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Libri, riti e vecchie comari

Io ho un po’ il vizio di farmi gli affari altrui. “Vizio” tra virgolette, perché trovo che sia una delle grandi verità della vita che impicciarsi sia assai divertente, ma non solo: trovo che l’atteggiamento di chi fa una bandiera di “io mi faccio i cazzi miei” sia in qualche modo stigmatizzabile perché nasconde indifferenza ed egoismo e perché, nella sua degenerazione, porta all’omertà. Ovvio poi che, come tutti piaceri, vada intrapreso con moderazione per evitare l’effetto pettegolezzo, che è una cosa differente. Inoltre ritengo che, soprattutto nel confronto dei propri amici, sia quasi obbligatorio farsi gli affaracci degli altri, soprattutto quando è una questione antipatica. “Sai, Bongo, penso che dovresti lavarti più spesso le ascelle” (chi non ha un amico che si chiama Bongo?).

Da piccolo, anche se non avevo ancora razionalizzato tutto questo, non la pensavo in modo diverso. Un giorno, alle elementari, per qualche motivo intervenni a sproposito in una discussione tra Silvia e Susanna. Quest’ultima, un po’ scocciata, mi disse “Ma ti interessa?” al che io, punto nel vivo, replicai sfacciatamente “Sì!”. Lei allora esclamò “Prendi il libro e vai a messa!”. Sotto shock per l’arguzia della battuta e anche per la blanda blasfemia sottintesa, fui zittito. A questo punto interloquì Mariangela che, pazientemente, mi spiegò che “Quando ti dicono così, tu devi rispondere ‘Il libro non ce l’ho e a messa non ci vo'”. Provai un certo disappunto: innanzitutto perché è una risposta terribile con una rima tremenda, quel “non ci vo” mi dà tuttora i brividi, poi perché uno può andare benissimo a messa senza alcun libro (ci sono i fascicoli apposta!) e, viceversa, possedere uno splendido libro ma non andare a messa. Ma la mia delusione nacque soprattutto perché mi resi conto che si trattava di uno scambio di battute istituzionalizzato, e in quanto tale privo di mordente. Ebbi altre volte in seguito la stessa risposta relativa a libri e messe, ma non utilizzai la risposta preconfezionata. Così mi sentivo più fico, però uscivo sconfitto dalle schermaglie verbali. La volontà di essere originali ha il suo prezzo.

The Man of the Year

Signore e signori, trasmettiamo il seguente comunicato, ad opera di Kotekino, a blog unificati.

The Man Of The YearNew York, 16 gennaio 2008. Sono davanti all’enorme porta a vetri che mi condurrà dalla chiassosa Manhattan all’ufficio di colui che, a buon diritto, il Time ha eletto come l’uomo dell’anno del 2007. Sento che l’emozione sta per avere la meglio sulla professionalità, ma varco ugualmente quella porta che mi condurrà alla prima e storica intervista per il pubblico italiano a Luca Ventimiglia, in arte XX, dopo la recente incoronazione: quest’uomo è il primo cittadino del Bel Paese in grado di conquistare il prestigioso riconoscimento da parte del glorioso periodico statunitense; del resto stiamo parlando di colui che, in soli tre anni da quel famoso 23 Ottobre 2004, è riuscito a scalare, con i suoi Pinguini nel Salotto, le vette di internet arrivando addirittura a minacciare il mostro sacro Google: l’uomo, in cifre, vale un fatturato annuo di 35 Euro (solo la pizzeria lo Scugnizzo, da lui citata, gli valse nel 2006 oltre 13 Euro come partecipazione da inserzionista), una cinquantina di contatti sulla sua homepage ogni giorno (ogni giorno!) e la presenza stabile ai vertici di google alla voce di ricerca “Dentuto Gianfranco”.

Noto per la sua idiosincrasia per i cavalli, sembra che abbia avuto una storia d’amore con Paris Hilton, incontrata a Hollywood in occasione della presentazione ai media del nuovo blog, dal taglio editoriale più leggero dei Pinguini, da lui sponsorizzato alla fine del 2007. Voci o verità? Stiamo per scoprirlo direttamente attraverso le sue parole.

Allora Mr. Ventimiglia, come giudica il suo operato nel 2007? Così straordinario come dicono i media di tutto il mondo o, conoscendola, ha qualcosa da rimproverarsi? Innanzitutto buongiorno a lei e a tutti i lettori. Il mio 2007? Beh, all’inizio dell’anno proclamai in mondovisione il 2007 come Anno dell’Esagerazione. Mi pare che il risultato sia stato soddisfacente. Eppure, c’è qualcosa che non posso non rimproverarmi: nonostante io ce l’abbia messa tutta per impedire che ciò accadesse, L’allenatore nel pallone 2 è uscito lo stesso. Però nel 2008.

Sui Pinguini lei non ha mai nascosto il suo passato, anzi ne ha fatto un cavallo di battaglia (e mi scuso per la parola cavallo). Ma com’è xx oggi? (si rabbuia) Le tiro le orecchie per questa domanda, perché la mia ostentazione del passato non è altro che un modo per il lettore attento per arrivare a conoscere il me stesso attuale. Noi siamo quello che eravamo, è il mio motto (da adesso in poi, almeno). Quindi, si rilegga la sezione Aneddoti Inconcludenti, e lì troverà la sua risposta.

Il gossip mondiale insiste a diffondere la notizia secondo cui lei e Paris Hilton siate in rapporti più che amichevoli. Cosa c’è di vero in tutto questo? (ride) Ma no, io e Paris siamo solo buoni amici. Prossima domanda, per favore. (strizza l’occhio)

L’enciclopedia stronza, gettonatissima rubrica dei Pinguini, sta prepotentemente soppiantando l’orami datata Wikipedia. La critica che le viene mossa dai media tradizionali è che l’informazione da lei prodotta non ha alcun fondamento di realtà. Come commenta? I media tradizionali, i cosiddetti GIGI, hanno fatto il loro tempo, e la loro autorevolezza ormai è scemata. E quindi chiedo io a lei: se chi è privo di autorevolezza muove critiche ad informazioni diverse, a chi bisogna dare ascolto? La risposta, amico mio, soffia nel vento!

Vuole descriverci in due parole gli abitanti primigeni dei Pinguini, ovvero l’affezionato pubblico che, nei primi anni di difficoltà, l’ha aiutata a diventare l’incontrastato opinion leader mondiale che oggi può vantarsi di essere? Nei primi anni di difficoltà non c’era alcun abitante nei Pinguini, a parte me stesso. Infatti, tutti mi odiano. Ma io non mi sono mai arreso, e col duro lavoro oggi sono qua, uomo dell’anno. Devo rigraziare solo me stesso: d’altronde, tutti mi odiano. Ah, l’ho già detto. Questo non scriverlo. (la deontologia professionale e un certo sadismo mi impongono di scriverlo ugualmente per dovere di cronaca, ndr.)

Progetti per il futuro? I Pinguini continuano a darmi grandi soddisfazioni, ma bisogna saper guardare anche oltre il proprio orticello. E’ per questo che ho pensato di provare nuove esperienze, e ho cullato l’idea di imbarcarmi come mozzo per cercare fortuna. Poi mi son ricordato del mio lucroso conto in banca, e ho deciso di no. Come nuova esperienza, questa sera cucinerò il pollo coi peperoni.

Chiudiamo con il più grande dei rovelli che affliggono il mondo che segue le sue imprese: ha mai perdonato il Dentuto Gianfranco, dopo lo spiacevole episodio? (ride) Il Dentuto Gianfranco è stato già abbastanza punito da Suor Luciana, e non ho motivi per serbargli rancore. Anzi, approfitto dell’occasione per rivolgere un appello al Dentuto Gianfranco per una pubblica rinconciliazione. Con un pranzo a base di lumachine! (ride fragorosamente)

Dopo aver concluso l’intervista informalmente con qualche battuta sui cavalli e aver gustato dell’ottimo Tavernello che l’Uomo dell’Anno ha insistito per offrirmi, egli mi congeda con cordialità e con la raccomandazione di accompagnare l’articolo con una foto che gli renda giustizia: crediamo di averlo accontentato.

Auguri spiritosi per Natale

Come da tradizione, il post di Natale è brutto. E quest’anno, a grande richiesta, ecco gli auguri spiritosi per Natale, alla faccia dei concorrenti dei maialini.

Sezione 1: Benigni, ovvero auguri in rima

– Tanti auguri, forti e duri
– Buon Natale a chi non mi vuol male
– Buon Natale e un anno fico pel parente e per l’amico
– Buon Natale, Gesù è nato! Auguri all’amministratore delegato.

Sezione 2: Pieraccioni, ovvero auguri pseudospiritosi

– Buon Natale e buon anno…per l’anno prossimo (variante: per l’anno scorso)
– Buon Santo Stefano! Beh, il buon Natale te lo augurano già tutti…
– Non mangiare troppo panettone, altrimenti poi ti scambiano per le renne di Babbo Natale! Grosso? No, con le corna!

Sezione 3: Boldi, ovvero auguri pecorecci

– Sull’albero ci sono le palle…ecco dove son finite le tue! (mamma mia, questa tocca il fondo!)
– Meno male che a capodanno ci sei tu, così possiamo insaporire le lenticche col finocchio!
– Mi son scritto gli auguri sul pisello e ho scritto “Tanti auguri carissimi di un felice Natale, un gioioso Santo Stefano e un sereno 2008”. Se ci provi tu, al massimo puoi scrivere “Aug.”
– Merdy Christmas!

Invito i lettori ad ampliare questa breve lista aggiungendo auguri ancora più imbecilli e di cattivo gusto (eventualmente inaugurando altre categorie). E son pronto a scommettere che, per il Natale 2008, ne vedremo qualcuno girare nelle catene di sms.

Momenti di umorismo parte IV: Il topo mangione

La seguente “barzelletta” mi è stata raccontata dalla mia compagna di classe Giulia sulla strada per andare in montagna a Limone durante uno degli ultimi anni delle elementari. Chi vuole avere un quadro dell’epoca sappia che nel locale bar dell’albergo montanaro troneggiava Space Invaders che però era già considerato un po’ obsoleto. Ma bando alle cose serie, ecco il momento di umorismo:

C’è un topo che ha fame e che gira per una cantina. Ad un certo punto trova una bottiglia di vino e se la beve tutta e si ubriaca e inizia a fare “Hic! Hic!”. Poi trova un tamburo, se lo mangia e allora fa “Hic-bum! Hic-bum!”. Infine trova un disco, mangia anche quello e a questo punto fa “Hic-bum-chachacha! Hic-bum-chachacha!”

Fine. Si noterà come si tratti di una barzelletta per modo di dire, in quanto priva della tradizionale struttura di introduzione- sviluppo- svolta semantica e anche di una vera e propria battuta. Si tratta piuttosto di una storiella buffa, tanto che ho il sospetto che Giulia (o chi aveva raccontato la storia a lei, o qualcuno negli anelli precedenti della catena) avesse adattato un raccontino, un cartone animato o un fumetto alla forma di barzelletta.

Ciononostante, ci sono due elementi di interesse che si ricollegano in qualche modo al mondo delle barzellette: il primo, il fatto che il topo emetta il suono “hic”. Nelle barzellette, gli ubriachi fanno “hic”, o vedono doppio, o parlano in falsetto strascicando le parole. Il secondo è il fatto che un disco suoni “chachacha”. Nel mondo desueto delle barzellette, i dischi sono di “musica leggera” (quelli di musica seria non sono argomento su cui scherzare, che diamine!) , però non esageriamo! Niente rock e/o roll da queste parti.

Ora che sapete questo, la barzelletta fa molto più ridere.

Il sussidiario

Ad Alassio, nel sottopassaggio antistante la stazione ferroviaria, è stata attivata una lodevole iniziativa: ci sono diverse bancarelle incustodite con libri di vario tipo; chi vuole, può regalare libri limitandosi a lasciarli lì; viceversa è possibile acquistarli lasciando una donazione (“minimo un euro!” minaccia un severo cartello) a favore della ricerca contro il cancro. L’offerta è piuttosto vasta, e inevitabilmente scadente: c’è gente che lascia pacchi di riviste, addirittura ho visto elenchi telefonici vetusti e opuscoli della chiesa. Che cacchio, dovrei lasciarti un euro per un “Chi” di sei mesi fa? E allora preferisco limitarmi a fare un’offerta senza nulla in cambio! Va anche detto che cercando con calma ogni tanto si trova qualche gioiello; sono ad esempio fortemente tentato dai romanzi di Beverly Hills 90210 che mi occhieggiano da qualche tempo, e mesi fa ho trovato uno splendido libro di informatica degli anni ’80 scritto, per farlo sembrare futuribile, con un font identico a quello delle stampanti ad aghi (questo libro merita un post a parteche prima o poi arriverà).

Uno dei sempreverdi del sottopassaggio della stazione è costituito dai libri scolastici, e in questo periodo la scelta è abbondante: evidentemente le mamme acquistano i nuovi libri e sbolognano nelle bancarelle quelli vecchi e ormai “inutili”. Uno di questi lo ho acquistato, prima della scorsa estate: si tratta di un sussidiario di quarta elementare intitolato Una marcia in più datato 1993. Solo dopo l’acquisto ho finalmente realizzato che “sussidiario” significa “oggetto che fornisce un sussidio (allo studio)”: io ero sempre stato convinto che fosse un “sussi-diario”, cioè un diario che, boh, sussa (ma senza mai capire cosa significasse). Ho anche riscoperto con delizia un’usanza che avevo rimosso: quella di ricoprire i libri con una fasciatura di plastica colorata semitrasparente (tipicamente verde, blu o rossa), spesso con l’etichetta col nome.
Questo sussidiario ora staziona nel mio bagno e ad ogni, ehm, seduta ne leggo alcuni brani e scopro qualcosa di nuovo. Ad esempio che l’economia del Molise è basata sull’agrucoltura e la pastorizia, che sull’impero di Carlo V non tramonta mai il sole, che l’aria calda sale e quella fredda scende come potete verificare voi con un semplice esperimento, che l’area di un rombo è diagonale per diagonale diviso due, ma anche (magia!) base per altezza diviso due.

Il mondo dei sussidiari, nel 1994, non è diverso da quello che avevo conosciuto io nella prima metà degli anni ’80. Ho rilevato solo qualche piccola differenza in matematica (nessuna traccia di algoritmi per effettuare le operazioni, maggiore attenzione ai concetti algebrici e topologici) e nella terminologia (insistenza sull’espressione “elementi antropici” in geografia, ad esempio) e, dal punto di vista pedagogico, negli esercizi che invitano i bambini a verificare le nozioni da soli. Ma la sostanza è quella: d’altronde, i programmi ministeriali sono gli stessi, non ci si può ricamare sopra moltissimo.

Ormai son passati quindici anni e Una marcia in più è ormai obsoleto a sua volta: chissà se nel nuovo millennio qualcosa è cambiato, e se ora l’area del rombo si calcola in un altro modo. Secondo me no.

Come Jovanotti mi ha minato l’esistenza

Oggi parliamo di musica. Forse farà piacere a qualcheduno dei miei lettori sapere che mi sono riavvicinato a questo mondo da quando ho scoperto la musica classica, ma questo non c’entra molto col resto del discorso, tanto più che il tema del discorso è Jovanotti.
Nel 1988 mi piaceva Jovanotti. Penso che io, quattordicenne, facessi parte del pubblico ideale del primo Jovanotti, il postpaninaro che parlava di fare casino, che aveva un mito nebuloso dell’America e che era l’emblema di chi è arrivato al successo senza sforzo, quasi per caso. Era il Jovanotti di Jovanotti for President, il suo primo album, quello in inglese con Gimme Five, The Rappers, Ragamuffin e Go Jovanotti Go. Quest’ultima canzone addirittura l’avevo imparata quasi tutta a memoria, e l’inizio di quel testo immortale lo so ancora:
Baby baby do you wanna drive my car/’cos I can’t get the license/I’m just the superstar/I got the blue leather jacket and the baseball hat/I don’t look at the words I just care for the fact.

Durante un’esibizione a Deejay Television, Jovanotti spiegò ai suoi fan come equalizzare lo stereo. Seduto sul bordo di una piscina dell’Aquafan abbracciando uno stereo portatile a cassette con le tipiche tre frequenze da equalizzare (bassi, medi ed alti), il prode “cantante” chiarì:

– La levetta di sinistra l’alzate al massimo, quella di mezzo la lasciate così com’è mentre quella di destra anche quella l’alzate al massimo.

(e sono ragionevolmente sicuro che l’anacoluto ci fosse nel suo discorso originale). Io obbedii senza neanche pensarci troppo. Jovanotti diceva di fare così, Jovanotti era un fico, quindi questa era l’equalizzazione corretta. Pochi mesi dopo passai ad ascoltare Heavy Metal e rinnegai Jovanotti regalandone la cassetta a mio cugino, ma ormai ero talmente abituato all’equalizzazione alla Jovanotti che settaggi diversi mi suonavano male. Anche quando ebbi in seguito accesso ad equalizzatori con più bande, utilizzai sempre la regola della V: alti e bassi al massimo e le altre bande a scemare fino ai medi, tenuti neutri.

Di recente, giacché ascolto musica un po’ differente, un giorno mi è sorto un terribile dubbio, e ho controllato come ho equalizzato il lettore mp3 e tutti i software che uso sul pc per sentire musica. Ho scoperto che il virus dell’equalizzatore alla Jovanotti non mi ha ancora lasciato.
Allora sono uscito e, durante una tempesta mi sono inginocchiato sotto la pioggia e, sferzato dal vento, ho gridato al cielo: “PERCHÉÉÉÉÉÉÉ?!?”.

Ok, forse no. Ma il resto è vero.

(qualche giorno di pausa per questo blog. Si ritorna poi con la nuova sezione La faccia come il culo, che probabilmente detesterete. Cazzi vostri.)

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