Hai quattordici anni e fai la terza media. Ti piacciono le donne nude, i videogiochi, il calcio e i lego (in quest’ordine). In fondo, però, non è così male leggere un libro una volta ogni tanto, ma di fronte a questo tuo pio interesse c’è un ostacolo: la temutissima Scheda del Libro.
Il tuo professore di italiano (Matteo G., detto “il Merda“) ha deciso che bisogna evangelizzare voi giovani virgulti ed è necessario obbligarvi a leggere almeno un libro al mese. Ma, per dimostrare che l’avete davvero letto e capito, tu e i tuoi compagni di classe dovrete scrivere una relazione su di esso. La prospettiva di un compito supplementare è sufficiente per trasformare un piacere in un dovere, e quindi il libro verrà scelto come il più facile e il più corto possibile (magari “Il gabbiano Jonathan Livingston“, un classico di generazioni di studenti) o, come alternativa, un libro molto famoso per poter trovare i riassunti su internet.
Un libro che volevi leggere c’era, e ti sei sciroppato l’intiero “Harry Potter e il Calice di Fuoco” (tra l’altro leggendolo in tre giorni!) e ti appresti a fare il compito.
Titolo: questo è facile. In bella calligrafia verghi “Harry Potter e il Calice di Fuoco”. Ti prendi persino lo sfizio di imitare (male) il logo della copertina.
Autore: come si chiama quella là? Prendi il libro dal comodino…ah sì, J.K. Rowling. Dopo aver copiato con attenzione tutte quelle lettere straniere ti rendi conto che si tratta di una donna e che sarebbe più preciso mettere “Autrice”. Per un momento pensi di strappare la pagina e riniziare, ma sei talmente soddisfatto della scritta del titolo che decidi di far finta di niente. In compenso, già che hai il libro in mano, per far bella figura, aggiungi alcuni dettagli non richiesti come “Casa editrice”, “Numero di pagine” (sono tante, bisogna dirlo!) e “Prezzo”, per dimostrare che l’hai comprato davvero.
Genere: uhm, il prof ha spiegato i gialli, la fantascienza, il romanzo storico, la biografia, il feuilleton. Mettiamo “biografia”, in fondo parla della vita di Harry Potter.
Trama: sbuffi e decidi di farti dare una mano. In fondo il libro è lunghissimo e l’hai letto tipo tre settimane fa, non puoi mica ricordarti tutto! Allora accendi il PC e punti il browser al sito più bello del mondo e ricopi il testo della trama. Purtroppo il prof vuole che si scriva a mano (“con la penna è tutta un’altra cosa, e poi altrimenti finite per disimparare a scrivere!”) quindi non puoi fare ctrl-C/ctrl-V. Già che devi scrivere, però, ne approfitti per operare qualche variazione, così, casomai il Merda scoprisse Wikipedia, non potrebbe dire che hai copiato. Ad esempio, la frase “Arriva il giorno della seconda prova che consiste nel recuperare delle persone che stanno a cuore ai campioni nel fondo del lago” diventa “Giunge il giorno della seconda prova che consiste nel prendere degli amici che stanno a cuore ai maghi sul fondo del lago.” Ci sono quattro o cinque parole diverse, non può mica dire che è uguale.
Personaggi: inizi ad essere un po’ stufo, e pensando ai trecentoquarantuno personaggi del libro cominci a pensare che il tuo compagno di banco Danilo, che ha portato “Va’ dove ti porta il cuore“, forse è stato più furbo di te. Comunque la cosa è più lunga che difficile, e finisci per scrivere due righe per Harry Potter, tre o quattro dei suoi amichetti più Voldemort.
Ambientazione: pensando alla Playstation che ti chiama tiri quattro testate sul muro per la disperazione e poi scrivi frettolosamente “Hogwarts”, fregandotene del fatto che ci sono scene ambientate altrove. “Intanto – pensi – l’ho detto sopra, se non lo capisci sei scemo”.
Messaggio: messaggio? Ma de che? Ricordi il prof che con voce melliflua ha detto: “Tutti i libri ci arricchiscono e ci insegnano qualcosa. Pensate a come eravate prima di leggere il libro e come siete dopo, e vedrete che avete qualosa in più. Ecco, quello è il significato, il messaggio del libro”. Ci pensi un momento e poi, poco convinto, scrivi: “Vincere il trofeo Tremaghi è molto difficile.”
Giudizio: quello che vorresti veramente scrivere è che ti sei entusiasmato a leggere le avventure del maghetto, hai trepidato per lui, condiviso le sue gioie e le sue tragedie, ma poi , sospirando, decidi di scrivere più o meno quello che il Merda si aspetta: “Libro scorrevole ma superficiale e destinato a un lettore immaturo. Fontamara è molto meglio”.
Finalmente puoi chiudere quel cacchio di quaderno e giocare a FIFA. E il mese prossimo offri una merenda a quel secchione di Orlandi e la Scheda del Libro te la fai fare da lui.
Il numero uno si crede il capo di tutti, però sotto sotto si rende conto di non contare un granché e reagisce a questo conflitto interiore manifestando molta arroganza. Non è molto amato, ma incute una sorta di superficiale rispetto misto a timore.
Il numero due è una femminuccia giovane, con gli occhiali, intelligente e persino abbastanza carina. Timida, soffre di complessi di inferiorità perché invidia il Signor Uno che secondo lei è superiore, mentre invece è palese che lei sia migliore. Ma lei non ci crede e piange.
Il numero tre, maschio, è un po’ antipatico con la sua fissazione per il misticismo, e raramente fa amicizia con gli altri. Però ha una personalità molto spiccata e non è proprio possibile confonderlo con altri. Indossa spesso un cappello giallo.
Il numero quattro, manco a farlo apposta, è quadrato e precisissimo, e non è simpatico proprio a nessuno. Vota a destra, ha i baffi e i capelli con la brillantina ed è pure un po’ guerrafondaio.
Il numero cinque è una signorina alta e magra, a tratti nervosetta. E’ difficile capirla, ma è capace di dare molto affetto quando si sfondano le barriere che lei stessa ha eretto.
Il numero sei è gay. Lontano dagli stereotipi, è un signore un po’ pelato sulla nuca e sovrappeso che parla in modo sommesso cercando di passare inosservato. Ha le mani molto curate. Inoltre, il numero sei non è un prigioniero, ma un uomo libero.
Il numero sette è un grandissimo rompiballe. Alto, stempiato, con occhiali calcati sul naso: nella comunità dei numeri tutti lo detestano e cercano di evitarlo. Lui non ci fa caso, è troppo preso da se stesso per badare ai giudizi altrui.
Il numero otto, donna, è una matrona grassa e ridanciana. Si veste spesso di verde ed è brava ad ascoltare i problemi della gente e dare i giusti consigli. In realtà lo fa, più che per altruismo, per poter conoscere i fatti altrui.
Il numero nove è un ragazzone rumoroso e sovrappeso, dai capelli corti e gli occhi nocciola. E’ terribilmente permaloso, tanto che prima o poi finisce per litigare con tutti. Ha una brutta cicatrice sul polpaccio destro dovuta ad una caduta nei rovi da piccolo.
Il numero zero non esiste.
Nel tragitto che compio quotidianamente in motoretta a Genova per andare al lavoro, mi imbatto a Sturla in un incrocio regolato da un semaforo con un’ostica svolta a sinistra, per andare in via Isonzo (particolare ad uso esclusivo di chi conosce la zona. Uhm, credo nessuno, tra i miei lettori abituali. Particolare inutile, allora) . Il verde del semaforo birichino dura molto poco a fronte ad un rosso lunghissimo, e, essendoci molto traffico in direzione opposta, capita quasi sempre che ci sia qualche rincoglionito che si trova bloccato in mezzo all’incrocio, ostacolando il passaggio durante la fuggevole durata del verde. Io, da bravo motorettista genovese, non ho problemi a sgusciare in mezzo ai detti imbecilli, ma appena passato mi coglie un moto di solidarietà. Mi viene infatti spontaneo mettermi nei panni di coloro che, seduti nei loro ingombranti mezzi a quattro ruote, perdono il momento d’oro del passaggio a causa di quei minchioni, e son costretti ad attendere un turno supplementare. Mentre mi allontano, quindi, mi si stringe sempre il cuore, perché so che se io fossi in quella situazione mi ritroverei a sbavare dalla rabbia, e mi dico regolarmente: “Adesso mi ritroverò a pensare a questi signori imbottigliati per chissà quanto tempo”. Tre secondi dopo penso già ad altro.
Questa assurda introduzione, tediosa per chiunque non debba svoltare a sinistra a Sturla, conduce al tema del flusso di coscienza. Pur non avendo la minima intenzione di imitare Joyce come tanti scrittorucoli, è un concetto che mi ha sempre affascinato. In particolare mi son reso conto che, quando lascio fluire i miei pensieri in libertà, non riesco mai a soffermarmi su un singolo particolare a lungo, anche se mi ero precedentemente imposto di non deviare da esso, o ero convinto che non l’avrei fatto. Inevitabilmente, per quanto forte sia il mio convincimento, dopo meno di un minuto il mio cervello viene stimolato da qualcos’altro. Mi sento un po’ Homer Simpson… A mia parziale discolpa posso dire che si tratta di esperimenti in qualche modo artificiali: quando sono dedicato a un compito preciso so focalizzare, e similmente è probabile che se entro domani dovessi saldare un debito agli usurai e non ne fossi in grado, non riuscirei a divagare.
Riassumendo, quindi, le banche ti prestano un ombrello quando c’è il sole e lo vogliono indietro quando piove. Uh, non stavo parlando di questo?
Sabato scorso in cielo campeggiava una splendida luna piena; in mezzo a una volta celeste priva nubi, l’astro d’argento si rifletteva nel mare come manco nelle canzunette ‘e Napule. Però c’era l’eclissi totale di luna, che prima di poter dire “crostata di mirtilli” l’ha oscurata. Esercizio: interpretare questo accadimento a guisa di oracolo.
1) La verità risplende per poco. Poi sopraggiunge l’oblio.
2) Quando credi che le cose vadano per il meglio, c’è sempre qualcosa pronta ad oscurare la tua gioia.
3) Bisogna mangiare le mele prima che marciscano.
4) L’amore è tanto bello che fa luccicare tutto quello che gli è intorno. Ma è solo questione di tempo prima che scemi nell’oscurità.
5) Selene proteggerà la città di Troia per dieci anni. Poi Pallade avrà la sua rivincita, e la città di Ilio cadrà.
6) Il formaggio (di cui, come è noto, la luna è composta) ammuffisce in fretta. Consumatelo rapidamente.
7) Occhio a come investite il vostro danaro. Mettete tutto in titoli di Stato, così state più tranquilli.
8) Gli dei sono molto permalosi. Non bisogna farli arrabbiare, altrimenti fanno sparire la luna.
9) A luglio farà caldo, poi ad agosto pioverà.
10) Va’ a pescare al fiume. Troverai un giovane picchio che affoga: salvalo e ti indicherà dove trovare un tesoro.
Soffro di una strana antipatia per le cartoline. Sì, quegli innocui cartoncini illustrati che si usa mandare dagli ameni luoghi di vacanza. Quelle coi panorami al tramonto, quelle con scritto “Tanti cari saluti da Rigatone Sabbiagialla” e la sfilza di firme.
Le cartoline, come oggetto, sono sgradevoli. Non si sa mai cosa fare di esse: dispiace buttarle via, perché in fondo ti sono state inviate da qualche conoscente, amico, parente, quindi finiscono per andare in qualche cassetto ad ammuffire. E per me gli oggetti inutili che non mi sento di buttare sono un problema (le partecipazioni di matrimonio o le bomboniere sono un altro incubo!). Ma non è solo questione di mera utilità: trovo che questi pezzetti di cartoncino illustrati siano un oggetto esteticamente repellente. Di recente è di moda il concetto di “cartolina orrenda”: sul fumetto “Rat-Man” c’è un concorso apposito, ne ho visti altri analoghi altrove e non è anomalo che qualche simpaticone cerchi apposta la cartolina peggiore del lotto, spulciando amorosamente l’albero apposito al di fuori delle cartolerie. È certo una bella impresa: accanto a quelle proprio fetenti, per scelta del soggetto, per realizzazione della foto, per pochezza del grafico, si trovano altre categorie che non sono da meno in quanto a cattivo gusto. Ci son quelle con le tette (“Ehi, guarda! Sono andato in un posto dove ci son le donne nude!“); quelle finto-spiritose (di solito con le vecchiette o gli asini: “Ehi guarda! Sono andato in un posto dove ci son le vecchiette!“. Per fortuna non hanno ancora pensato a quelle con le vecchiette nude, ma è solo questione di tempo); quelle con i messaggi predefiniti (“Manchi solo tu“, “Qui ci si diverte“…) e infine quelle con le foto di qualità. Certo, molte foto sono di per sè splendide, ma (mi si conceda l’astio) l’ambito della cartolina le sminuisce e le impoverisce. Un po’ come leggere un libro sul monitor.
Ma c’è di più: io detesto anche il rito sociale delle cartoline. Non ho mai sopportato l’ansia, appena giunti nel luogo di vacanza, di dover scegliere le cartoline, acquistare i francobolli, compilare le missive sforzandosi di dire qualcosa di originale (e poi alla fine dire le solite quattro cagate), farle firmare a tutti e infine imbucarle. Il tutto il più in fretta possibile, altrimenti torni prima tu della cartolina, e questo sarebbe un’onta insopportabile! E mi sfugge persino il senso di tutto ciò: fin da piccolo l’invio della cartolina mi sapeva di sberleffo, un po’ come dire: “Ah-ah! Io sono in vacanza e tu sei a casa a schiattare di caldo! Ah-ah!“. Si può ribattere che non si tratta di altro che di una piccola dimostrazione di premura, un modo per dire “Ti sto pensando anche se sono lontano“. Ma io sono negativo e misantropo, e penso che un pezzo di carta illustrato e scarabocchiato sia una ben povera manifestazione d’affetto. L’unica eccezione che ho concesso è stata per chi effettivamente ci teneva molto, in sostanza le nonne. Per tutti gli altri, nessuna pietà: se volete sapere dove son stato in vacanza, chiedetemelo.
(Per bilanciare tutto questo odio, dirò che mi piacciono gli gnocchi)
In piedi, campeggiatori, camperisti e campanari! Mettetevi gli scarponi! Oggi fa freddo! Qui fa freddo ogni giorno! Fa freddo! Non siamo mica a Miami Beach, sai? Sì, infatti, tanto è vero che in tarda mattinata dovete aspettarvi un viaggio difficile, perché… c’è una bufera in arrivo! Una bufera in arrivo? Già! Aspetta un momento che leggo le previsioni…
Dunque… il servizio meteorologico nazionale prevede… Una grossa bufera in arrivo! E’ vero! Ad ogni modo c’è un altro motivo che rende questa giornata particolarmente… particolarmente fredda… sì, fredda ma emozionante! La grande domanda sulle labbra di tutti… Sulle labbra screpolate… E va bene: quando Phil la marmotta verrà fuori, vedrà la sua ombra? Punxsutawney Phil! In gamba, marmottini e marmottoni, oggi è: il giorno della marmotta!