi risulta difficile, un po’ come se parlassi di un estraneo.
Quindi, Massimiliano ed Emanuela: fatevene una ragione, comparirete molto raramente nei miei racconti!
(Questo articolo è venuto troppo serio. Fate una puzzetta e ridete per bilanciare)