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Analisi della Settimana Enigmistica: quarta parte

E inoltre, accanto ai cruciverba, agli enigmi in versi e ai rebus, la Settimana Enigmistica è riempita di miriadi di altri giochini minori. Essi variano abbastanza di numero in numero e ne esistono tante sottovarianti; tuttavia possiamo individuarne alcune più comuni delle altre, magari raggruppandole in categorie. Taxonomie, mon amour.

1) Le domande di cultura generale
Una meraviglia per chi non ha voglia di tirar fuori la penna, o una buona occasione per coinvolgere amici quando non si ha occasione di stare tutti intorno alla rivista, si tratta di domande in stile "quiz" in linea col nozionismo che la Settimana Enigmistica tanto ama. Probabilmente sono nati ai tempi del maggior successo di Mike Bongiorno, e, come questo simpatico presentatore, non si schiodano per nulla al mondo. [1]
Come è tipico, esistono alcuni classici da affiancare a piccole variazioni che compaiono settimanalmente. Sfogliando un numero qualunque, il primo gioco a quiz è L’edìpeo enciclopedico (e non è un tuttologo che si vuol trombare la mamma!) a pagina 5. Si tratta di domande aperte (senza cioè possibilità di scelta) la cui caratteristica preminente è di essere legata ad un’immagine (una foto o un disegno). Alcune delle domande hanno un riferimento diretto alla parte grafica (26813: "Nella foto è un quartetto inglese[…]. Chi sono?") altre volte c’è un legame più labile (26811:"Come sono chiamati gli abitanti di Susa, la città del Piemonte, di cui è questo l’arco in onore di Augusto?"), in altri casi infine si tratta semplicemente un’illustrazione. Ritengo che più che un gioco vero e proprio, essendo piazzate verso l’inizio e attirando così tanto l’occhio, si tratti di una pagina di curiosità travestita da quiz.
Passano parecchie pagine perché spunti un altro gioco simile. A pagina 22, accanto alle strisce centrali ("Carlo e Alice" o i suoi epigoni moderni), c’è Il piacere di saperlo. Anch’esso prevede domande a risposta aperta, ed è noto per essere di solito il più difficile tra le domande.
Poco oltre, infatti, a pagina 26, possiamo trovare il Vero o falso. Ovviamente in questo caso è assai più facile azzeccare le risposte: tuttavia alle soluzioni è associato un breve commento che può essere utilizzato per mettere alla prova il risolutore, per capire cioè se ha tirato ad indovinare o era sul serio a conoscenza della risposta. Molto simile è Forse che sì forse che no a pagina 45.
Questi primi quattro giochi hanno in comune un piccolo segreto: per la maggior parte delle domande, la vera risposta che tutti vorrebbero dare è "chi se ne frega".
Più interessante e con un taglio assai differente è Se non lo trovate…ve lo dico io di pagina 28. Accanto a domande classiche, ci sono piccoli problemi matematici, di solito risolvibili con equazioni di primo grado ad una o due incognite (o, come spesso suggeriscono nelle soluzioni, con l’obsoleto metodo delle "proporzioni") e giochini di associazione (es. 1393: "Nelle tre colonne sottostanti sono elencati alla rinfusa nomi e cognomi di scrittori italiani e i titoli di alcuni loro libri. Sapreste ristabilirre l’ordinte esatto?"). Spesso per risolvere queste ultime domande è utile carta e penna, e si distinguono anche per questo.
Fuori dal consueto sono pure le Domande bizzarre di pagina 39, che propongono domande a cui rispondere in chiave pseudo-umoristica: i "colmi" ne sono un tipico esempio. Spesso non ha molto senso cimentarsi nelle risposte, è una sorta di barzelletta in forma di domanda. Insomma, a chi chiede "Chi è il più forte saltatore in lungo arabo?" non si dà una risposta, si attende che egli stesso dica "Dalì-Alà".
Accanto a questi giochi fissi, in ogni numero ne compaiono uno o due di un tema preciso, e non sempre in una posizione fissa. Nel numero 3813, ad esempio, c’è il gioco Chi fu detto. I giochi "alternativi" sono a risposta chiusa.

[1] La notte dopo aver scritto questa frase, ho sognato che Mike Bongiorno mi sparava. Un semplice avvertimento, per adesso. Certi argomenti non si toccano nemmeno con un palo lungo dieci metri.

2) I giochini grafici
Dopo tre o quattro ore di cruciverba, anche il solutore più affamato vuole spegnere il cervello e dedicarsi a qualcosa di semplice e di automatico. Beh, quasi tutti, insomma. Alcuni giochi in cui egli deve solamente osservare immagini o poco più gli vengono allora incontro. I giochi fissi sono gli elementari La pista cifrata e Che cosa apparirà di pagina 8 (spesso fatti dai bambini o dai solutori meno che abili, e talvolta fonte di derisione per chi li risolve, magari sbagliando!), Il confronto di pagina 4, l’Aguzzate la vista di pagina 25. In ogni numero poi ci sono variazioni sul concetto di "Osservate attentamente l’immagine e capite cosa non va": quindi cosa c’è il più o in meno rispetto ad altre vignette, dove si trova un oggetto, se ci sono anomalie o anacronismi. Trovo interessante notare come, a differenza dei rebus, il disegno sia "umoristico" (nel senso attribuitogli nelle scuole fumettistiche italiane) e non realistico, dato che un tipo di tratto fortemente iconico permette di avere i singoli oggetti nettamente delineati come questi giochi richiedono. Dirò anche che, se le immagini dei rebus sono spesso involontariamente ridicole, quelle dei giochini grafici frequentemente invece sono blandamente divertenti.

3) I protocruciverba
Accumulate soprattutto nella seconda parte si trovano una serie di giochi che hanno qualcosa in comune coi cruciverba: a differenza delle variazioni dei cruciverba che usano pienamente il concetto di schema+definizione, questi hanno il concetto di definizione ma appena abbozzato quello di schema, oppure usato in forma crittografica e una soluzione che individua sempre una chiave, di solito un aforisma di qualche personaggio, rigorosamente indicato con l’iniziale del nome puntata, oppure un proverbio.
Ad esempio, Lo scrigno: "Trovate per ogni riga parole che corrispondano alle relative definizioni (a numero uguale corrisponde lettera uguale). Le lettere comprese nelle caselle a doppio bordo daranno un pensiero di A.Bloch".
Oppure, Colonnato: "Trovate le 15 parole sotto definite usando le sillabe indicate. Le lettere delle tre colonne dal fondo grigio daranno un pensiero di R. Gervaso".

4)Il bersaglio
Uno dei grandi classici della Settimana Enigmistica. Mi chiedo se la rivista ne possiede qualche sorta di copyright, visto quanto è popolare ma dato che non l’ho mai visto in nessun altro luogo diverso da pagina 28 del periodico in questione. Il bello di questo gioco sta nel fatto che combina diversi tipi di giochi di parole (scarto, anagramma, zeppa, cambio di lettera), quindi combinazioni di tipo sintattico, ad associazioni di parole che invece giocano sul loro significato, lavorando quindi sul lato semantico. Parte della popolarità del gioco inoltre risiede anche nella parte grafica, un’idea piuttosto acuta e probabilmente, ai tempi in cui è stata concepita, piuttosto complessa da realizzare tipograficamente. E anche la combinazione di esempio, "Omero, Odissea, Assedio, Troia, Cavallo, Cocchio…" è diventata quasi un classico: però, se vogliamo essere sinceri, quell’insistere su Omero nei primi cinque termini è un po’ fuorviante.

6) Poliziotti e avvocati
L’Enigma Poliziesco è, tipicamente, uno dei primi giochi che vengono affrontati dal lettore medio. Di facilità medio-bassa, spesso anche abbastanza divertente da leggere e da osservare, non ha una pagina fissa in cui essere ospitato (sebbene sia di solito nella seconda metà) e ha la soluzione a pagina 46 dello stesso numero: indice, questo, di gioco "usa e getta". Il "giallo" è un genere letterario spesso seriale, sfrutta cioè gli stessi personaggi diverse volte, e la Settimana Enigmistica eredita questa caratteristica proponendo alcuni personaggi fissi (L’ispettore Volponi ne è un esempio) che, tuttavia, di solito, non hanno caratterizzazioni particolarmente forti e sono sostanzialmente intercambiabili.
Il gioco, come dicevo, è uno dei primi ad essere affrontati, ma raramente si rimane soddisfatti della soluzione. E’ veramente troppo complesso mettere su un enigma decente in sei vignette, e quasi sempre la soluzione si riduce a osservare attentamente le vignette per notare delle incongruenze, leggere i dialoghi con arguzia per individuare le contraddizioni o le imprecisioni, e, quando si tratta di ambiti specialistici, trovare l’errore facendo riferimento a nozioni esterne. Quest’ultimo, probabilmente il più comune, è indice di un enigma poco interessante: trovare il medico finto tra diversi pretendenti capendo quale di essi dice o fa qualcosa di poco consono alla professione è un espediente di scarsa validità.
Quasi sempre si fa riferimento a truffe o furti: gli omicidi sono sempre più rari; curiosamente, a questa tendenza politically correct si affianca un nuovo filone in cui i protagonisti sono ladri pasticcioni le cui avventure finiscono male per la ragione che il lettore scoprirà. Il disegno è quasi sempre di stile umoristico.

A mio parere assai meno interessante, ma ospite fisso di pagina 24, è Se voi foste il giudice. Sotto un’illustrazione di stampo realistico (stiam parlando di cose serie!) si trova una descrizione di un contrasto tra due parti che ha portato ad una causa in tribunale. Seguono le argomentazioni degli avvocati di entrambe le fazioni, e poi si chiede al lettore di esprimere il proprio giudizio. Non è immediato capire il senso del gioco: io, che non sono un giudice né ho comunque conoscenza delle leggi, non posso far altro che andare "a buon senso". Tuttavia un giudice non usa il buon senso, applica le leggi, e infatti la soluzione, redatta da un avvocato citato con nome e cognome, fa riferimento alle leggi utilizzate per dirimere la questione. Quindi, tutto sommato, il nocciolo del gioco è duplice: un quiz per avvocati oppure una prova per capire se la propria saggezza coincide con le leggi.

7) Le prove di intelligenza
Prova di intelligenza un gran par di palle, mi verrebbe da dire. Per me prova di intelligenza significa stimolare il pensiero analitico ma anche le intuizioni, il pensare al di fuori dei soliti schemi; invece, le prove di intelligenza della Settimana Enigmistica sono tutte uguali. Propongono infatti sempre due o tre piccoli insiemi di persone o oggetti con alcune relazioni tra di esse (ad esempio, quattro fratelli coi capelli di quattro colori diversi che si occupano di quattro attività differenti) e vengono forniti alcuni dati su queste relazioni. La domanda consiste nell’individuare una specifica relazione ("Qual è il colore dei capelli del fratello che suona il pianoforte?"). La soluzione non è semplice, certamente: lo schema di relazioni completo non è mai possibile ottenerlo ma ci si riduce sempre a schematizzare i predicati andando per esclusione fino ad ottenere la risposta. Io non mi cimento mai, non trovo stimolante la cosa.
E poi c’è la Susi. La Susi compare poco, ma è una figura affascinante: a lei è dedicata una serie di Concorsi a premi, appunto gli Enigmi con la Susi in cui la nostra protagonista si trova di fronte ad alcuni amici, sempre vestiti bene e rigorosamente stronzi, che le propongono delle prove. Spesso sono simili a quelle della prova di intelligenza, ma quasi sempre hanno un tocco di eleganza in più, la grazia di associare anche qualche elemento grafico o di richiedere qualche passaggio più difficile. Confesso che non riesco quasi mai a risolverli…però la Susi, disegnata sempre con dei fuseaux aderenti e con magliette a righe che esaltano due bocce che l’artista si premura di mettere in risalto, sono l’unico preziosissimo elemento erotico di tutta la Settimana Enigmistica.

Come si è visto, i raggruppamenti sono piuttosto arbitrari, esistono una varietà di giochi e di difficoltà la cui analisi va al di là dello scopo di questa serie di articoli. Tuttavia è sbagliato pensare che questi giochi siano meri riempitivi: ognuno ha il suo preferito e parte del fascino della rivista sta anche in questi giochi minori, nella loro varietà e, a tratti, nelle piccole innovazioni che essi portano.

Luchino bambino: genio o deficiente?

volte penso che da piccolo io avessi una mente straordinaria. Il ricordo delle intuizioni che avevo, dell’approccio critico che avevo nei confronti della conoscenza mi risulta tuttora sorprendente. D’altra parte, ero un bimbo assolutamente incapace a vivere in senso comune, quindi a tessere rapporti sociali e cavarmela in situazioni pratiche; per entrambe le ragioni nella mia classe delle elementari ero abbastanza detestato: un "primo della classe" che fatica ad avvicinarsi agli altri, e che per di più non ha Masters, non può essere simpatico. Entrambi gli aspetti col tempo si sono smussati e gli estremi si sono parzialmente avvicinati, ma tutto sommato le cose non sono cambiate così tanto. Sono sempre un genio stronzo, ma meno genio e meno stronzo.

In terza elementare la maestra ci aveva dato un esercizio di aritmetica in cui bisognava riempire uno spazio tra due espressioni coi simboli "maggiore", "minore" o "uguale"; le espressioni forse erano frazioni, o magari si giocava sulle diverse unità di misura. Che so, "3/4 < 7/8" o "12 g = 0,12 hg". Ero andato in crisi: sapevo benissimo quale dei due fosse il maggiore o il minore, ma nessuno mi aveva mai spiegato in che ordine i simboli utilizzassero gli operatori. Si dava per scontato che il simbolo "<" (o ">") indicasse  che il primo numero è minore (maggiore) del secondo perché siamo abituati a ragionare da sinistra a destra, allo stesso modo in cui leggiamo e scriviamo. Ma questo, in matematica rigorosa, è un errore: gli assi cartesiani sono positivi a destra e in alto solo per abitudine, e non per qualche legge.
D’altra parte, forse la mia crisi era dovuta ad una mia deficienza: è ovvio che il simbolo "<" indica "termine di sinistra minore del secondo". Pensare che possa essere il contrario non è indice di una mente acuta, ma di una mente disturbata. Si dirà: ma non potevi chiederlo? O vedere un esempio una volta per tutte? In realtà ci era stato dato come compito a casa una volta che ero assente, e una volta che l’abbiammo corretto in classe ho capito come funzionava.
E probabilmente l’avrei chiesto, perbacco, perché curiosamente la mia timidezza in classe scompariva quando si trattava di conoscenza. Non solo chiedevo tutto quello che non mi quadrava anche di poco, ma addirittura ponevo domande anche su ciò che già sapevo, apposta per sentire modalità di approccio alla spiegazione di dati a me noti e ricavarne impressioni oltre che informazioni. Assurdo, non è vero? La mia classe non coglieva, e quella volta che ho chiesto cosa fosse un’incoronazione tutti si sono messi a ridere. Ah, ah! Luca non sa cos’è l’incoronazione! Maledetti fessi, sì che lo so, ma vediamo quel che dice la maestra.
– È una cerimonia in cui viene posta la corona per la prima volta sulla testa del re.
Uhm, nessun dato interessante, anzi, è una definizione che manca il nocciolo della questione. Il De Mauro dice: "cerimonia solenne in cui si conferisce una dignità regale o pontificia a qcn., mediante l’imposizione di una corona o di una tiara". La chiave dell’incoronazione è il conferimento della dignità regale, non la posa della corona. D’oh, potevo fare a meno di chiederlo.

E poi, col passare del tempo, mi sono appassito, infossato in una scuola che non ha saputo stimolarmi adeguatamente. Alle medie mi sono annoiato a morte, e arrivato al liceo ero definitivamente ripiombato in una media ragionevole. Che occasione persa per l’umanità!

Variazioni animate

(Ispirato al buon vecchio gioco di Sfiga all’OK Corral)

Rocky Poe
Avventure di un pugile terrorizzato dalla sepoltura prematura col suo inseparabile corvo mattacchione.



Onan ragazzo del futuro

Dopo la terza guerra mondiale, c’è penuria di donne e ci si arrangia come si può.


Lupin Terso

Il celeberrimo ladro gentiluomo diventa ossessionato dalla pulizia personale.


Bia, la sfiga della magia

Una giovane maghetta non si rassegna a tutte le disgrazie che la sua condizione le reca.


L’alpe maia

Vicende di insetti precolombiani ambientate nelle montagne svizzere.


Capita, Harlock

Allo sfortunato Harlock succedono un mucchio di scocciature: perde un
occhio, viene sfregiato, gli viene rifilata in adozione una bambina
rompiballe. Il suo amico Toshiro in ogni puntata lo consola con la
frase che dà il titolo alla serie.


Astrotanga

Il robot più sexy del creato combatte contro invasori spaziali bigotti.


Cava dolce Kyoko

Una giovane vedova per dimenticare il dolore della prematura scomparsa del marito intraprende la carriera di dentista.


Santaman

Uno scheletro vestito da Babbo Natale difende la giustizia.


Jeeg robot d’Aiaccio

Contro la minaccia della regina Himika l’umanità ha una sola speranza, e viene dalla Corsica.


Nudo Boy

Giovane esperto di arti marziali combatte i cattivi dopo essersi spogliato.


Juny leperina inventatutto

Una lebbrosa giovane e graziosa aiuta i suoi amici malati con simpatiche invenzioni che combineranno tanti guai.


Piss me Licia

La bella Licia accontenta il biondo ed atletico Mirko nella sua perversione preferita.


La banca dei ranocchi

Denetan e Ranatan, rane dello stagno, ostacolati nei loro progetti
matrimoniali decidono di mettersi in affari e prestano denaro ad usura
agli amici anfibi.


Lulù l’angelo tra i siori

Alla ricerca della felicità Lulù andrà a servizio come cameriera di molte famiglie venete.


Quella magnifica cozzina

Mimì, giocatrice di pallavolo, si distingue per la sua bruttezza ma
grazie all’allenamento con le catene vincerà partita su partita.

Atlas Uro Robot
Contro i mostri lanciati da Vega si leva come scudo dell’umanità un gigantesco toro meccanico.


Lekkaman

Guerriero in armatura è infallibile nello sconfiggere le nemiche tramite fini tecniche di cunnilingus.


Lamù la ramazza dello spazio

Il povero Ataru incontra una scopa di saggina aliena che sconvolgerà la vita sua e dei suoi familiari.

Ovvietà della vita da casalinghi

(ovvero, una serie di banalità che ho imparato tardi. Pinguini nel salotto, insomma)

– Le caffettiere Bialetti valgono quello che costano
– Si può fare a meno di stirare i jeans
– I cavoli bianchi durano un’eternità se conservati nella carta
– Le raccomandate portano sempre delle scocciature
– È bene dare un mazzo di chiavi di riserva a qualcuno di fidato
– Il Mercato Orientale di Genova è un posto bellissimo
– Le piante muoiono prima che tu te ne accorga
– Per avere i fornelli luccicanti, tocca risciacquare ed asciugare
– Ma da dove cazzo viene tutta quella polvere?

Buon appetito, ma con educazione!

– L’unica cosa che si può mangiare con le mani è la focaccia.
Era uno degli insegnamenti che zia Adelina ripeteva più spesso. Al che io, timoroso, quando si trattava di mangiare la pizza che è molto più buona se gustata sporcandosi le dita, attendevo che il suo volto severo si voltasse altrove prima di afferrarla e sbafarla così.
Ma non si trattava solo di lei: per buona parte dei grandi della mia famiglia pareva che fosse una cosa assolutamente indispensabile che stessi coi gomiti stretti, che non mangiassi con la bocca aperta, che sapessi apparecchiare una tavola mettendo le stoviglie al posto giusto, che stessi composto e tutte quelle piccole altre scocciature che tutti i bambini detestano.

Tuttavia, era (ed è) nel mio carattere chiedermi sempre il perché delle cose. In una prima fase, intuendo che in "società" fosse corretto rispettare alcune regole, mi chiedevo però la necessità di essere così rigidi nell’intimità della propria famiglia. Escogitai una risposta che proposi a mia nonna Luisa. Io adoravo mia nonna, ma lei era una che ci teneva veramente tanto alle buone maniere. Quando apparecchiavo una tavola a cui si sarebbe seduta lei, ero terrorizzato dallo sbagliare la collocazione delle posate sulla tavola. Non riuscivo mai a ricordarmi se il coltello andava a sinistra o a destra, e la conseguente posizione della forchetta. Avevo quindi ideato un trucco: mettevo tutti i coltelli dallo stesso casuale lato dei piatti, con l’eccezion del posto di mia nonna che era apparecchiato in verso opposto. In tal modo, quando lei si sedeva, se il suo coltello era dal lato giusto non faceva caso agli altri, se invece era sbagliato invocavo il fatto che tutti gli altri erano corretti, e si era trattato quindi di una banale svista. Bella cazzata, direte voi. Bella cazzata, dico anch’io. Tanto bella che in effetti ho il dubbio di avere solo pensato una roba del genere e di non averla mai messa in pratica.

Ma torniamo a noi: la risposta ai miei dubbi che avevo trovato era che il buon comportamento quando si stava a casa fosse una sorta di allenamento per quando si era in pubblico.
Proprio così, bravo, fu il commento di mia nonna.
Il mio vulcanico cervellino allora iniziò a escogitare compromessi in cui si dimostrava, una volta per tutte o al massimo periodicamente, di essere in grado di sostenere una cena in società, in cambio della libertà di mangiare in pace coi gomiti larghi senza la minaccia di dover pranzare coi libri sotto l’ascella (minaccia costante di Zia Adelina). Nel frattempo però, rendendomi conto che tutto sommato non potevo farci niente, iniziai a chiedermi il perché di tutte quelle regole. E ancora oggi, ogni volta che sento parlare di galateo a tavola, cerco una ragione pratica (tralasciando l’etichetta in altri campi, ché almeno quella mi è stata risparmiata). A volte la trovo e mi pare sensata. A volte la trovo ma la giudico desueta, retaggio di un tempo passato. A volte, invece, proprio non riesco a trovarla, e allora mi rendo conto che si tratta di tradizioni che si perdono solo nel passato e che, in quanto tali, è giusto contribuire a smembrare.

Al primo tipo appartengono alcune regole come la posizione della forchetta e del coltello: la maggior parte delle persone è destrorsa, quindi userà il coltello, posata che richiede forza, con la destra. È quindi comodo metterlo nella posizione più consona all’uso (ma in presenza di un commensale notoriamente mancino, non si dovrebbe invertire?). Similmente, non è bello osservare il bolo altrui, quindi masticare a bocca chiusa può avere un senso.

Più rare sono le regole del secondo tipo. Mangiare coi gomiti chiusi ha senso quando si è molto vicini a qualcun altro, ma se questo accade si è inevitabilmente in un contesto informale, quindi c’è una contraddizione insanabile. Il bicchiere piccolo per il vino è stato superato da quando si è scoperto che esistono forme e dimensioni che esaltano maggiormente l’aroma dei vini, ma quasi ovunque si continua ad usarli. Il divieto di fare "scarpetta" col pezzetto di pane (uno dei grandi piaceri della vita!) e il consiglio di lasciare sempre qualcosa nel piatto deriva da un tempo in cui bisognava dimostrare di essere ricchi e quindi di non aver necessità di curarsi tanto dell’aspetto economico della nutrizione. Persino zia Adelina, nel suo fervore nel risolvere la fame nel mondo, aveva superato questa regola, ma essa rimane ed è comunemente osservata, anche se ormai per fortuna procurarsi il cibo non è un problema primario per quasi tutti i membri della nostra società.

E poi ci sono le regole incomprensibili. Un esempio è costituito dal tovagliolo appoggiato sulle gambe quando è molto più facile sbrodolarsi sul petto che far cadere pezzi di cibo sul grembo. Molto meglio legarselo al collo come Poldo Sbaffini!
Anche l’inibizione ad usare le mani mi è ardua da capire: so che la regola di zia Adelina era un po’ stretta (credo che alcune vivande, come le quaglie, i crostacei e forse il pollo, si possano mangiare con le mani), ma la frutta deve essere rigorosamente sbucciata con coltello e forchetta. Perché? È così complicato e scomodo sbucciare una pera con coltello e forchetta! Cos’hanno di male le mani?

Pian piano l’uso sta modificando queste regole, ma certe tradizioni sono veramente dure a morire. Sarà mio scopo della vita poter mettere il coltello a sinistra, legarmi il tovagliolo al collo e sputacchiare addosso ai commensali. Le rivoluzioni non sono mai piacevoli.

Il mondo reso facile

Secondo quanto si diceva ad Alassio nei primi anni ’80, se hai l’orecchino a destra sei drogato, se ce l’hai a sinistra sei frocio.
E pensare che ci sono genitori che si dannano per capire se il proprio figlio è gay o tossicodipendente, quando c’è una soluzione così ovvia a portata di mano. Vox populi.

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