Legumenottero: piccolo coleottero della Mongolia, ha l’aspetto di un fagiolo e si nutre soprattutto di legumi. Il legumenottero, noto col nome di garut in mongolo, spesso finisce dentro i sacchi di fagioli secchi utilizzati dai pastori mongoli: allora, in preda alle convulsioni per la gioia, questo insetto si nutre fino a morire di indigestione. Dato che il loro aspetto è indistiguibile ad occhio nudo da un fagiolo vero, i legumenotteri finiscono inevitabilmente in pentola insieme al proprio cibo preferito. Non per nulla, la zuppa di fagioli in lingua mongola si chiama garut sayeel, “zuppa di garut”.
The Lollobillies: celebre complesso pop degli anni ’60, detentore di un singolare primato. Su 265 canzoni composte dal gruppo, ben 244 contengono la parola “love” (amore), 131 la parola “flower” (fiore) e 106 la parola “taxidermy” (tassidermia). I Lollobillies sono rimasti nel cuore dei fan grazie a canzoni come Flowers to my love, More flowers, more love, Love the flower e Taxidermy of love.
Vintage Medecine: branca della medicina lanciata dal dottor Wallace Scrubblemore di Cambridge, che decise di sfruttare la recente moda dell’abbigliamento Vintage – consistente nel riutilizzo di abiti d’epoca – inaugurando un analogo trend nell’utilizzo dei medicinali. I seguaci della Vintage Medecine si curano quindi con medicinali rigorosamente scaduti, preferibilmente degli anni ’60 e ’70, non tanto perché ritengono che questo abbia qualche benefico influsso sulla loro salute, ma perché è di moda e le persone più à la page lo fanno. Gli appassionati di Vintage Medecine possono contare su una catena di farmacie aperta da Scrubblemore, ma i più alla moda sono coloro che rovistano nelle soffitte e nelle cantine di nonni e genitori in cerca dei farmaci d’annata più esclusivi. L’ultimo seguace della Vintage Medecine è morto per intossicazione da medicinali il 22 agosto 2007, seguendo un’ampia schiera di appassionati.
Scrubblemore abita oggi in una villa alle Bahamas e gode di ottima salute.
Con questo articolo inauguro, come preannunciato, la serie “La faccia come il culo”. Perché un titolo così offensivo nei confronti delle delicate orecchie dei miei lettori? Come molti di voi sanno (d’altronde, i tre quarti dei miei lettori sono miei amichetti – oltre ad avere le orecchie delicate), nell’ultimo anno e mezzo non poco del mio tempo libero è stato dedicato a un progetto chiamato ProGlo Edizioni. Nato dall’esperienza del sito di critica Prospettiva Globale, senza farla tanto lunga, si tratta di un ente no-profit pomposamente chiamato Associazione Culturale Prospettiva Globale, il cui ramo primario è la pubblicazione di fumetti e saggi sui fumetti. Io sono uno dei soci fondatori di ProGlo; per la precisione sono il Presidente (mi raccomando la P maiuscola); in realtà significa solo che in galera ci vado io, ma è bello far finta di essere il capo.
ProGlo Edizioni è diversa dalle altre case editrici! No, davvero, giuro. I soci sono un gruppo di appassionati di fumetti con varie competenze professionali: tra di noi ci sono traduttori, revisori di testi, letteristi, Senior Siebel Consultant, giornalisti e grafici. Tuttavia, il nostro lavoro, in questa fase, è dettato solo dalla passione: ciò significa che non ci guadagniamo una ceppa e che l’intenzione è di reinvestire tutti gli utili in altri volumi. Questa politica suicida (ci piace paragonarci ai lemming!) permette di pubblicare cose un po’ più strane e di tenere i prezzi a un livello accettabile. In quest’ottica, ProGlo Edizioni pubblica solo quello che le piace veramente e che risiede, in qualche modo, nella linea editoriale di “studio del fumetto come mezzo di comunicazione” (quindi: saggi, metafumetti, fumetti sperimentali…) . D’altronde, è figlia di un sito di critica. Se per qualche oscura ragione foste interessati ad approfondire certi dettagli, potete consultare il sito ufficiale, che purtroppo non è rosa (ahimé, sono stato battuto su questo fronte!).
So che la domanda che vi farete è: ma tu, che cacchio fai? Beh, organizzo i lavori, gestisco i documenti, presiedo le riunioni, stendo i verbali, mi accollo le lamentele, mi occupo di un’infinità di piccole magagne. L’esperienza da consulente non va quindi totalmente sprecata, anche se probabilmente è merito della mia attitudine personale un po’ puntigliosa se mi hanno affibbiato il mio ruolo.
Ora, in occasione di Lucca Comics 2007 sono usciti i nostri primi sei volumi e mezzo (sei nostri-nostri più una coproduzione). Mica pochi, eh. Lo scopo della serie “La faccia come il culo” è di fare recensioni favorevolissime a questi volumi in modo che possano vendere un mucchio e farmi diventare ricco, o perlomeno permettermi di pubblicare altre cose che mi piacciono. L’obiettivo non è quello di tirar fuori un ulteriore posto dove spacciare i comunicati stampa (quelli li potete trovare in giro per la rete), ma piuttosto di raccontare perché ho voluto pubblicare questi libri, perché mi sono piaciuti e perché sono convinto che il cliente che li legge e li compra faccia una bella cosa, per lui anche prima che per me. Completeranno il quadro, per arricchire il tutto e stimolare il visitatore alla lettura, retroscena personali, curiosità, pettegolezzi e tette.
Next: Longshot Comics, ovvero “Il fumetto senza disegni esiste, ed è pure fico”.
Oggi parliamo di musica. Forse farà piacere a qualcheduno dei miei lettori sapere che mi sono riavvicinato a questo mondo da quando ho scoperto la musica classica, ma questo non c’entra molto col resto del discorso, tanto più che il tema del discorso è Jovanotti.
Nel 1988 mi piaceva Jovanotti. Penso che io, quattordicenne, facessi parte del pubblico ideale del primo Jovanotti, il postpaninaro che parlava di fare casino, che aveva un mito nebuloso dell’America e che era l’emblema di chi è arrivato al successo senza sforzo, quasi per caso. Era il Jovanotti di Jovanotti for President, il suo primo album, quello in inglese con Gimme Five, The Rappers, Ragamuffin e Go Jovanotti Go. Quest’ultima canzone addirittura l’avevo imparata quasi tutta a memoria, e l’inizio di quel testo immortale lo so ancora:
Baby baby do you wanna drive my car/’cos I can’t get the license/I’m just the superstar/I got the blue leather jacket and the baseball hat/I don’t look at the words I just care for the fact.
Durante un’esibizione a Deejay Television, Jovanotti spiegò ai suoi fan come equalizzare lo stereo. Seduto sul bordo di una piscina dell’Aquafan abbracciando uno stereo portatile a cassette con le tipiche tre frequenze da equalizzare (bassi, medi ed alti), il prode “cantante” chiarì:
– La levetta di sinistra l’alzate al massimo, quella di mezzo la lasciate così com’è mentre quella di destra anche quella l’alzate al massimo.
(e sono ragionevolmente sicuro che l’anacoluto ci fosse nel suo discorso originale). Io obbedii senza neanche pensarci troppo. Jovanotti diceva di fare così, Jovanotti era un fico, quindi questa era l’equalizzazione corretta. Pochi mesi dopo passai ad ascoltare Heavy Metal e rinnegai Jovanotti regalandone la cassetta a mio cugino, ma ormai ero talmente abituato all’equalizzazione alla Jovanotti che settaggi diversi mi suonavano male. Anche quando ebbi in seguito accesso ad equalizzatori con più bande, utilizzai sempre la regola della V: alti e bassi al massimo e le altre bande a scemare fino ai medi, tenuti neutri.
Di recente, giacché ascolto musica un po’ differente, un giorno mi è sorto un terribile dubbio, e ho controllato come ho equalizzato il lettore mp3 e tutti i software che uso sul pc per sentire musica. Ho scoperto che il virus dell’equalizzatore alla Jovanotti non mi ha ancora lasciato.
Allora sono uscito e, durante una tempesta mi sono inginocchiato sotto la pioggia e, sferzato dal vento, ho gridato al cielo: “PERCHÉÉÉÉÉÉÉ?!?”.
…
Ok, forse no. Ma il resto è vero.
(qualche giorno di pausa per questo blog. Si ritorna poi con la nuova sezione La faccia come il culo, che probabilmente detesterete. Cazzi vostri.)
Io ho una paura matta dei ragni; mi fanno talmente ribrezzo che faccio fatica anche a scrivere questo post perché mi costringe a pensare a loro. So che è una fobia estremamente diffusa, ma non ho mai capito da dove si origini, tanto più che ogni altro tipo di insetto/aracnide a me fa un baffo, ivi compresi scorpioni, scarafaggi, e vespe. Ok, i ragni sono brutti, camminano per terra con le loro zampette e sono velenosi. Eppure anche tu sei mica tanto bello, anche tu cammini per terra con le tue zampette e anche tu sei velenoso. Vabbé, forse velenoso no, ma le api e i funghi mi sono simpatici, e anche i serpenti alla fin fine li trovo dei bravi guaglioni.
Insomma, che fanno di tanto male i nostri octapedi amici?
Io non sono un grande amante di dolci. Le mie perversioni alimentari sono più orientate verso le patatine, la carne, la pizza; tuttavia c’è un’eccezione: il cioccolato. Da piccolo, poi, era il mio “premio”: dopo aver sparecchiato la tavola o fatto qualche altra piccola incombenza, mi guadagnavo il diritto di prendere uno o due cubetti della delizia marrone, che inevitabilmente non mi bastavano mai.
Una mattina, durante la terza o la quarta elementare, vidi un po’ di folla intorno al banco di Nadia, e notai che la gente si allontanava con in mano una carta di cioccolatino. Col cuore in gola mi avvicinai e chiesi a Nadia senza pudore: “Posso averne uno?”. Lei fu un po’ sorpresa (non ero molto in confidenza con quella bambina) ma disse comunque “Certo!” e mi porse…una carta di cioccolatino di stagnola. Per un momento fui indeciso se mettermi a piangere o picchiare quella sfrontata, ma poi notai che mezza classe era impegnata in una strana attività: tutti coloro che prima avevo visto con una carta di cioccolatino in mano erano seduti sul banco ed erano impegnati a lisciarla con pazienza, togliendo ogni minima pieghetta. Si trattava semplicemente di una moda stupidina che era scoppiata e che, ovviamente, sarebbe durata meno di una pipì di farfalla.
A questo punto, con la mia carta in mano, mi diressi al mio posto. La lisciai un pochino, ma poi sentendomi troppo imbecille, emisi un sospiro e mi misi ad odorare la carta. Almeno così potevo immaginare il cioccolato che c’era stato dentro.
Gorlap: materiale per pentole e padelle realizzato nel 1973 in laboratorio dal chimico Heinrich von Salmonn, ottenuto mediante la miscela di vari ingredienti chimici e da un composto realizzato a partire dalla pelle secca del gorilla. La linea Gorlap Kitchen non resistette più di un anno sul mercato per motivi di vario tipo. Innanzitutto, non di rado nei piatti cucinati con pentole in Gorlap capitava di trovare peli di gorilla; in secondo luogo, se portati a una temperatura superiore ai 52 gradi, gli utensili in Gorlap cominciano a emanare un deciso odore di gorilla morto. Ultimo ma non meno importante, l’utilizzo del Gorlap ha portato sull’orlo dell’estinzione i gorilla del Congo, e a causa di questo gli utilizzatori del materiale sono spesso visitati da fantasmi di scimmie che tirano loro cacca ectoplasmica.
Lampadina: oggetto speciale del primo classico Super Mario Bros per Nintendo. Nessuno sa come ottenerla né a cosa serva, e i programmatori del gioco negano la sua esistenza, ma Alan, amico di mio cugino Lorenzo, dice che c’è.
Semaforo rosa: speciale colore di un semaforo posto in un incrocio di Bigadina Sabbiafine, in Emilia Romagna. Nel 1988, l’assessore al traffico Rosella Menabuoi decise di sperimentare un nuovo segnale al semaforo principale della cittadina romagnola. In esso compariva un quarto colore, il rosa appunto, che secondo l’idea del fantasioso assessore sarebbe servito a favorire le donne: col semaforo rosa, possono passare solo le donne, sia in auto che a piedi, che sono così al riparo dai pirati della strada, quasi sempre uomini. Purtroppo, in questo modo, col semaforo rosa passavano indistintamente tutte le donne, come automobiliste e come pedoni, da qualsiasi direzione provenissero, provocando una serie di incidenti mortali. Tre mesi dopo, la popolazione di Bigadina Sabbiafine era composta unicamente da maschi e da Rosella Menabuoi, che girava in elicottero.