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Sono alla moda e tuitto
Pulizie di primavera

Ok, giacché sono abbastanza allenato ad avere la faccia come il culo, è giunto il momento di riversare brutalmente le mezze idee che ho nel file “pinguini.txt” da anni, idee che non sono abbastanza forti per reggere un post tutto per loro ma chi mi dispiace buttare via completamente.  Fatene buon uso.

Mangiando il pesce, il bicchiere assume in qualche modo il sapore ittico, e quando si arriva al dolce la cosa è molto fastidiosa.

Quand’ero piccolo non dicevo “per giove” perché mi pareva eretico citare un dio pagano. Allora dicevo “per giove pianeta”.

E’ un bel problema quando si sternutisce mettendosi la mano davanti alla bocca e poi non si ha un fazzoletto a portata di mano.

Da bambino, a casa mia il nome familiare che si usava per i peti era “put“. Quando ho iniziato a programmare in Basic Vic20 e ho scoperto l’istruzione Input sono morto dal ridere. In-put… hai capito? Prot!

Ci sono alcune frasi vere quasi per tutti, ma che ognuno credere essere peculiari per egli stesso. Potrebbero essere utilizzati dagli oroscopisti. Ad esempio:
Io sono bravo e buono, ma quando mi arrabbio divento una belva!
Nel mio lavoro bisogna continuamente tenersi aggiornati.
Il mio peggior difetto è che sono troppo buono.

E’ molto antipatico tagliarsi con la carta.

Sarebbe utile poter avere una sorta di banca dei parcheggi. Capita spesso di trovare tanti parcheggi quando, ovviamente, te ne basta uno solo. In questo caso, si assume un credito di parcheggio, che si riscuote poi quando non se ne trovano. (Vi assicuro che quando ho pensato questa non ero ubriaco)

Krispy: al secolo Manuela Sessamanti, Krispy è una meteora musicale degli anni ’80. Il nome di “Krispy” non evoca alcunché ai più, ma è sufficiente ricordare l’intro di tastiera e bongo del suo hit Baby coconut perché si materializzi in mente l’immagine di quella ragazzina prosperosa che squittiva nei video di Deejay Television.
La sedicenne Manuela era
(sì finisce proprio così. Questa è una voce dell’Enciclopedia Stronza il cui incipit mi piaceva ma per la quale non sono mai riuscito a trovare un proseguimento decente. Lo lascio al lettore per esercizio.)

Misteri della vita LXXVI: Il dilemma di Arnold

Recita l’immortale sigla di Arnold (Diff’rent Strokes) in italiano:

Arnold Arnold combinaguai,
una ne pensi,
cento ne fai.

Il che mi pare perfettamente sensato: Arnold è un piccolo scavezzacollo che combina guai ad istinto. Ne pensa una sola, ma poi ne fa cento perché, data la sua genialità nel settore della birbanteria, non ha bisogno di pianificare le sue scorribande: quando è lì, gli vengono in mente. Che negretto spassoso!

In seguito però ho scoperto che c’è un adagio comune che dice “una ne fai e cento ne pensi”, ad indicare che il soggetto in questione ne fa una, ma mentre la fa ne pensa altre cento. Se queste cento vengono poi effettivamente fatte oltre che pensate, ognuna ne genererà altre cento, e al terzo giro saremo già a 10101 guai combinati!

Mi chiedo quindi quale delle seguenti sia vera.

a) la sigla di Arnold è una parodia di tale detto, che implica che Arnold oltre ad essere un mariuolo è anche uno che rivoluziona il mondo della monelleria

b) la sigla di Arnold si sbaglia. In tal caso, Odia gli stupidi se ne occuperà.

c) il detto comune in realtà è posteriore alla sigla di Arnold e la estremizza.

d) sono sempre esistiti entrambi i detti, Arnold ne ha solo scelto uno.

e) tutto questo è irrilevante e faresti meglio a dedicarti a cose più serie (questa era troppo facile)

Enciclopedia Stronza XXVIII: Cacarolles, Mouflettes aux soldats, U verdicchiu

Come annunciato nel volume XXVII, d’ora in poi l’Enciclopedia Stronza si occuperà esclusivamente di divise militari del periodo napoleonico. Buona lettura.

Cacarolles: ampi pantaloni utilizzati dalle truppe napoleoniche d’assalto. I cacarolles avevano il cavallo molto basso, all’incirca al livello delle ginocchia, cosicché nel caso i soldati nel corso di un assalto se la fossero fatta addosso per lo spavento, non sarebbero stati infastiditi dalle loro stesse feci compresse tra la pelle e i pantaloni. In questo modo, invece, gli escrementi venivano raccolti nello spazioso cavallo, da dove poi potevano essere rimosse alla fine dell’assalto.

Mouflettes aux soldats: pantofoline pelose fornite come parte dell’equipaggiamento base delle truppe napoleoniche. I soldati, prima di coricarsi, ponevano le loro Mouflettes ai piedi della brandina, così da poterle calzare agilmente in caso di attacco a sorpresa, al contrario degli stivali, che richiedevano più tempo per essere indossati. A seconda del reparto, le mouflettes erano foggiate secondo le sembianze di un animale diverso: maialini per gli artiglieri, ranocchie per la fanteria, paperelle per la cavalleria e via dicendo. Rimase negli annali il caso di un fante che chiese in via ufficiale il permesso di indossare delle Mouflettes a forma di orsetto – quelle proprie delle truppe d’assalto – e fu impiccato in pubblica piazza come monito per gli altri soldati.

U verdicchiu: berretto d’ordinanza degli ufficiali napoleonici all’interno della divisione degli artiglieri. “U verdicchiu”, come suggerisce il nome, è un tipico copricapo corso importato da Napoleone stesso; assomiglia a una parrucca da pagliaccio di color verde acceso, quasi fosforescente, ragion per cui gli ufficiali dell’artiglieria vennero simpaticamente ribattezzati dai loro sottoposti “fottuti pagliacci”. Una volta constatato che all’interno di tali reparti era sempre più difficile mantenere l’ordine e che le gerarchie erano di rado rispettate, Napoleone a malincuore ordinò che i verdicchiu fossero aboliti e sostituiti da un più sobrio colbacco in pelliccia di uro.

Uomo tamponato cognac

Pochi giorni fa, facendo ordine in casa ho trovato una piccola scatola che portava la dicitura Uomo tamponato cognac. Il mio subitaneo smarrimento è durato poco, mi son ricordato in fretta che era la scatola del portafoglio che mi han regalato per Natale: un portafoglio da uomo color cognac. Ignoro cosa voglia dire tamponato, ma dev’essere un tecnicismo dei portafoglivendoli; chi avesse voglia di fare ricerche sarà ringraziato. Tuttavia, è impossibile non rimanere ipnotizzati dall’immagine che evoca quell’espressione: Uomo tamponato cognac.

Io mi immagino un uomo perbene stile gentiluomo meridionale, vestito con un completo color coloniale, coi baffi e magari anche il cappello, che seduto su una poltrona da barbiere dice al suo tonsore, dopo la rasatura: “Sa, Filippo, oggi avrei proprio voglia di una tamponatura…vediamo, sì, al cognac”. E il barbiere: “Ottima scelta, dotto’!”.

Oppure, mi figuro un alcolista che sta cercando di smettere. Sa che se assume un solo goccio di alcool dovrà riniziare da capo la disintissocazione, e sono già due settimane che non beve niente. Eppure, la tentazione è fortissima: per cercare un palliativo usa tamponi di cognac: versa del costosissimo liquore su un batuffolo di cotone idrofilo e si cosparge il viso. Il profumo di quel nettare gli dà temporaneo sollievo, o almeno così crede.

O ancora, la mia mente vola ad un vecchietto col cappello che sta viaggiando lieto sulla sua Panda. In prossimità di un passaggio pedonale rallenta, quand’ecco che, bang!, viene tamponato violentemente da una Golf. Belin belin, scende alterato e, resosi conto che il malfattore è alticcio, chiama le Forze dell’Ordine. I solerti caramba arrivano e, constatato che il tamponatore ha una bottiglia di cognac vuota accanto a sè, marcano sul verbale: “Codice A302 – Uomo tamponato cognac”. Chiaramente, il codice A303 è “Donna tamponata cognac”, mentre l’A301 corrisponde a “Uomo tamponato grappa”. L’A302 è piuttosto raro (al contrario dell’A301 che è molto comune), tanto che l’appuntato Chiarullo passerà la settimana a bullarsi coi colleghi per averne redatto uno.

Misteri della vita LXXV: Un bel gioco

Oggi si parla di proverbi e in particolare di quello che recita Un bel gioco dura poco. Mi raccomando, pronunciatelo a mo’ di zia Adelina, scandendo le parole e possibilmente agitando l’indice verso l’interlocutore.

Perché un bel gioco deve durare poco? Se un gioco (o, andando oltre la metafora, qualunque tipo di attività) è bello, allora parte della sua beltà dovrebbe consistere anche nella sua longevità. Oppure è una questione etica? Quello che sembra suggerire il proverbio è “ragazzi, va bene divertirsi, ma con moderazione. Quindi, giocate pure ma poi torniamo ad occuparci di cose serie.” Paradossalmente, però,vale anche il contrario: “Ragazzi, tutto e subito! Un bel gioco, adesso, e per poco! Vivi forte, muori giovane e lascia un bel cadavere!”

In sostanza, ce n’è per tutti i gusti, e mi son risposto da solo. Ma se io voglio giocare a lungo, come faccio? Devo per forza giocare ad un gioco brutto? Vita infame…

Altri cattivi maestri

Non è infrequente che a scuola gli studenti riversino il loro odio nei confronti dei professori, spesso intesi come categoria in generale, arrivando a dichiarazioni del genere “Tutti i professori sono bastardi”. Io avevo una percezione ben diversa, poiché i miei genitori erano professori, e quando alle medie mi dicevano “Ah ah sfigato figlio di professori” non potevo che scrollare le spalle e fare il superiore.
Eppure, ripensando alla mia carriera scolastica, non posso non ricordare una serie di eventi da stigmatizzare riguardo coloro che mi insegnavano.

Per iniziare, la mia maestra alle elementari era sottilmente antisemita. Sì, ci faceva leggere il diario di Anna Frank, condannava l’Olocausto, però neanche tanto tra le righe ci diceva che gli ebrei sono cattivi perché hanno ucciso Gesù. Sorvolando sul fatto che Gesù fosse ebreo, ovviamente. E poi sappiamo tutti che gli ebrei sono cattivi non per motivi religiosi ma perché vogliono dominare il mondo, come ampiamente dimostrato dai Protocolli dei Savi di Sion.
Un altro insegnamento errato della cui utilità mi son sempre chiesto è quello di “aiuole”. E’ una passione di tutte le maestre affermare che “aiuole” è l’unica parola italiana che contiene tutte le vocali (è cioè panvocalica). Già alle elementari mi ero reso conto che la parola “cuoiaie” è pur essa panvocalica. E’ vero che è inusuale e declinata, ma lo stesso vale per “aiuole”. E’ però vero che quest’ultima contiene le vocali senza ripetizioni. Eppure, anche la parola “eiaculo” (voce del verbo “eiaculare”) ha la stessa proprietà. Non capisco perché non ce l’abbiano insegnata (comunque, trascurando anche altri neologismi come “quizzarole”, il semplice termine “guidatore” è panvocalico senza ripetizioni. Credo che Bartezzaghi abbia fatto un censimento ampio di termini simili).

Della mia maestra, però, devo dire che aveva un approccio piuttosto moderno alla matematica, partendo dagli insiemi e parlando poi di operazioni e relazioni di ordine sugli insiemi, cosa che corrisponde al concetto di algebra omogenea con predicati. Non posso dire altrettanto della mia professoressa di matematica delle medie. La sventurata era una biologa, ma per i misteriosi meccanismi della Pubblica Istruzione insegnava matematica e scienze alle medie, con la preparazione di un solo esame universitario di matematica generica (un estratto di Analisi I con una spruzzata di statistica, credo). Conseguenza è stata che quando ha dovuto insegnarci le regole dei segni (più per più fa più, più per meno fa meno, meno per meno fa più…) ha avuto il coraggio di asserire che “non c’è una ragione precisa, è così e basta”. Eh, no, ciccia, non è un assioma, è un teorema e in quanto tale si può dimostrare a partire dagli assiomi! E ora me lo fai a casa per esercizio!
Già che parliamo di medie, stigmatizziamo il professore di musica che avevo in prima. Le ore di musica, per caso, erano sempre all’ultima ora, da mezzogiorno all’una. Questo signore arrivava, proclamava di essere stanco per aver lavorato tutta la mattina, e si metteva a leggere il giornale. Purtroppo, però, non ci lasciava cazzeggiare in allegria, ma ci faceva star buoni dandoci sempre lo stesso esercizio: scrivere della musica a caso sul pentagramma. Giacché ci aveva insegnato solamente che in un 3/4 la somma della durata delle note deve fare 3/4, si trattava di un mero esercizio di somma di frazioni e di disegno di puntini con la stanghetta. Cosa implichi invece che una certa composizione sia in tre quarti è invece per me tuttora un mistero. Questo spiega molte cose, nevvero?
Concludo la trattazione delle medie stigmatizzando la prof di ginnastica (pardon, di “educazione fisica”) che pretendeva di fare lezione in classe. Ok, bonga, capisco che la tua professionalità viene lesa dal fatto che tutti pensano che educazione fisica = ricreazione. Ma un po’ di pietà!

Curiosamente al liceo, al di là della prof del terrore che ho già trattato, ho avuto abbastanza fortuna. C’era il professore di scienze che si divertiva a chiedere chi “giustificava” e poi non interrogare nessuno, ma a posteriore ho imparato ad apprezzare questa sottile crudeltà come forma di umorismo. Stigmatizzerò solo la professoressa di matematica del triennio, che conosceva la materia, sapeva insegnarla, ma aveva la rara capacità di farla odiare a tutti, vessando con gratuità severità gli studenti. Ad esempio, non solo dava i compiti nelle vacanze estive, ma pretendeva che le venissero inviati per posta periodicamente! Leggere il giornale in classe è perdonabile, uno studente può comunque essere invogliato, magari per ripicca, ad approfondire la materia per proprio conto. Trasmettere odio per il proprio insegnamento è invece il peccato peggiore per un professore. Per fortuna, ho riscoperto l’amore per la matematica all’università, altrimenti sarei stato un individuo più culturalmente povero. Ancora di più, cioè.

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