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Analisi della Settimana Enigmistica: prima parte

Introduzione

Il tempo passa, tutto il mondo cambia, i punti fermi della vita sono pochi. Eppure anche Battiato avrebbe potuto capire che esiste un centro di gravità permanente nella nostra esistenza: la Settimana Enigmistica.
La Settimana Enigmistica ha 48 pagine rilegate a spillatura. Non ha pubblicità se non per se stessa, mediante gli strilloni che si alternano in prima pagina: "La rivista di enigmistica prima per fondazione e per diffusione", "Il settimanale che vanta innumerevoli tentativi di imitazione", "Per conservare la memoria occorre esercitarla: la Settimana Enigmistica ve ne offre la possibilità". Ogni numero ha un colore dominante scelto tra rosso, verde e blu: solo negli ultimi anni qualche rara pagina colorata è comparsa timidamente.
Caratteristica della Settimana Enigmistica è l’estrema serietà, quasi d’altri tempi. Non credo di aver mai notato un refuso tipografico in anni di frequentazione saltuaria di questo settimanale, e i temi toccati dai giochi e dalle soluzioni non devono in alcun modo aver la possibilità di turbare alcuno. Addirittura la moda del politically correct è stata anticipata, dato che anche in tempi non sospetti era molto attenta a non offendere le minoranze.
I cambiamenti in realtà ci sono, ma sono pochi, lenti e istituzionalizzati solo dopo un periodo di prova dev’essere il Cavaliere del lavoro Gr. Uff. Dott. Ing. Giorgio Sisini Conte di Sant’Andrea a dare il suo ok. E pazienza se questo fantozziano signore non è più tra noi. A che servono le sedute spiritiche, altrimenti?

1. I cruciverba

I cruciverba sono forse il piatto forte di ogni rivista di enigmistica, e La Settimana Enigmistica non è un’eccezione.
La prima metà della rivista è riservata a quelli facili, di solito di piccole dimensioni. Il primo, in copertina, è corredato di foto di un attore o di un’attrice; probabilmente in origine serviva a dare un minimo di appeal all’acquirente casuale, mentre adesso costituisce semplicemente parte della tradizione della rivista. Seguono altri cruciverba elementari, fino ad addirittura le "facilitate" la cui semplicità è quasi spudorata. Io non le faccio mai perché se non riuscissi a completarle mi sentirei umiliato. Sono astuto. I solutori più scafati e affamati di cruciverba possono comunque sfruttare le parole crociate più semplici usando solo le definizioni orizzontali o solo le verticali e indovinando le parole rimanenti mediante gli incroci, senza usare le definizioni corrispondenti. Qualunque cosa pur di non rivolgersi agli innumerevoli tentativi di imitazione!

Da pagina 29 in poi compaiono i cruciverboni difficili a tutta pagina, di solito in ordine crescente di difficoltà, fino a quello di pagina 41 che è il più complesso. Una volta esso era sempre il mitico Bartezzaghi, scritto da Bartezzaghi padre (Piero). Ora a volte compaiono quelli del figlio Stefano o di un certo A. (probabilmente un altro figlio), ma più di frequente è il Ghilardi ad avere l’onore di quella pagina. Vedere un proprio cruciverba a pagina 41 dev’essere il coronamento di una carriera di cruciverbista.
In ogni numero, inoltre, è pubblicato un esemplare di ognuna delle classiche varianti del cruciverba: le Cornici Concentriche (che hanno molti estimatori, dato che presentano un approccio alla soluzione radicalmente differente rispetto alle altre varianti), le Parole Crociate senza Schema, gli Incroci Obbligati, il Sillabico, il Bitriletterale, la Ricerca di Parole Crociate; sono in media abbastanza complessi. Accanto a questi pilastri, in ogni numero compaiono sempre uno o due altre varianti, anch’esse di solito non elementari: nel numero che ho sottomano ad esempio ci sono le Parole Crociate su Misura e le Parole Crociate con la Cornice. Raramente compaiono i temutissimi Incroci Obbligati Sillabici, che minacciosamente sono "riservati ai solutori più che abili". Solutori meno che abili o anche soltanto abili, non state nemmeno a sprecare inchiostro con gli Incroci Obbligati Sillabici! Infine, c’è la variante "Una gita a…", in cui al posto di alcune definizioni ci sono delle foto di alcune cittadine da inserire nel cruciverba. Per qualche incomprensibile ragione, solo in questo tipo di cruciverba le parole sono separate mediante ingrossamenti dei separatori delle caselle al posto delle consuete caselle nere.

La cultura necessaria per risolvere i cruciverba è da un lato nozionistica e dall’altro specialistica. Da una parte, infatti, essi richiedono conoscenza di fatti assolutamente irrilevanti per la vita comune che chi ha studiato in genere delega alle enciclopedie: cultura non è memorizzare molte nozioni, ma sapere dove andarle a cercare quando servono e sfruttarle a fini critici e costruttivi. Inutile quindi negare che spesso la cultura utile per risolvere i cruciverba è quella fornita dalle scuole elementari, quel tipo di nozionismo che ti fa imparare a memoria le province della Sicilia e i fiumi del Portogallo. Da questo punto di vista trovo che un indice di abilità di un autore di cruciverba stia nel trovare definizioni impensabili per termini comuni, e non chiedere fiumi assurdi della Mongolia o il soprannome di poeti dialettali umbri del ‘600.
È però vero che i cruciverba, per loro natura, richiedono molte parole che iniziano per vocale, che terminano per consonante o che comunque presentano gruppi di lettere poco comuni. Di conseguenza il vocabolario delle soluzioni non coincide necessariamente con quello comune: è una delle ragioni per cui sono frequenti le richieste di assurdi termini geografici o sconosciuti scrittori stranieri. Non si tratta solo di un espediente per rendere il cruciverba difficile, ma una necessità da parte dell’autore di qualche combinazione di lettere che non esiste in altre parole.
Una curiosità che non sono mai riuscito a spiegarmi è la frequenza di definizioni sulle trame delle opere liriche, molto più frequenti delle domande sulle opere letterarie. Qualcosa deve avere a che fare con l’universalità dei cruciverba, col fatto che una buona definizione deve poter essere risolta anche ad anni di distanza, e il mondo delle opere liriche è sostanzialmente immune dall’attualità. Però la relativa rarità di domande sulla letteratura classica, che per definizione è cristallizzata nel passato, mi stupisce.

Dal lato specialistico, però, esistono alcune convenzioni che permettono ai solutori con esperienza di risolvere alcune definizioni che per chi non è dentro questo mondo sono estremamente ostiche. Ad esempio, esistono alcuni termini estremamente desueti che vengono comodi per costruire gli incroci e compaiono abbastanza di frequente:
– Antico precettore (aio, dalle utilissime tre vocali)
– Raganella verde (ila)
– Situata in profondità (ima)
Penso si tratti di vocaboli conosciuti ai solutori di cruciverba ancor più che ai linguisti.
A tratti ostici per i principianti sono i gruppi di due lettere, che spesso sono definiti con alcuni giochini che sono ovvi per chi sa come funzionano e astrusi per i non iniziati:
– "i confini di" o "ai lati di" indicano la prima e l’ultima lettera. "I confini della Spagna" è "sa", non "Portogallo, Francia e Andorra". Similmente, "nel mezzo di" indica di prendere le due lettere centrali: "nel mezzo della spagna" è "ag", non "Madrid".
– "nell’x e nell’y" indica di prendere le lettere comuni alle parole x e y. "Nella mano e nella milza" è "ma", non "tessuti organici" o cose del genere.
– altri trucchi simili giocano comunque con la struttura della parola e non il suo significato: "le consonanti in voga" è "vg", "le ha uguali la commessa" è "ms" e così via.

I cruciverba della Settimana Enigmistica obbediscono ad alcune regole abbastanza evidenti, che probabilmente sono codificate esplicitamente per gli autori ma che possono essere solo intuite dai solutori. Qualche esempio:
– nessun verbo coniugato
– i riferimenti all’attualità devono essere il meno possibile e comunque limitati allo spettacolo. Pare che ogni tanto compaiano ancora cruciverba di Bartezzaghi padre che è mancato diversi anni or sono, e questo testimonierebbe quanto fossero universali i suoi lavori.
– definizione dei gruppi di tre lettere in termini di sigle o di parole, non di giochi di parole come per i gruppi di due
– quando si definiscono gruppi di due lettere con le iniziali, citare esplicitamente il nome o il cognome. Ad esempio, non si trova mai "iniziali dell’autore della Ricerca del Tempo Perduto", ma "Iniziali di Proust"
– nelle definizioni col giochino "in x e y", x e y devono essere due oggetti in qualche modo correlati e l’ordine delle lettere comuni deve essere lo stesso.
– ogni tanto sono consentite definizioni spiritose o basate su giochi di parole. Con l’eccezione di quelli codificati per i gruppi di due lettere, in casi del genere è obbligatorio usare i punti di sospensione all’interno della frase. Ad esempio, "Il pericolo giallo…del fumatore" è "nicotina".

Per quanto mi riguarda, non vado pazzo per i cruciverba, perché le strategie di soluzione sono poche e di scarso interesse, anche per varianti più complesse come gli Incroci Obbligati o le Cornici Concentriche. Al di là di sapere come iniziare o di come procedere quando mancano le idee, tutto sta nel sapere quella stupida cittadina del Bangladesh o quell’odioso personaggio minore de "La Fanciulla del West". E, ovviamente, questo non è molto stimolante.

Dualismi senza limitismi
Il mondo è tremendamente complicato. Uno dei modi per semplificarlo in modo da poterlo affrontare è di vederlo come una serie di dualismi, di termini in qualche modo contrapposti. Numerosi filosofi hanno adottato quest’approccio (anche se eviterò di citarli per non fare gaffe e perché sono troppo pigro per verificare i miei ricordi), ma è mia opinione che più che rappresentare la realtà con questo trucco la si renda conoscibile ed utilizzabile.
Da bambino, inconsciamente ma non troppo, utilizzavo frequentemente questo principio. Il mio mondo aveva delle separazioni molto nette tra enti contrapposti, la cui contaminazione era rara e difficile. Non perché lo fosse di per sé, ma perché la mia prospettiva del mondo prevedeva queste separazioni quasi manichee. Vediamo qualche esempio, due minori e uno maggiore.

Bombelli e Petronio
Nei dintorni in cui bazzicavo ad Alassio da piccolo, c’erano due bar a disposizione per fare merenda. Bombelli (ora noto come "Bar Rosa" in viale Marconi) era un signore panzone e pelato; lo ricordo in qualche modo come un sosia di Massimo Boldi. Petronio, il cui "American Bar" era situato una trentina di metri più in là nella stessa via, era allampanato e vestiva di marrone. Giunte le quattro, ora di merenda, io e mia sorella dovevamo decidere in quale bar andare, e sostanzialmente la scelta era quasi casuale. Le cose però cambiavano nella stagione estiva, quando la Merenda con la M maiuscola non poteva essere altro che il gelato. Già, perché Bombelli offriva gelati freschi, Petronio gelati industriali. Allora si accendevano le discussioni:
– Da Bombelli sono più buoni!
– Da Petronio costano di meno!
…e basta, perché gli unici argomenti possibili erano questi. In effetti non erano discussioni molto interessanti.

Dolci e Casarico
Se nel caso precedente le simmetrie erano più forti delle corrispondenze, per Dolci e Casarico avviene il contrario. Si trattava di due coppie di sorelle nubili, entrambe le quali mandavano avanti il proprio negozio di giocattoli ad Alassio, a poca distanza le une dalle altre. Raramente avevo bisogno di loro, purtroppo , ma questa straordinaria corrispondenza mi ha sempre colpito. Immaginavo queste signore che, prive della gioia di figli loro, decidevano di cogliere le briciole della presenza di bambini offrendo loro festosi balocchi. Un gran par de palle, in realtà probabilmente avevano solo fiutato l’affare! Nessuno dei due negozi esiste più. Uno è diventato un noioso negozio di tende, l’altro una pallosissima succursale del superparrucchiere delle dive Gianni di Muro.

Alassio e Sassello
Come i miei lettori più attenti sapranno già, le mie estati da bambino hanno visto come scenario Sassello, paese nell’entroterra ligure. Il dualismo, quindi, non era solo tra due luoghi, ma anche tra estate e inverno, tra scuola e vacanza. Le contaminazioni tra questi due mondi mi disturbavano molto. Un esempio semplice era costituito dai compiti delle vacanze (orribile e inutile crudeltà nei confronti dei piccini!): svolgerli ad Alassio, per quanto ci rimanevo, non mi ha mai disturbato, mentre in campagna mi era difficilissimo. Ma anche la presenza dei miei genitori, quando venivano a trovarmi (Sassello era dimora estiva dei miei nonni paterni) mi pareva "sbagliata", per non parlare di quando uno dei miei carissimi amici di Sassello, Daniele Zunino, è venuto a trovarmi ad Alassio per fare qualche bagno. E’ stato quasi traumatico. E’ interessante notare che ho smesso di frequentare i lidi campagnoli esattamente quando ho finito di andare a scuola, quindi non appena la separazione tra estate/vacanza e inverno/scuola si è fatta molto più sfumata.

Il tempo passa, le persone crescono, iniziano a rendersi conto delle cose, rifletterci sopra e superare le idiosincrasie più insensate. Ma ancora adesso mi è difficilissimo fare amicizie tra i colleghi: l’ambiente di lavoro e quello ricreativo devono essere separati. Sono un dualismo insormontabile.

Umorismo

Alassio, 1983
Il novenne Luca tenta una carriera da umorista. Sentendo in tv lo slogan "Galbani vuol dire fiducia" ne escogita una variazione esilarante. Ed ecco che amici e familiari perplessi sono bombardati dalla gag "Fiducia vuol dire Galbani".
Non pago, tenta la satira politica. "Duello tra Spadolini e Pertini. Chi vince? Vince Spadolini, perché Spadolini è una spada, Pertini una pera". Fiaccato dai sorrisi fatti per educazione, da allora tiene il broncio e odia le barzellette.

Dream are my reality

Il mio rapporto coi sogni è piuttosto strano. Premesso che non ne so molto dal punto di vista scientifico o psicoanalitico, mi sono dilettato nel cercare di riconoscere alcune caratteristiche, le quali non so se abbiano fondamento scientifico o se siano solo ipotesi campate per aria. Vabbé, non è il mio mestiere scrivere cose serie da queste parti.

Innanzitutto, non ricordo quasi mai cosa sogno. A volte mi rimane qualche tiepida impressione al risveglio, ma essa svanisce presto: suppongo si tratti di una conseguenza del fatto che ho la fortuna (o sfortuna?) di essere immediatamente attivo appena sveglio. Dopo un minutino scarso dal risveglio sono in grado di fare qualunque cosa, mentre invece vedo che la quasi totalità delle persone necessita di parecchio tempo per carburare. Conseguenza di questo è una cesura molto netta tra il sonno e la veglia, e quindi poco tempo per fissare nella mente i ricordi onirici.
Tuttavia, le volte in cui riesco a ricordarmi un sogno quasi sempre è un particolare molto forte e spesso deriva da un sogno lucido.

Un piccolo ripasso sui sogni lucidi per chi ne è a digiuno. Un sogno lucido avviene quando il sognatore è conscio del fatto che sta sognando; con questa consapevolezza, non è difficile addirittura manipolare i sogni secondo la propria volontà. Non starò ad approfondire questi concetti e le implicazioni filosofiche che hanno, dato che Alexandro Jodorowski ne parla a lungo in Psicomagia, che è un libro particolarmente interessante e di piacevole lettura (curioso però che gli sia sfuggita l’analogia con la meccanica quantistica per quanto riguarda il rapporto tra osservatore e fenomeno osservato). Leggetelo, non ve ne pentirete.
La cosa che mi inquieta è però che la maggior parte dei sogni lucidi che faccio mi sfuggono di controllo, e di solito prendono deviazioni su argomenti per me molto sgradevoli. Sostanzialmente il fatto è che, entrato nella zona di lucidità, mi dico "speriamo che non accada questo" e, ovviamente, appunto per il fatto che la mia mente è attirata da quell’avvenimento, esso succede.

Un esempio che mi porto dietro dall’età prescolare vede mia mamma e mia sorella che danno da mangiare ai pesci nel lago del Mulino. Questo posto non è altro che un piccolo slargo del torrente Rio Sbruggia del solito Sassello, i cui dieci metri quadri scarsi sono stati elevati per qualche ragione al rango di lago. Bene, da quel lago all’improvviso si leva un Tirannosauro, ovviamente subito dopo che mi sono ricordato di avere paura di quei bestioni estinti.
Più di recente qualcosa di peggiore. Andavo allegramente sulle rotaie con un tipico carrellino da miniera quand’ecco che il super-Luca pensa "ehi, speriamo di non finire orribilmente stritolati in qualche meccanismo!" ed ecco che tac! mi ritrovo maciullato in mezzo a degli ingranaggi. Notevole il fatto che, in questo caso, esiste anche un passaggio logico: i carrellini da miniera sono presenti nel film "Indiana Jones e il tempio maledetto" dove c’è anche una scena in cui un cattivo fa una fine del genere. A qualche livello più sepolto della mia mente devo essermi ricordato di questo legame.
Infine è di pochi giorni fa un sogno lucido ancora più assurdo: stavo con un amico della cui eterosessualità ho alcuni dubbi. Mi son detto "ehi, speriamo che non ci provi con me" e ta-dah! mi sono ritrovato a spompinarlo (il timore della passività trasformato in essere attivi mi lascia un perplesso, ma non voglio indagare oltre).

Tra i sogni non esplicitamente lucidi, ho un solo esempio di un ricordo abbastanza chiaro. Risale a quando andavo alle elementari, e riguardava me che ero un esploratore e andavo alla ricerca di una civiltà perduta. Certo, nulla di tremendamente originale, ma pur non ricordandone i particolari mi è rimasto impresso il fatto che ci fosse una sorta di sceneggiatura e che l’avventura non riguardasse tanto l’esplorazione vera e propria, quanto i preparativi ad essa, come un film che, dovendo risparmiare sugli effetti speciali, indugiasse a lungo per fare il botto alla fine. Il problema è che il finale non l’ho visto: giunti al sospirato momento in cui finalmente arrivavo in cima alla montagna che cintava la valle misteriosa e stavo per gettare uno sguardo alla tanto attesa meta, ecco che la mamma mi sveglia per la colazione. Uffa.

Si noti infine quanti termini cinematografici ho inavvertitamente usato: "sceneggiatura", "film", "scena", "effetti speciali". Trovo infatti che, per le rade impressioni che ho, i sogni utilizzino un linguaggio sostanzialmente cinematografico nell’uso di campi, scene, dialoghi. Una cosa che da tempo mi chiedo è se prima dell’invenzione del cinema i nostri sogni fossero differenti oppure se il modo in cui intendiamo comunemente il cinema abbia qualche relazione col mondo onirico.

Alla ricerca del pinguino perduto
Io ho la mania di catalogare le cose: i miei fumetti, i miei film, le mie spese hanno tutti il loro bravo database in cui vengono gestiti e analizzati. Credo di essere un po’ anale da questo punto di vista, anche se non sono sicuro di ciò che questo significhi o implichi, quindi fate finta che non l’abbia mai detto. Perciò, quando ho messo su il sito che state leggendo, è stato per me inevitabile installare un software per monitorare le visite.

Non starò a tediarvi coi numerini che tiro fuori, dato che trovo molto più divertente analizzare i referer: quando una persona giunge su un sito, può arrivarci o tramite accesso diretto (scrivendo l’indirizzo nel browser o usando un bookmark) oppure seguendo un link da un altro sito. Il posto da cui si proviene è un’informazione disponibile e si chiama appunto referer.
Per quanto riguarda il sito "Pinguini nel Salotto", sono ben pochi i siti che lo linkano. Ci sono quei disgraziati de Il covo degli sbronzi, c’è una ragazza che non conosco e che saluto, c’è il mio amico Carlo L. che mi ha segnalato nel suo blog. Sì, sono piuttosto isolato dalla blogosfera. Ogni tanto arriva gente da queste fonti, ma la parte veramente interessante sono i motori di ricerca. Anch’essi non sono altro che siti che indicizzano altri siti e osservando il link che si clicca si può capire qual è stata la chiave di ricerca utilizzata. Il mio sito, in particolare, ha una componente di testo dominante, e quindi, pur avendo poche visite, è raggiunto da molte ricerche. E direi che ho avuto qualche sorpresa, che, pure nel mio piccolo, dà conferma di alcune tendenze sull’uso di internet.

Un sito sfigato come il mio è tra i primissimi per google e msn search sulla ricerca pinguini, tanto che me ne arrivano sempre almeno un paio al giorno. Ovviamente questi due motori non sanno capire che, nonostante il titolo, io non parlo di pinguini in senso comune, però pare che in rete ci sia poco amore per i simpatici goffi uccelli antartici. Cattivi!

Si sa che su internet il sesso vende, e pure io ho avuto la mia dose di porcelloni che chissà cosa si aspettavano. Parecchio inquietante è la dose di gerontofilia che mi sono beccato: c’è il signore che cerca "zia figa", quell’altro che digita su google "cerco signore attempate" e quello che addirittura va a cercarsi "scopare mia nonna". E che cazzo, un po’ di decenza, gente! Per fortuna c’è gente sana alla ricerca di "tette calde", "casalinghe esibizionismo", "manga tette" o "mi piace scopare" (come dargli torto?). Non sono sicuro che chi cercava "calcio nelle balle lotta tette" andasse a cercare siti sporcellosi, ma è comunque finito nel posto sbagliato. Nè calci nelle balle né lotte né tette da queste parti, sorry.
(NB: purtroppo dopo aver scritto tutte quelle frasi in un solo periodo temo che le visite a questo scopo si moltiplicheranno!)

Ci sono poi quelli che sono assolutamente incapaci ad usare i motori di ricerca. Una persona è arrivata da queste parti cercando "frasi per compleanno", ma proseguendo fino alla nona pagina di google. Amico, se non hai trovato quello che cerchi nella prima pagina, al massimo nella seconda, vuol dire che hai sbagliato chiave di ricerca, non che quello che vorresti trovare sta sepolto nelle pagine successive! Stessa storia per quello che cerca "metafore genitori" ed è arrivato fino all’ottava pagina, o il mattacchione che alla ricerca di "barze" si è scorso sei pagine prima di giungere in un posto che denigra le sue amate storielle.

E ancora, ogni tanto sbucano gli studentelli sfaticati furbacchioni che cercano roba già fatta per i loro compiti. Non spiego altrimenti le ricerche su "commenti Malavoglia", "rapporto col lettore Manzoni" o lo spudoratissimo "saggio breve la fame nel mondo". Certo che i professori potrebbero sforzarsi di trovare qualcosa di più interessante…

Pare incredibile, ma alcuni sono arrivati nel posto giusto. C’è quello che cerca "Malmsteen il demonio" ma avrà scoperto che è un mistero anche per me, c’è quello che cerca "luca xxmiglia" e mi ha trovato, c’è il signore che cercava "recensioni blankets" e pure lui ha trovato una delle pochissime recensioni di questo bel fumetto. Molto inquietante è colui il quale ha cercato "ancona livorno empoli roma ancona modena otranto", ovvero lo spelling di "Aleramo". Io avevo le mie ragioni per farlo, ma non riesco ad immaginare perché qualcun altro dovrebbe scrivere questa esatta sequenza. Evidentemente ha fatto copia e incolla da quell’articolo a google e poi è tornato indietro, ma me ne sfugge la motivazione.

E infine c’è il contadino tecnofilo che usa google per "cerco stalla a Sassello". Sniff, chiedi a Baciccia al Piano, puoi sempre comprare la mia vecchia adorata casa!

Barze e amenità

C’è un italiano, un francese e un inglese che.

Questo inizio, in cui la concordanza è un po’ zoppicante, costituiva l’incipit della stragrande maggioranza delle barzellette della mia prima infanzia. Il Fantasma Formaggino e i suoi colleghi (quello dalle Mani Sanguinanti, quello dagli Occhi Bianchi, quello da Un Occhio Bianco e Uno Nero…), "e noi ci cagheremo sopra", l’orologio che cade dalla torre sono stati la mia introduzione nel mondo delle barzellette, mondo col quale ho un rapporto estremamente conflittuale.
L’analisi del funzionamento delle storielle è stato già adeguatamente dibattuto da Achille Campanile nel "Trattato delle Barzellette", e spinguinato da Elio e le Storie Tese nella meravigliosa "vendetta del Fantasma Formaggino", quindi in questa sede vi toccherà ascoltare i miei lamenti su questo argomento. Le barzellette sono una mia maledizione: non mi piacciono, non credo di aver mai riso ad alta voce ascoltandone una, raramente mi solleticano anche solo un minimo di divertimento intellettuale. D’altra parte difficilmente le scordo, e ho addirittura anche un certo talento nell’individuare il finale prima che esso venga raccontato. Come se questo non fosse abbastanza, ho problemi anche dal punto di vista opposto: se devo raccontare una barza, l’interrogazione al mio database di storielle fallisce spesso, e, quando le ricordo, il racconto è decisamente scadente, sia per le mie scarse doti di oratore sia per l’abilità di sintesi che mi contraddistingue, che mi fa andare dritto al nocciuolo della battuta tralasciando gli orpelli, che in realtà sono ciò che rende (dovrebbe rendere) le barzellette divertenti.
Tutto questo mi pone in difficoltà quando, in società, è il momento delle barzellette. Di solito in buona fede, mi vengono raccontate per passare un po’ di tempo, o credendo di divertirmi, o magari (il peggio!) per rompere il ghiaccio tra sconosciuti. A metà barzelletta mi rendo conto che o la conosco già oppure so dove va a parare; nella migliore delle ipotesi la barzelletta mi soprende ma non mi diverte. E allora che fare? Dipende sostanzialmente dai rapporti che ho con la persona in questione. Se posso permettermelo, la interrompo a metà o, alla fine, rimango impassibile e chiedo sarcasticamente "e poi come va avanti?". Se invece non posso, per educazione o perché non mi conviene far indispettire l’interlocutore, allora sorrido con cortesia alla fine. Ma non chiedetemi una grassa risata, non fa per me. Per quella ci sono mezzi più semplici ed efficaci.

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