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paninaro.JPGDopo la mia scoperta di Teddy Bob dell’anno scorso, quest’anno a Lucca comics ho compiuto un altro passo nel recupero della storia del fumetto italiano, o meglio, nello studio dell’archeologia del fumetto italiano: ho recuperato un fumetto di paninari.
Non molti sanno che queste pubblicazioni sono stati uno dei più grandi successi degli anni ’80, arrivando a tirare oltre 150.000 copie (non molte di meno del Dylan Dog odierno!) e che la casa editrice responsabile del misfatto non è altro che la Edifumetto di Renzo Barbieri, nota per i pornazzi da… barbieri come il Lando e il Tromba e assai abile nel cogliere i fenomeni di costume per sfruttarli commercialmente.
L’albo che ho trovato è in realtà una raccolta, quelle costruite mettendo insieme le rese da edicola e tuttora piuttosto diffuse, e porta come titolo “Super Paninaro”. La raccolta è composta da due albi: un Paninaro vero (il numero 9, Settembre 1986) e una pubblicazione minore: Jeans, dedicata al mito del “giovane autostoppista giramondo con lo zaino sulle spalle”, a cui non dedicherò attenzione.

Concentriamoci sul Paninaro ortodosso: l’albo è composto da una sola storia, “Tamarri allo spray” e, come da tradizione dei Barbierazzi, ogni pagina è composta da due vignette, una sopra e una sotto. Testi di Cioz , disegni anonimi: l’attribuzione dei testi è una cosa piuttosto strana, ma dopo la lettura la cosa sorprende di meno, perché (quasi non ci credo che lo sto dicendo) il Paninaro è scritto piuttosto bene. L’impresa che Cioz (nome d’arte di Paolo Gherlardini, storico sceneggiatore della Edifumetto) è riuscito a compiere consiste nel sapiente dosaggio del tono: il lettore dei tempi, il paninaro decerebrato, godrà nel ritrovare il linguaggio dei suoi miti, le marche in bella evidenza, i riferimenti al Burghy e a Piazza San Babila; invece, il lettore scafato o semplicemente quello moderno (tra i milioni di difetti del mondo del 2007 non c’è quello della presenza dei paninari), leggendo tra le righe, noterà un lieve distacco, una sottile e bonaria ironia appena accennata nel presentare personaggi e situazioni. Il linguaggio, poi, non è altro che una parodia della parlata dei paninari ottenuta mediante iperboli; è così ricco, assurdo e improbabile da risultare ancora più spassoso del gergo di Teddy Bob. Si intuisce che l’autore ai tempi probabilmente pensava “Cosa mi tocca fare per campa’“, ma riusciva a nascondere la sua perplessità dietro la professionalità e l’esperienza di quindici anni come sceneggiatore.

Ma vediamo in dettaglio di cosa parla “Tamarri allo spray“. Avvertimento: racconto tutta la trama fino alla fine. Se pensate di non poter tollerare spoiler sui paninari, non leggete oltre. La storia è inizialmente ambientata a Varese, anzi a “Varese-city“, dove “i giusti di Corso Matteotti fanno le vasche“. Ma altrove “quaglia una brutta brodaglia“: ci sono i nemici dei paninari che scrivono sui muri scritte contro i nostri eroi: “Paninari di merda“, o “Panozzi (teschio) è già fatta“. I paninari, tra cui lo Zocca, il Bolivar e il Caudillo (soprannomi curiosi, molto poco anni ’80) decidono di fare qualcosa e si accordano: “Allora d’accordo“, “Tozzi per uno, uno per tozzi“, “L’unione fa le scorze“, “L’unesco fa la forza“, “Unire l’utile al delittuoso“. In questi dialoghi riecheggiano un po’ le figure retoriche (e l’imbecillità) di Teddy Bob.
La parola raggiunge il Ducetto, un “Sanbabila spiazzato per colpa di un trasferimento paterno” (da Milano a Varese?). Il Ducetto è rappresentato col la testa rasata, una sorta di skinhead paninaro, e, altra sorpresa, si rivelerà un personaggio negativo. Il Ducetto si traveste da tamarro e si infiltra tra i nemici, dove scopre che i tamarri “semplici” si stanno organizzando per rimpolpare i propri ranghi: “Metalli, darki, punki e cinesi sono tutti dalla nostra“. Si ricorderà dal Paninaro di Enzo Braschi al Drive In che i Paninari ce l’hanno con quelli che ascoltano musica “strana”.
Il Ducetto si rivela per quello che è, e, anche se gli altri si rivelano dubbiosi, decide per un “megablitz crematorio” perché “kerosene purifica, lo dice la parola stessa” (ma quale parola?). Uno dei tamarri si è lasciato sfuggire che suo padre ha una bancarella di libri, e il Ducetto, con qualche compare, va a bruciare proprio quella. Bruciare libri: certo che qui Cioz non si fa scrupoli nel presentare una mela marcia paninara.
Il giorno dopo la città è turbata, i paninari non si fanno vedere in giro e le sfitinzie capiscono che son loro in qualche modo i responsabili. Preoccupate, chiedono i rinforzi: “Faccio un ring alla mia amica milanese. E’ la sfitinzia di un vero gallo-di-dio!“.

Ed ecco che, a pagina 47, arriva finalmente l’eroe della storia: la storia non segue gli schemi narrativi più comuni. La scena si sposta a Milano, per la precisione al Castello Sforzesco. Qui, “Max, l’ipergallo più sting della lombard-country, fa lezione di paninosofia alla kid-generation“. Molto curioso questo discorso un po’ contraddittorio: prima fa un’apologia del denaro in piena comunione con l’epoca: “Lo scienziato, il poeta, il musicista possono essere grandissimi, ma se non hanno la zecca sono dei falliti. Se il successo non si traduce in denaro vuol dire che non era vero successo“. Ma al ragazzino che gli dice che lui soldi non ne ha, Max snocciola alcuni consigli per essere vestito con personalità senza spendere, concludendo con “Non ostentate ma non siate neanche umili…il coraggio prima di tutti e la massima onestà con se stessi…l’amido non fa il manico!“. L’impressione è di assistere ad una sorta di schizofrenia tra l’autore e il personaggio.
Max viene a sapere dalla ragazza sopracitata del problema di Varese e decide di occuparsene. Va a recuperare il suo amico Zippo e insieme decidono di coinvolgere Reganone, il cui “arterio è collaudatore di elicotteri all’Agusta“. Galli e sfitinzie milanesi partono alla volta di Varese (e diciamolo che quei provinciali sono proprio sfigati!).diariopaninaro.jpg
Il loro piano geniale prevede di provocare entrambe le parti per farle convergere in un solo luogo, col metodo più naturale: i telegrammi. “Fai una bella cosa per la nazione: emigra! Firmato: i tazzorri di Varese” o “La cacca è meno stronza di te. Firmato: i panozzi di Matteotti’s Road“. E si arrabbiano, ovviamente: “Dito cane! Taragna vacca!
Si giunge quindi al momento dello scontro finale: panozzi di Varese vs. tamarri. In uno spiazzo di periferia, all’ombra di cisternoni della Esso, i due gruppi si affrontano in sella a rombanti motociclette, come nella celebre scena di “Altrimenti ci arrabbiamo“. Le cose si mettono male, e le sfitinzie sono preoccupate: “E’ acida la story” “Non mi sessa niente bene“. Ma per fortuna arrivano i nostri: Max & c in elicottero, che, al grido di “Print, gente galla? Iper-print, giù la bomba!” (il Commodore 64 ha lasciato la sua impronta su quei ragazzi!) lasciano andare dell’olio su entrambi i gruppi. Max afferra un megafono e fa la sua predica: “A tutti voi, truzzi e mazzulatori! Aprite gli auricolari! E’ il Max che vi swatta…e quello che vi zozza è olio diesel nero come le vostre genze! Piantiamola di farci la guerra! Quella lasciamola ai cimelios, caterpillar e cadaveri tipo Gheddafi e Komeini, i megatarri dell’orbe terracqueo…” E tutto è bene quel che finisce bene.
Come si sarà intuito, la storia ha una sua piccola morale: i veri galli non usano la violenza, sono talmente fighi che non ne hanno bisogno. I paninari probabilmente sono stati il movimento più imbecille che la storia abbia mai prodotto: un gruppo persone che fa della superficialità e dell’apparenza una bandiera se non un credo forse non fa male a nessuno, ma certamente neanche del bene. In questa storia invece viene introdotta una sorta di etica che storicamente è estranea al “paninarismo”, etica che tuttavia risulta inquinata da un principio dal quale non si scappa: per essere galli ci vogliono i soldi. Se non hai l’amico con l’elicottero, il deus ex machina non arriva.

Ovviamente l’albo è ingenuo, la storia è forzata e poco plausibile, e i disegni sono di qualità bassa se non scadente. Solo la sceneggiatura salva la lettura della storia, che, comunque, risulta nel complesso frizzante e piacevole, soprattutto in virtù di quel particolare tono che lo scrittore è riuscuto ad escogitare. Però se avete tempo, c’è di meglio da leggere!

L’albo è completato da qualche rubrica, tra cui una classifica di tendenze. Da queste vengo a sapere che le seguenti mode sono nella categoria “troppo giusto” : l’orologio Timberland, le Scarpe Tod’s, il diario Paninaro (ovviamente pubblicato dalla stessa casa editrice) e “indossare le felpe a rovescio”. Quindi io, nel 1988, ero un Vero Paninaro, forse un pochino in ritardo.
Infine, ci tengo a citare il test “Ti sai divertire?“. L’albo che ho acquistato era usato e il suo proprietario ha fatto il test: è risultato essere un “Truzzolone di sighero“, il minimo possibile. Sarà per questo che ha rivenduto il fumetto: era un gino!

Perché tutte hanno il ragazzo e io no?

Perché tutte hanno un ragazzo e io no?No, non sono diventato all’improvviso uomosessuale. E’ una recensione! Davvero!
Partiamo dal principio. In estate, in vacanza, tradizionalmente leggo parecchio. Di solito mi porto dietro almeno un classico voluminoso, un saggio di qualche genere, un paio di libri "normali" e poi qualche cosa di svago totale. Quest’anno, in dieci giorni di Grecia, mi sono sciroppato I Buddenbrook di Thoman Mann, La Morfologia della Fiaba di Propp, Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain, Zazie nel metrò di Raymond Queneau, il Harry Potter e il Principe Mezzosangue e, ultimo ma non meno importante, il libro scritto da Cathy Hopkins citato nel titolo e la cui copertina vedete campeggiare qua a fianco.
Il libro è parte di una collana di romanzi per ragazzine sui 13-14 anni pubblicato da Mondadori, collana evidentemente di successo: il volume in questione è addirittura il 98, e  segue altri capolavori come Se io sono Giulietta e tu Romeo cosa aspetti a baciarmi?Ti odio, Alison Ashley! o ancora Mio fratello che rottura, mia sorella che sciagiura. Sono certo che, esattamente come me, avete immaginato Troy McLure prounciare quei titoli. [1] Perché tutte hanno il ragazzo e io no? è ambientato in Gran Bretagna, e, scorrendo i titoli, direi che l’intera serie è composta da libri inglesi [2]: sapete bene quello che penso degli inglesi. Figuriamoci delle loro figliolette nell’età più rompiballe!

Ma addentriamoci nelle viscere della complessa trama del libro.
Lucy è una ragazzina di 14 anni che non ha il ragazzo. "Lo avevamo già capito dal titolo, imbecille!" direte voi. Un attimo, dirò io.

Un attimo (ecco, l’ho detto). È single per sua scelta: infatti c’è il fratello della sua amica Nesta (sì, si chiama proprio così. Probabilmene si infortuna ogni quattro anni anche lei), il ganzissimo Tony, che le viene dietro, ma lei lo tiene sulla corda. E ce lo tiene per i nove lunghissimi mesi dell’anno scolastico! Poi, finita la scuola, decide che questo povero disgraziato ne ha avuto abbastanza, e decide di fargli la grazia. Se non che il buon Tony, meglio tardi che mai, si è rotto i marroni di questa stronzetta e decide di mettersi con un’altra, Giorgia la topona. Un plauso a Tony. Tragedia! E adesso Lucy come fa? Le sue amiche hanno tutte il ragazzo: la già citata Nesta, la gnocca della compagnia (eh, è una famiglia di gente fica!), sta con un universitario, l’intellettuale TJ sta con Simon e Izzie sta con Ben. E le amiche sono prese da questi energumeni, che disastro! Sarà l’estate più terribile di tutta la mia vita! [4].
Ma ecco che succede qualcosa (beh, siamo solo a pagina 30, qualcosa dovrà pur succedere). Coinvolta dal papà, Lucy finisce a fare un weekend new age. Tra disastrose meditazioni, biscotti di segale che sanno di cartone, psicologia di terz’ordine e tanta piogga, finisce per incontrare un ragazzo: il meraviglioso Daniel. Ah, quant’è fico Daniel! Non solo è alto e carino, non solo bacia benissimo ed è premuroso, ma è persino interessato alla moda, il grande sogno nel cassetto della piccola Lucy! Di colpo è diventata l’estate più bella della sua vita! Putroppo non tutto può andare per il verso giusto: Daniel pare non andare molto d’accordo con Izzie, TJ e Nesta. Ah, evidentemente erano felici di sentirsi superiori a lei, eh! E come se non bastasse osano anche dire che Daniel è ossessivo, che soffoca Lucy con la sua personalità. Ok, la costringe a bere caffé perché è la bevanda che si sorbisce a Milano (sic) anche se a Lucy non piace. E si è messo a seguirla per vedere dove va. E le ha criticato i vestiti che lei ha confezionato perché non sono simili ai suoi. E le ha fatto una scenata perché una volta lei ha incontrato per caso Tony. Beh, sì, ripensandoci Daniel è un bel pezzo di merda. Meglio lasciarlo. Intanto anche le altre non è che vadano così bene! Izzie si è lasciata con Ben e, udite udite, la strapatata Nesta è stata mollata dal suo universitario (che avrà trovato carne più fresca. A quindici anni ormai sono andate). Mettersi con Tony, anche lui di nuovo single? Mah, quasi quasi…e invece no. Meglio dedicarsi alle amiche.

Ma insomma, qual è la risposta alla domanda del titolo? Beh, direi proprio che sia quella che tutti i maschietti hanno pensato subito:  "Perché non la dai a nessuno, stronza!"

[1] Dev’esserci però lo zampino del famigerato traduttori di titoli di film, il responsabile di "Se mi lasci di cancello" o "Prima ti sposo, poi ti rovino". Il titolo originale è un più innocuo "Mates, dates and sole survivor".

[2] Peraltro questo volume ha una buona traduzione, opera di Egle Costantino.

[3] Ehi, questo è realistico! Le più carine del liceo stavano sempre con tipi più grandi. Salvo poi scoprire, quando cresci, che quelli che stanno con le liceali di solito sono dei babbi di minchia.

[4] Oh, scusate, mi sono immedesimato troppo.

Cazzetti awards 2005-2006

Oh, che cattiva stagione cinematografica che è stata il 2005-2006! Non escludo di essere io ad avere maturato gusti più difficili, ma non mi era mai successo di non aver visto fino a stagione inoltrata un singolo film che mi soddisfacesse in pieno. Infatti la grande costante dell’anno è stata il nome importante che delude: i film di Nanni Moretti, Terry Gilliam, Steven Spielberg, Peter Jackson, Hayao Miyazaki, Pupi Avati, Tim Burton, Woody Allen non sono proprio brutti, ma sicuramente insoddisfacenti per una ragione o per l’altra. In compenso ci sono state alcune piccole sorprese da film piccolini ma ben confezionati.
Dirò di più: se una volta io andavo al cinema comunque, scegliendo il meno peggio, molte volte quest’anno mi sono rifiutato di scegliere tra le vergognose porcate presenti. Tuttavia, qualcosina alla fine c’è stato, e i premi possono essere assegnati.

Premi principali 

Premi speciali 

Premi speciali al pubblico

 

Annecy 2006 parte terza: da giovedì a sabato

Giovedì

Film di Scuola 4
CarlitopolisMi è stato affidato il compito di vedere tutti i corti di scuola e io, che sono ligio, così ho fatto. Non ne sono pentito. In questa serie di corti meritano una menzione altri lavori oltre il già citato Abigail, vincitore del terzo premio. Carlitopolis (Francia) di Luis Nieto, a sinistra, è una breve opera in cui un signore (ripreso dal vero) fa esperimenti a metà tra il crudele e il divertente in un topo fotorealistico. Tali esperimenti sono molto cartooneschi (del tipo della tipica bomba da cartoon) e lo stridio con la tecnica usata è molto divertente. Sebbene non l’abbia amato alla follia, mi aspettavo anche qualche sorta di premio per Versus, ancora francese, opera in 3d di Francois Caffiaux, Romain Noel e Thomas Salas. Si tratta di una tipica serie di gag ad escalation, in questo caso prendendo come spunto una battaglia tra clan di samurai per il possesso di un’isola. Pur essendo banaluccia, come idea, è abbastanza ben realizzato e la quantità di gag riuscite sorprendente.

Film di Scuola 2
Per ultimo quello che senza dubbio è il migliore dei quattro programmi di cortometraggi di fine studi. Non solo sono presenti il primo e il secondo premio, Astronauts e Walking in a Rainy Day (proiettati uno dietro l’altro!) ma altri degni di nota fanno la loro comparsa. Guy 101 forse è il mio preferito (a destra). Opera del britannico Ian Gouldstone, è un interessante ribaltamento di prospettiva: la storia, quasi pretestuosa, è un aneddoto su un signore in chat (appunto, Guy101). Quello che è veramente interessante è che vengono utilizzate una serie di metafore prese dal mondo dei computer, il quale a sua volta è popolato di metafore dal mondo reale (icone, finestre, case, lenti di ingrandimento…). L’esempio migliore si verifica quando il protagonista invita a casa sua uno sconosciuto e, per fargli capire che era disponibile, gli offre una birra con su scritto "chmod 777", che è il comando Unix per dare controllo totale ad un file ad un utente. Un buon lavoro è anche Vampz, che, pur essendo una semplice sequenza di gag su due vampiri bambini che giocano sui luoghi comuni di questa razza di non morti, è divertente e molto ben ritmato. Mi piace citare infine Fluffy, della giapponese Miyuki Echigoya, una banale storia di una bambina e il suo gattino, però realizzata animando una specie di bambole di stoffa per un effetto molto carino.

Panorama 1
 Abbiamo preso gusto a vedere i tanto deprecati Panorama, ed eccoci ad assistere ad un altro. Il programma inizia con il già citato Den Danske Dikteren, Il poeta danese. Molto curioso Fumi and the Bad Luck Foot di David Chai (USA, a sinistra), una piccola, divertente, storia morale sulla sfortuna e di come la si può usare per fare del bene. Delude invece Michael Dudok de Wit, Millenium Award nel I Festival di Chiavari con Father and Daughter, che propone The Aroma of Tea, tanto originale nella tecnica (foglie di té su carta!) quando inutile e incomprensibile. Buono il giapponese Hiroshi to Tony (Hiroshi e Tony), una storia sull’autismo narrata con la sensibilità e la mancanza di buonismo di cui i giapponesi sono maestri.

Cortometraggi in concorso 4
Chi ha visto il programma nella proiezione mattutina era perplesso. Anche se non si sentivano grida di orrore come per la serie di mercoledì, pareva che non ci fosse molto da stare allegri. Il giudizio in effetti pareva un po’ eccessivo, ma in effetti non c’è stato molto di che gioire. Troppi applausi ha preso Tree Robo, coreano di Young-min Pak e Moon-saeng Kim, una parabola ecologica davvero troppo esplicita e buonista. Peccato, perché la realizzazione in 3d è buona e qualche scena di impatto il corto la offre. Nessuna pietà invece per il premio Corto Molesto dell’anno, Un, deux, trois, crépuscule. Incomprensibile, lunghissima, pallosissima opera in tecnica mista, in teoria sulla storia delle fasi della vita di una donna, in pratica chissà. Quasi ogni anno ce n’è uno. Mi è piaciuto, invece, Minotauromaquia, Pablo en el laberinto, un viaggio nella mente di Pablo Picasso (a destra). Pur essendo a tratti pretestuoso il piazzamento di frammenti delle sue opere qua e là, l’autore spagnolo Juan Pablo Etcheverry dimostra di conoscere l’opera del genio suo conterraneo, e la mette in scena in modo ben costruito. I giapponesi ogni tanto offrono cose strane, e strano è infatti (A long day) of Mr Calpaccio, un bel bianco e nero molto iconico e a tratti quasi surreale. Incredibilmente volgare e (quindi) spassosissimo, The return of Sergean Pecker (USA), di un certo Pierre Delarue, pseudonimo sotto il quale si nasconde un altro famoso autore che, volendo lavorare per i bambini, non vuole essere associato ad opere così pecorecce. La tragica storia dell’uomo dalle possenti erezioni e della donna che prima si concede e poi si nega ha commosso il pubblico che rideva solo per nascondere lagrime amare.

Venerdì

Azur et Asmar
"Godetevi questa gioia per gli occhi". Senza falsa modestia, anzi, con un pizzico di presunzione è così che Michel Ocelot ha presentato la sua nuova opera e, finora, il suo capolavoro. Già, perché, superati i primissimi istanti di straniamento per la tecnica mista di 3d e animazione tradizionale, ci si rende conto di come questo amalgama funzioni davvero bene. È strano rilevare come le facce in 3d associate a colori piattissimi per i vestiti generino un effetto così bello. Ma la bellezza del film non si ferma alla parte estetica: la trama è forse la miglior parabola sull’integrazione del mondo occidentale e quello arabo che si sia vista. Una favola ricca di sorprese e di meraviglie con un messaggio di pace non banale. Che si vuole di più?

xxxHOLiC manatsu no yo no yume
Ok, proprio tutto non l’ho visto questo film, essendomi addormentato più volte durante il suo svolgimento, però più o meno mi son fatto un’idea. E non mi è piaciuto: come trama, c’è un’idea abbastanza curiosa, anche se non originalissima, e un’atmosfera a tratti intrigante. Ma ad essa vengono affiancati i peggiori e più logori stereotipi dell’animazione giapponese: la sacerdotessa capa sexy, il suo schiavetto liceale supersfruttato che si imbarazza di fronte ad una sua compagna un po’ distratta. Yawn. No, non è possibile campare ancora di queste cose e fornire ad esse il minimo supporto. Il design inoltre, allungato e sgradevole, proprio non mi è piaciuto.

Cars
 Molto atteso il ritorno di Lasseter, il film è solo parzialmente riuscito. I personaggi sono abbastanza simpatici e il mondo ha una sua coerenza interna pregevole (assai superiore rispetto ai "3d world" come Robots o Shrek), e, soprattutto, si tratta di un film con una sua trama e una sua coerenza, e non solo una collezione di gag piu’ o meno riuscite. D’altra parte, il film dura troppo, ha delle parti inutili, uno schematismo troppo prevedibile nell’evoluzione dei personaggi e, a livello di design, è un piccolo passo indietro: Luxo era perfettamente espressivo senza essere umanizzato. Le macchine con gli occhi, quindi, sono ridondanti. Tecnicamente, comunque, la Pixar è sempre anni avanti la
concorrenza.

Cortometraggi in concorso 5
Portatore del corto vincitore di Regina Pessona, quest’ultima serie di corti ha comunque presentato altre opere per lo meno interessanti. Ha avuto successo col pubblico Kein Platz fur Gerold (Non c’è posto per Gerold) di Daniel Nocke una curiosa commedia di dialoghi tedesca con protagonisti degli animali. Ben scritta, abbastanza divertente, 3d più che decente, ma in effetti nulla di nuovo sotto il sole. Ichtys, del polacco Marek Skrobecki, a destra, è un’opera piuttosto controversa. La storia del signore che attende molto, troppo a lungo che gli venga servito un pesce al ristorante, è una chiara metafora della venuta e del ritorno di Cristo. Il problema è che non è chiaro in che chiave interpretarla, e a quali conclusioni giunge, anche se la mia impressione è che sia anti-cristiana. La realizzazione a pupazzi è buona, e i 16 minuti passano gradevolmente nonostante gli immancabili violini stridenti dei corti polacchi. Piccola citazione, infine, per lo stupidissimo ma divertente The Making of the Gladiator, con Russel Crowe e il suo batacchio alle prese con pantaloncini troppo corti.

Sabato

Film per Internet
 Poche novità interessanti dalla rete quest’anno. Il vincitore, Unlucky in love dell’australiano Bernard Derriman, è un corto della stessa serie che aveva vinto nel 2005 (Arj & Poopy) fatta di dialoghi sagaci. Di notevole, solamente, la presenza di qualche corto che esula dalla solita gag in flash. Lucifuge, (Francia) di Philippe Khayat parla delle rocambolesche avventure di un vampiro per evitare la luce del sole. Ok, questa è una gag in flash! Non una gag e niente male anche La mia migliore amica di Stefano Buonamico (realizzato per Medici senza Frontiere) che, pur essendo forse un po’ prevedibile, parla di una realtà importante come quella dei campi profughi (a sinistra). Commovente è anche Manege Frei (Germania), di Ljubisa Djukic, storia di un orso di un circo che sogna di essere libero. Un bel video musicale è Leningrad, del russo Alexandre Timofeev, molto stilizzato, realizzato con una grafica simile a quella di certa propaganda militare.

Tutti frutti
Ultimo programma dedicato all’Italia, come il nome suggerisce senza un filo conduttore particolare, una sorta di raccoglitore di corti senza un minimo comun denominatore diverso dall’essere italiani. La qualità media, nel comp lesso, non è stata molto alta. Meritano una menzione Cambi e scambi (a destra), di Donata Pizzato, un’autrice quasi sconosciuta: una serie di metamorfosi comiche, con bel tratto nero su bianco, incentrate sul rapporto di coppia. Garibaldy Blues, di Vincenzo Gioanola, è realizzato con la difficile incisione diretta su pellicola commentando l’omonima canzone. Non malaccio. Manfredo Manfredi, uno dei grandi vecchi dell’animazione italiana, si cimenta col Calvino de Le città invisibili, con risultati solo parzialmente positivi. Infine assistiamo all’immancabile Linea di Osvaldo Cavandoli, purtroppo scegliendo causa attualità l’episodio Football, certamente poco ispirato.

When Animation meets the living 2.6:L’Insoutenable Étrangeté
E’ sabato, si inizia ad essere stanchi. Non cercherò troppe scuse per dire che ho dormito per quasi tutto il programma, ivi compreso un McLaren che non avevo ancora visto, Camera Makes Whoopee. A mia parziale discolpa posso dire che era muto. L’unico corto notevole che mi sia rimasto impresso e per il quale sia rimasto sveglio è Dr. Jeckill & Mr. Hide di Paul Bush, di cui ho già parlato nel resoconto dei Castelli Animati 2005.

Panorama 3
 Programma visto solo a metà per riuscire a mettersi in coda per vedere la cerimonia di chiusura, è stato comunque indubbiamente il più debole del lotto dei Panorama. Vale appena la pena segnalare McLaren’s Negatives (a sinistra), ovviamente canadese, di Marie-Jose Saint-Pierre, una sorta di documentario animato su Norman McLaren, e, per l’idea più che per la realizzazione, Les proverbes flamandes di Antoine Rogiers, francese, che mette in animazione Il celebre quadro "I proverbi fiamminghi" di Elder, senza ottenere peraltro un risultato soddisfacente.

Cerimonia di chiusura
2004, anno della Corea: Serge Bromberg si veste con un abito tradizionale coreano.
2005, anno del Canada: Serge Bromberg si veste da Giubba Rossa.
2006, anno dell’Italia: Serge Bromber si veste da pizzaiolo.
Questo, almeno, era quello che immaginavamo tutti. Invece, stranamente, ha dimostrato un anomalo einaspettato rispetto per l’Italia, utilizzando un semplice bar di fronte al Colosseo come scenario, mentre il buon Serge interpreta un semplice avventore. La cerimonia ha avuto meno momenti salienti degli anni passati, per il resto. Il quasi totale accordo con il lavoro dei giurati e la relativa mancanza di sorprese l’ha fatta scorrere via senza problemi, col solo piccolo intermezzo del doppiaggio della Linea da parte degli ospiti. Si conclude qui Annecy 2006: a differenza degli anni scorsi non è stato dato l’appuntamento con le date precise per il 2007; alcune voci vogliono che il CICA abbia perso il controllo dell’organizzazione e che quindi le cose potrebbero cambiare. Magari in meglio, chissà: staremo a vedere.

 

(Si ringrazia Gianluca Aicardi per le correzioni e la consulenza, in particolare per Tutti Frutti)

Annecy 2006 parte seconda: da lunedì a mercoledì

Lunedì

Film di scuola 3
Che notteCredo che sia quasi una tradizione per me di iniziare ogni annata ad Annecy con la visione dei corti di scuola. Quest’anno addirittura poi li ho visti tutti, e non ne sono pentito: i corti di scuola spesso hanno un’inventiva e un entusiasmo che non si trova nelle opere dei maestri più anziani. D’altronde, le tecniche si appiattiscono sugli economici 2d o 3d e ovviamente i giovani mancano della maturità per dare la grande importanza alle opere. In questo programma ci sono due italiani che meritano una menzione: Che notte di Giulia Ghigini, Dario Lavizzari, Filippo Letizi (a sinistra) rappresenta graficamente la celebre canzone di Fred Buscaglione, con ritmo incalzante. Peccato che senza conoscere il mito di Buscaglione l’opera perda molto. One at a time, diFairy Berry
Angelo Gabriele Barrocu, Alessia Cordini, Valeria Ghiglione e mia figlia Valentina Ventimiglia è una curiosa rappresentazione del celebre enigma di capre e cavoli. Dopo un inizio un po’ titubante la storia devia sul surreale (per qualche strana ragione compare Gesù!) e diventa non poco spassosa. Un buon passo avanti rispetto a Sensi, sfornato dallo stesso gruppo un anno prima. Fairy Berry di Thomas Guittoneau, Yacine Sefsaf, Virginie Giroux e Ho Hung Yu (Francia) merita una menzione per il design curatissimo e per la splendida invenzione della fatina culona (a destra). Non grassa, ma semplicemente culona come sono in realtà alcune ragazze senza per questo essere meno belle. Ho amato anche Clik Clak di Aurélie Fréchinos, Victor-Emmanuel Moulin e Thomas Wagner, un buon 3d con dei robot che trovano un modo un po’ strano per comunicare con un bambino umano. Concludo la rassegna delle opere meritorie in questo buon programma con Schabel Kabaal, del belga Karel Dhondt, storia onirica di osservatori di uccelli che si trasformano in simbologie in stile Kandisky.

Astérix et les vikings
Asterix e i vicinghiLa vecchia storia di Asterix e i Normanni viene ripresa con un pizzico di modernità in più e, come ovvio, con un certo allungamento del brodo per raggiungere i canonici 80′. Il giovinastro di città quindi non appare più come un hippy, ma piuttosto come un discotecaro, e non mancano alcuni riferimenti moderni, ad esempio sull’uso dei cellulari (i piccioni sms!). Inoltre l’azione viene spostata nelle "esotiche" terre del nord e i vichinghi vengono resi meno monolitici mediante l’introduzione del personaggio della giovane vichinga (con cui il giovane gallo vivrà un anomalo romance), dello stregone e del guerriero stupido. L’albo è più compatto e più divertente, ma nel complesso la storia regge ed è ben animata e diretta. Forse il miglior film di Asterix, e non è poco. 

When animation meets the living 2.1: Vanity and still lifes
Come accennato in precedenza, si stenta a capire in che senso i corti presentati qua ricadano nel titolo citato. C’è la meravigliosa comica appena vagamente animata di Norman McLaren  col suo Opening Speech; c’è Jona/Tomberry di Rosto, già citato l’anno scorso, rivisto ai Castelli Animati e che ad ogni visione trovo sempre più affascinante, pur continuando a non avere la minima idea di cosa significhi. Una bella visione è anche la parabola sui figli che crescono esplicitata tramite la macchina di casa di Home Road Movies, di Robert Bradbook.

Hadashi no GenGen di Hiroshima
Non ho mai amato troppo il manga di Gen di Hiroshima. Trovo che sia una di quelle opere un po’ vigliacche, che fondano la propria fama sul fatto di occuparsi di un tema talmente importante che mettere in dubbio la loro validità equivale a sminuire l’argomento trattato. E Gen è troppo lungo, con personaggi retorici e finti, non sempre narrato bene. D’altra parte ha i suoi meriti: la narrazione crudissima ed espressionista degli eventi è quanto di più efficace ci sia per parlare della bomba atomica, e la scena del cavallo in fiamme è di una potenza devastante.
Il film tratto dal manga condivide le stesse osservazioni: la prima mezzoretta è l’inutile e stucchevole "Gen il monello quante ne combina ma ha un cuore d’oro". Poi, per fortuna, arriva la bomba, e lo stomaco dello spettatore non viene risparmiato dalle peggiori atrocità (vedi immagine a destra). Un discreto film, comunque, dalla grafica molto anni ’80.

Cortometraggi in concorso 1
Ed eccoci al piatto forte del programma, il concorso dei cortometraggi. Il programma 1 è stato indubbiamente il migliore: anche se non reca il Grand Prix, gli altri due premi Rabbit e Dreams and desires – Family Ties stanno qui. Ma,oltre a questi, diversi corti meritano una menzione.
HiroshiUna curiosa coproduzione nippo-ceca mette insieme un allievo di Trnka, Bretislav Pojar con una storia ambientata in Giappone. Hiroshi (a sinistra) narra a pupazzi di un pittore eremita che prende con sé un bambino di città, il quale imparerà ad amare e comprendere la natura e le sue leggi, a volte dure. I venti minuti del film scorrono via molto piacevolmente, ma alcuni passaggi narrativi rimangono oscuri, e tutto sommato il tutto banaluccio.
Levijatan, del croato Simon Bogojevic Narath, è una messa in scena del Leviatano di Thomas Hobbes. Ritengo che sia stato poco
apprezzato per la scarsa conoscenza dell’opera del filosofo, ma alcune immagini hanno davvero molta potenza. Curiosamente, a tratti riecheggiano un po’ i Monthy Python delle animazioni di Terry Gilliam.Little Matchgirl
The little matchgirl, di Roger Allers (a destra), è un corto della Disney in perfetto stile disneyano classico. La storia è esattamente quella della piccola fiammiferaia (che appare piuttosto assurda al gusto moderno), compreso, e questo è meno disneyano il finale in cui la piccola muore. Sì, va in un posto migliore, ma comunque muore.
Subito dopo Flesh, francese di Edouard Salier che attira l’attenzione e ha un bello spunto: mettere fianco a fianco l’estremismo islamico e la società dei consumi secondo la tesi che tutto si riduce alla carne, quella delle settanta vergini promesse ai martiri o quella della pornografia. L’idea però non viene adeguatamente sviluppata,e alla fine si riduce il tutto ad un minestrone di banalità. Peccato.

Martedì 

Politically incorrect
CredoInaugurato con successo nel 2005, il programma ha l’idea di mostrare corti irriverenti o in qualche modo "birichini", stuzzicando così alcune corde degli spettatori. Quello che ha infastidito della scelta è però di mostrare ben quattro corti di scuola in concorso; o forse ho frainteso e il senso dell’"incorrect" sta proprio nella scorrettezza di favorire questi qua! La qualità media, comunque, non è altissima. Al di là di Guy 101 e Beasts di cui parlo nei programmi di scuola appositi, mi limito a citare Credo dello svizzero Jonas Raeber, a destra, in cui l’autore racconta di come abbia abiurato la fede cattolica mediante una metafora di pecore e pastori che lo opprimono, il tutto in tono comico. Il risultato è efficace, ma senza la nota finale in cui l’elvetico animatore dichiara la sua apostasia penso che nessuno avrebbe capito i suoi intenti.

Bozzetto e Manuli
Una vita in scatolaManuli è un gag-man, e devo ammettere di averlo disprezzato più di quanto meritasse a causa di Aida degli alberi. I suoi corti sono divertenti e irriverenti, e una menzione particolare meritano Casting e Solo un bacio. Ma scompare di fronte al genio di Bruno Bozzetto: la sua intuizione perfetta del linguaggio del cinema di animazione probabilmente è tuttora insuperata: non so quante volte ho visto Europe & Italy, ma continuo a ridere. La satira amara di Una vita in scatola, con quei momenti brevissimi di felicità, è efficacissima (immagine a sinistra), e la futilità dell’uomo e delle sue battaglie per una Terra che ci dimenticherà presto è narrata con arguzia in Cavallette.

Monster HouseMonster House
Un’anteprima mondiale per questa curiosa produzione con relativa perquisizione corporale alla caccia di apparecchi da ripresa: sotto l’ala di Spielberg e
Zemeckis un esordiente gira un anomalo horror per ragazzi per la Columbia. Al di là della produzione, la novità sta nel risvegliare quei film di avventure per ragazzi che andavano negli anni ’80 (I Goonies, Explorer, Gremlins, anche Stand By Me) però sotto forma di film animato in 3d. 3d, per il resto, non riuscitissimo per i personaggi ma più che buono per gli ambienti. Il risultato è un film che i ragazzi adoreranno e di meno, temo, i loro genitori. Ma comunque è importante iniziare a fare film di animazione che non siano favole, film di gag o buddy movie: The Incredibles è il primo passo, questo il secondo. Ci sono buone speranze.

Renaissance
Ok, ho retto solo dieci minuti. Il bianco e nero molto schematico può andar bene per un corto, o per un film con un soggetto e una regia molto forti, come per Sin City: ma Christian Volckman non è Robert Rodriguez, e la trama puzzava di Nathan Never. Quindi, complici anche la posizione un po’ scomoda, la proiezione in inglese secco senza sottotitoli e la prospettiva di dover pasteggiare in fretta e furia dopo la visione di questo film, si è optato per scappare e andare a cena. Una buona crepe ha compensato la visione mancata del vincitore di Annecy per il lungometraggio. Non saprò mai se ci ho guadagnato.

Cortometraggi in concorso 2
Mai più come la prima volta!Una discreta media anche per questa serie di corti in concorso. Senza vette, ma quasi tutti sono dignitosi: ben tre premi minori, One D, Delivery e Cherno na byalo, sono stati proiettati in Corti 2, ma ci sono altre opere che meritano un cenno.
Aldrig som första gången! (Mai più come la prima volta!) è una produzione svedese di Jonas Odell, divisa in quattro segmenti realizzati con stili differenti ma tutti in qualche modo in decoupage (a sinistra). In ognuno di questi capitoli una persona parlWind along the coast
a della "prima volta" e offre lo spunto per gettare uno sguardo alle abitudini svedesi nel campo e vedere come sono cambiate col tempo. L’opera approfitta in modo forse astuto del tema un po’ pruriginoso per catturare il lettore, ma almeno due dei quattro segmenti sono molto riusciti tecnicamente.
La chute de l’ange, francese di Geoffroy Barbet Massin merita una menzione per il bel 3d che riflette ottimamente il tema poetico dell’angelo caduto, ma risulta narrativamente troppo involuto e poco comprensibile.
Wind along the coast, a destra, è probabilmente l’unico corto in concorso che avrei voluto veder premiato ma che è rimasto a bocca asciutta. Realizzato dal russo Ivan Maximov (detto °il pirata Popof" per il suo look…ehm…creativo) è una storia surreale di una ventosissima città di mare popolata di strani esseri e di gente più o meno normale. La situazione anomala e l’eccentrica popolazione rendono il tutto molto lirico e divertente.

Mercoledì


Film di scuola 1
Programma di scuola assai nutrito come numero di corti (ben 16) ma con ben poche opere meritevoli di nota; probabilmente è il meno interessante del lotto.
Mr. ScwhCorazon en fuegoartz, Mr Hazem & Mr. Horlocker è una gag tipicamente tedesca, opera di Stephan Muller. Un signore perbene è infastidito dai vicini rumorosi, ma dopo aver chiamato la polizia i ruoli si invertiranno. Ciò che c’è di notevole è il montaggio temporale alternato che mostra lo stesso momento in stanze diverse. A dire il vero, non così originale nemmeno questo.
Corazòn en fuego, coproduzione nippo-americana di Yorico Murakami (a sinistra) è un bel lavoro a tecnica mista di plastilina e pixilation varia (per inciso, quest’anno quasi tutti i programmi a pupazzi-plastilina-animazione di oggetti in genere sono stati di visione almeno piacevole) che parla di una ragazza solitaria con un carattere molto deciso, letteralmente infuocato. A modo suo è delicato e sensibile, ma alla fine risulta inconcludente.
Collision, breve produzione del britannico Max Hattler, è un’altra variazione sul rapporto tra Islam e Occidente, tema che è stato assai popolare tra i giovani. In questo caso si assiste ad un discreto astratto in cui i colori delle bandiere americana e quelli tipici dell’Islam si intersec
ano e generano varie forme. La metafora è lampante.

Silly SymphoniesSkeleton Dance
Mi piacciono le Silly Symphonies, ne ho anche comprato il cofanetto della Disney, che mi sono guardato dall’inizio alla fine…a piccole dosi, però! Il pro
blema dei cortometraggi Disney è che se presi tutti insieme risultano tremendamente stucchevoli. Le prime Symphonies, quelle in bianco e nero, aderiscono ancora allo spirito dei cartoon più sbarazzini e quasi folli dei primordi; tuttavia, man mano che passa il tempo, l’estetica/etica Disney diviene sempre più marcata e iniziano a divenire troppo zuccherosi e noiosi. Quindi, dal mio punto di vista, Skeleton Dance (a destra) rimane un gioiello e Bugs in Love e Music Land sono godibilissimi; però arrivati a The Old Mill, del 1937, ne avevo non poco le tasche piene.

When animation meets the living 2.3
Harpya
"Hybrids and mutants" è il titolo di questa raccolta di corti. Di notevole il classicissimo Pas de deux di Norman McLaren, che stupisce ancora per la sua classe anche se ora sarebbe realizzabile con un semplice programmino per computer; il famoso Harpya di Raoul Servais, opera in una specie di pixilation un po’ disgustosa ma dal fortissimo impatto visivo (a sinistra) e lo spassoso Dahucapra Rupidahu, già visto tra i corti di scuola nel 2004, che realizza una spettacolare fusione di CG con elementi dal vero.


Panorama 4
Curioso programma questo Panorama 4: affianca alcune opere di grande valore ad altre diventate quasi leggendarie per la loro stupidità. Si inizia col giàTarantara!
citato Vennad karusudamed, mai abbastanza lodato, che stupisce non poco il pubblico per la cura della rappresentazione e per la trama scorrevole. Nel bene, meritano inoltre una citazione Eclosion, del francese Jerome Boulbes (un corto semi-astratto in cui alcuni cubi si scontrano per dare origine a qualcosa. Probabilmente l’autore aveva in mente un significato particolare, ma non l’abbiamo colto), Black Pig White Pig (Cina), di Gong Zhang, che anima davvero benissimo la filosofia delle due correnti/filosofie/parti che prevalgono periodicamente una sull’altra. Nel male, meritano di essere messi alla berlina The Skateboarder grazie al quale scopriamo che se vai a fare skateboard in un cantiere appare Satana, e il terribile Tarantara!, animazione di un pezzetto di Gilbert & Sullivan realizzata in mezza giornata, a giudicare dal risultato (a destra).

Cortometraggi in concorso 3
Il terzo programmIsh
a di cortometraggi probabilmente passerà alla leggenda come la sequenza di corti meno riuscita del secolo. E’ stato davvero imbarazzante, alla fine della proiezione, guardarsi intorno e scoprire nei volti dei vicini il dubbio se, nel concorso del pubblico, votare il meno peggio o astenersi dalla preferenza per una sorta di protesta. Mi limito ad una menzione negativa ed una positiva. A cat’s tail è quasi sicuramente il cortometraggio la cui presenza nel concorso del festival più importante al mondo è più incomprensibile. Ho visto tante cose che non mi sono piaciute in questi anni,ma ho sempre afferrato il fatto che potessero toccare in qualche modo alcune corde di sensibilità diverse dalla mia. A cat’s tail no. Unica vaga nota positiva è Ish (a sinistra), prodotto negli USA da John Lechner, Gary Goldberger e Peter H. Reynolds, che racconta di un bambino che scopre che un buon disegno non deve essere per forza realistico. Questo incoraggiamento a scoprire anche da parte dei bambini un lato più moderno dell’arte mi è parso ben fatto e a tratti divertente. Mi ha risollevato un pochino il morale.

Annecy 2006 parte prima: cosa c’era di bello in breve

(chi non sa di cosa sto parlando, si legga questo articolo )
Il sole ha brillato per tutta la settimana durante il festival di Annecy 2006, ed è stata una buona edizione. Non è stato semplice raggiungere questo sintetico verdetto, perché non sono mancate le contraddizioni, ma ho raggiunto questa conclusione.

Annecy 2006 Contrariamente al regime minceur dichiarato e realizzato nel 2005, l’edizione del 2006 è stata grassa. Negli anni precedenti non ho mai avuto un programma così pieno, e le poche programmazioni che ho saltato sono state dovute a problemi puramente logistici o, ehm, fisiologici. Questo significa che oltre alle visioni obbligatorie dei corti in concorso, quelle semi-obbligatorie dei corti di scuola e del panorama e una sbirciatina a qualche lungometraggio, mi sono trovato una serie di anteprime e di retrospettive davvero interessante che ha quasi generato l’imbarazzo della scelta. L’impressione che certuni hanno avuto di un’edizione scadente probabilmente nasce dal fatto che i corti e i lunghi in concorso proponevano accanto ad alcune opere pregevoli altre incontrovertibilmente scadenti. Da questo punto di vista c’è in effetti da criticare il lavoro del comitato di selezione che ha portato in concorso alcune opere vergognose, e lasciato meramente in rassegna altre veramente ottime. Questa cattiva preselezione è stata per fortuna mitigata dall’opera dei giurati che, almeno per quanto riguarda i cortometraggi, hanno premiato esattamente i lavori migliori. Oltre a tutto questo, c’è da segnalare l’interesse sempre maggiore delle major per il festival di Annecy, nel quale stanno proponendo non solo sempre più anteprime, ma anche film in concorso. Può essere l’indizio di un leggero cambiamento di rotta della politca del festival, ma questo lo scopriremo solo nei prossimi anni.
Histoire tragique...
Il concorso dei cortometraggi è stato vinto dalla portoghese Regina Pessoa, con Histoire tragique avec fin heureuse (Storia tragica con lieto fine, immagine a destra),  che ha vinto anche un premio minore (il TPS, che in realtà tanto minore non è, dato che si tratta dell’unico che porta soldi!) La storia della ragazza col cuore che batte troppo forte e disturba i vicini, narrata in un bianco e nero espressionista ha conquistato la giuria e il pubblico: non ha vinto il premio relativo, ma nessun altro corto ha avuto un’applauso così fragoroso e sincero.
Dreams and desiresIl secondo premio  è andato all’inglese Joanna Quinn col suo Dreams and Desires – Family Ties.(a sinistra)  Storia di una festa di matrimonio tragicomica narrata mediante le riprese di una signora imbottita di teorie cinematografiche, questo corto ha forti debiti con Bill Plympton sia per lo stile grafico che per l’umorismo graffiante e a tratti un po’ disgustoso. Dreams and desires ha rastrellato anche il premio del pubblico e il premio FIPRESCI.
Come menzione speciale finalmente un esponente del sesso forte, il britannico Run Wrake che propone l’originalissimo Rabbit, immagine sotto a destra. Due bambini trovano dentro un coniglio un idolo in grado di trasformare gli oggetti, in particolare le mosche in gemme. La parabola è in qualche modo morale, ma è lo stile grafico con grossi debiti alla grafica pubblicitaria anni ’50 quello che colpisce di più dell’opera.
Il premio della giuria junior è andato al divertente One D di Michael Grimshaw (Canada), che parla di uno strano mondoRabbit 1-D citando un mucchio di generi cinematrografici. Dopo anni in cui i bambini giocavano a fare i grandi votando i corti più impegnati, "spessi", finalmente questa giuria ha votato qualcosa che le è davvero piaciuto.
Il premio per l’opera prima è andato al discreto lavoro di Till Nowak (Germania) che nel suo Delivery racconta di un uomo che riceve una scatola che riproduce in piccolo l’ambiente che lo circonda, permettendogli quindi di modificarlo. Non originalissimo, ma discretamente ben realizzato e, francamente, unica opera prima degna di menzione. Completa il parco dei premi ai cortometraggi l’unica opera poco valida, Cherno na byalo del bulgaro Andrey Tsvetkov, una banaluccia parabola sul razzismo.
A parte questa eccezione, i premi in effetti coprono i corti migliori, come accennato prima. Meritano una menzione in questa sede solo Wind along the coast di Ivan Maximov e Minotauromaquia, Pablo en el labirinto di Juan Pablo Etcheverry e Ichtys di Marek Skrobecki, lavori di cui parlerò diffusamente negli articoli dettagliati.

I lungometraggi in concorso di solito non sono particolarmente interessanti, ma quest’anno il panorama è Renaissance stato un po’ differente: sono stati affiancate due grosse produzioni di stile europeo (Wallace and Gromit e Astérix et les Vikings) a due produzioni giapponesi in stile tipicamente anime (XXX-holic manatsu no yo no yume, da un soggetto delel CLAMP e Gin-iro no kami no Agito, dello studio Gonzo) a una produzione semi-autoriale europea, Renaissance (nella foto). Ha vinto quest’ultima, contro tutte le previsioni: personalmente ho visto 10′ di questo film e poi me ne sono andato disgustato, trovando lo stile pseudo-Sin City assai stucchevole e la trama tremendamente già vista e mal narrata. Sono tuttora convinto di non essermi sbagliato. Wallace and Gromit l’abbiamo visto tutti, mentre il nuovo Asterix è un buon film, forse col brodo leggermente allungato rispetto alla compattezza della sceneggiatura originale di Goscinny ma comunque niente male. I film giapponesi non sono piaciuti a nessuno: XXX-holic è un puntatone di una serie banale, l’altro una tipica "gonzata".
Pocoyo
Per quanto riguarda i programmi dedicati alla televisione, non ho visto nulla. La priorità delle produzioni televisive è scesa troppo rispetto al resto per potermi permettere di annoiarmi di fronte a produzioni per ragazzini come negli anni passati. Il premio per la serie è andato a Pocoyo (immagine), un 3d spagnolo con target prescolare. Chi l’ha visto ne dice meraviglie, e dal poco che han proiettato durante la premiazione tendo a crederci. Menzione poi al francese Zombie Hotel, che invece mi è parso stupidino, mentre il premio per lo speciale è andato al canadese Petit Wang. Quest’ultimo premio ha sempre meno senso, essendoci in concorso sempre la miseria di due o tre speciali tv, quasi sempre poco interessanti.

L’unica novità importante da segnalare nei corti di scuola deriva dalla presenza pian piano sempre più consistente delle scuole italiane. Dopo anni di produzioni unicamente "artistoidi" pare che i giovani sfornati da Milano e Torino (ma non solo…) stiano iniziando a riscoprire il piacere della gag, del "cartone animato" inteso in senso classico, e i corti presenti qua ne sono una buona testimonianza. La qualità dei lavori esteri però è oggettivamente ancora superiore. Vincitore è Walking in a rainy daystato Astronauts, inglesissimo corto di Matthew Walker. Le tragicomiche avventure di due astronauti sono narrate con aplomb e humour perfettamente britannici. Personalmente però ho amato di più il secondo premio, andato a Walking in the Rainy Day del coreano Hyun-myung Choi (nell’immagine). Una bambina ha l’ombrello rotto in un giorno di pioggia e ne approfitta per fare amicizia con una rana: molto delicato e animato in modo delizioso. Inoltre ci permette di scoprire che in Corea avere l’ombrello rotto è un disonore insopportabile. Menzione poi alla sarcastica parabola di Abigail di Tony Comley (regno unito) e premio dei bimbi allo psicologico e forse un po’ presuntoso Ego di Louis Blaise, Thomas Lagache, Bastien Roger, francesi.
Il poeta danese
La sezione Panorama è migliorata molto quest’anno, e stupisce come almeno due corti non siano entrati in concorso. Den Danske Dikteren (Il poeta danese, immagine) di Torill Kove, una produzione canadese/norvegese, è una storia poetica di caso e di amore, una specie di commedia romantica ma come gli americani non fanno più. Vennad karusudamed (i fratelli Cuoredorso), estone di Riho Unt narra a pupazzi di tre orsi pittori immersi nella rivoluzione artistica tra la fine dell’impressionismo e l’inizio dell’astrattismo. Il modo in cui le opere dei vari autori, soprattutto Van Gogh, si integrano con gli scenari è sbalorditivo ed è una vera gioia per gli occhi.

La nazione dell’anno è stata l’Italia. La butto giù così con indifferenza, ma in effetti c’è di che essere orgogliosi. Non ho visto moltissimo dei sette programmi dedicati all’Italia: mi sono limitato ad un monografico  su Bozzetto e Manuli (Bozzetto è in assoluto un genio, non c’è altro da dire) e ad una retrospettiva mista intitolata Tutti frutti, di valore tutto sommato non così esaltante. Tra i programmi che non ho visto diversi lungometraggi, vecchi e nuovi, e altre proiezioni tematiche, tra cui un monografico sulla cosiddetta corrente neo-pittorica.

Anche se non è molto patriottico dirlo, è stato molto più interessante l’altro tema, When animation meets the living, dedicata ai rapporti tra animazione e riprese dal vero. Ben sei programmi, uno al giorno, hanno tematicamente mostrato Pas de deuxcorti vecchi e nuovi sul tema. Sussiste qualche perplessità su come sia stata organizzata questa serie: ogni programma aveva un tema particolare ma sostanzialmente pretestuoso, e inoltre la composizione era strutturata da un corto "preistorico" dei primi del ‘900, uno di Norman McLaren (sempre benvenuto, ma non sempre calzante. Pas de deux nell’immagine) e da altri dagli anni ’90 in poi. Ancora,  la relazione tra animazione e riprese dal vivo in alcuni corti non era affatto chiara, o comunque a tratti pretestuosa. Mi pare eccessivo proiettare un Betty Boop dei Fleischer solo perché è uno dei primi cartoon a fare uso del rotoscopio. Ciò non toglie che la qualità media delle proiezioni fosse molto alta, e al pubblico la cosa non è sfuggita, visto l’affollamento della povera Petite Salle durante questa serie.

Come accennato in precedenza, le anteprime e le proiezioni speciali di quest’anno sono state importanti.
Cars, il nuovo attesissimo film di John Lasseter per la Pixar e’ stato proiettato insieme ad una piccola presentazione da parte della Pixar, e, anche se se non è il capolavoro di questa casa produttrice è comunque un discreto lavoro, superiore alla totalità delle produzioni 3d extra-Pixar degli ultimi anni.Azur et azmar
Monster House è una produzione sotto l’ala di Spielberg e Zemeckis che narra un curioso horror per ragazzi, realizzato in 3d. Il film è stato proiettato in anteprima mondiale, con relativo sequestro di videocamere e cellulari e perquisizione prima di entrare, ed è stata una bella sorpresa, una bella variazione sugli schemi dei film di animazione delle major.
Terza ma non meno importante anteprima è stata del nuovo film di Michel Ocelot, Azur et Asmar (un’immagine a destra). In breve, è il capolavoro di questo bravo regista francese e si spera che la distribuzione in Italia saprà valorizzarlo come merita.
Sabato mattina ha fatto la sua comparsa Tim Burton. Darketti da mezza Francia sono venuti ad incontrare il loro beniamino alla proiezione de La sposa cadavere con successivo incontro col regista. Se avessi venduto il mio biglietto invece di regalarlo sciaguratamente mi sarei pagato mezza vacanza.
A tutto ciò si aggiunge la proiezione di alcuni film giapponesi: Nausicaa, Nagasaki 45 e Gen di Hiroshima. Ho visto solo quest’ultimo (in breve, ha gli stesso pregi e difetti del manga relativo) e ho un pizzico di rimpianto per aver perso Nausicaa a causa della concomitanza con la cerimonia di chiusura.

Completa il quadro il concorso dei film su commissione (ha vinto un bello spot sull’Aids, un video musicale con lo zampino di quel geniaccio di Joann Sfar e il solito video sulla violenza sessuale sui bambini. Nessuno nega che siano importantissimi, ma ormai ogni anno ne vince uno!) e qualche programma minore (i "morti", animazione sull’Aids, una proiezione di Silly Simphonies, Spike & Mike).

Mi pare quindi evidente come il festival sia stato più ricco e sfaccettato che mai. Può darsi che questo non sia sufficiente a garantirne la qualità, ma come minimo i motivi di interesse per il festival di Annecy continuano a crescere. Non posso che essere lieto di tutto questo.

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