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Misteri della vita LXXI: Camminare a sinistra

Alassio, 1984 circa
Un giorno, venne un signore a scuola a regalare a tutti gli alunni un album di figurine. No, non era un pederasta né si trattava di una promozione della Panini, tantopiù che l’album era completo di tutte le figurine, e la Panini non è mica così scema. Ok regalare gli album, lo faceva anche con Topolino, ma non le figurine, quelle te le devo comprare! Quell’album era invece un po’ sfigato: innanzitutto perché le figurine non erano autoadesive, ma bisognava attaccarle con la colla, e poi perché era un album educativo. Il fine di quel dono era infatti di insegnare ai giovani virgulti l’educazione stradale: come attraversare la strada, come andare in bicicletta in modo sicuro, rispettare i semafori eccetera. Incollando le figurine, avremmo quindi imparato una serie di basilari nozioni di sopravvivenza. Bella iniziativa, bravi, però…

Tutto ciò che ricordo legato a questa iniziativa è un’allegra domenica pomeriggio passata ad incollare figurine, e solamente un insegnamento:
“Camminare sulla sinistra è pericoloso! Camminare sulla sinistra di sera è pericolosissimo!”, riferito alla circostanza di un pedone che cammini sul ciglio di una strada priva di marciapiede. Già da allora mi ero chiesto cosa ci fosse di così pericoloso nel camminare a sinistra: nell’ipotesi di una strada diritta, sulla sinistra c’è il vantaggio di vedere meglio i mezzi che arrivano incontro, mentre sulla destra arrivano di spalle. Nel caso di strada con le curve, invece, il lato migliore dipende dal verso della curva: se verso destra, è meglio camminare a sinistra, se verso sinistra, camminare a destra. Camminando infatti sulla destra e trovandosi in una curva verso destra, un’automobile potrebbe trovarsi all’improvviso dei pedoni senza poterli scorgere prima.

E’ anni quindi che mi chiedo il perché di quel consiglio sciagurato. L’unica ipotesi che son riuscito a formulare è che quell’album fosse una traduzione di un testo inglese che, per un errore di adattamento, consigliava ciò che è più corretto nei paesi con la guida a sinistra. Tuttavia non ricordo altri errori simili, ad esempio, nella procedura per attraversare la strada (“guardare prima a sinistra, poi a destra, e poi ancora a sinistra”).

Insomma, perché camminare a sinistra sarebbe pericoloso?

Enciclopedia Stronza XXII: Cattedrale delle Bricioline, Gramaiòn, Capponeira

Cattedrale delle Bricioline: costruzione posta sulla collina che domina Bistrutto Sottana in provincia di Mantova, la Cattedrale delle Bricioline venne ideata da San Pancrazio Vergine nel 932. Egli, in anticipo di mille anni su Gaudì, volle che la torre venisse costruita dai fedeli, e non con semplici mattoni: a simboleggiare la costruzione della Salvezza Eterna mediante piccoli gesti quotidiani, richiese che ogni fedele portasse una briciola di pane e che contribuisse all’erezione della Chiesa con quella. All’inizio del 933 la Cattedrale delle Bricioline iniziò a prendere forma, quando, purtroppo, una colonia di formiche scoprì tutto quel ben di dio. Negli ultimi undici secoli si è quindi protratta una continua lotta tra i fedeli e i malefici insetti, ma la Cattedrale delle Bricioline continua ad essere incompiuta. Conseguenza di tutto questo è la fioritura nel mantovano dell’industria dei panifici e degli insetticidi, che hanno infatti San Pancrazio Vergine come patrono.

Gramaiòn: mostro della tradizione piemontese utilizzato per spaventare i bambini capricciosi: “Se non mangi tutto il tuo brasato al barolo, chiamo il Gramaiòn!”. Il dottor Pierluigi Schenone, dell’università di Ovada, ha dedicato la sua carriera accademica a raccogliere tutte le tradizioni sul Gramaiòn; purtroppo, il risultato si limita a quanto già riportato in questa voce di enciclopedia, giacché il Gramaiòn era un’invenzione di sua madre.

Capponeira: variante della capoeira praticata dagli sguatteri e dagli aiuto-cuoco brasiliani. Si tratta di una danza-combattimento in cui i due contendenti si sfidano reggendo un cucchiaino fra le dita di ognuno dei due piedi, posata con la quale devono rompere un uovo alla coque appeso al collo dell’avversario. Per impedire agli sfidanti di utilizzare le braccia, viene loro dato fra le mani il pentolino bollente in cui sono appena state preparate le uova alla coque. Il vincitore può decidere se mangiare le due uova oppure se romperle in testa all’avversario.

Longshot Comics di Shane Simmons

Il fumetto senza disegni esiste…

Esiste una scuola di pensiero che ritiene che i fumetti siano una forma di espressione composta da disegni e testo. Ora, per smentire questa ipotesi un po’ puerile gli esperti nel campo andranno a citare la verbosissima (e, a dirla tutta, un po’ inconcludente) dissertazione di Scott McCloud nel suo fondamentale Understanding Comics, ma per convincere un profano senza parlare di closure è più semplice citare il controesempio di un fumetto senza testi (un qualsiasi fumetto muto, come Piccolo Babbo Natale di Lewis Trondheim). Ora, con Longshot Comics, è possibile anche mostrare la situazione opposta: un fumetto coi testi ma senza disegni. Non ci credete? Ecco qua un esempio, tratto da uno dei segnalibri promozionali:

Per non pochi, infatti, Longshot Comics è diventato il “fumetto dei puntini” o “quello coi puntini che parlano”. In realtà tutto questo è falso. L’autore stesso, il canadese Shane Simmons, spiega come la sua opera sia composta da disegni particolareggiatissimi, rimpiccioliti però all’inverosimile (cioè presi in campo lungo, “longshot”, appunto) fino ad essere ridotti a puntini. Qua a video non è possibile farlo per ragioni tecniche, ma se comprerete l’albo potrete sbizzarrirvi, con lenti di ingrandimento o anche microscopi, a scoprire i dettagli del disegno. (Come, non ci credete? Beh, nemmeno io. Ma vi assicuro che più di una persona ha reagito con uno stupito “Ma davvero?”)

Ma l’esperienza di Longshot comics dal punto di vista visivo non è tutta qui: l’opera è immensa, è fatta da 3840 vignette, l’equivalente di un fumetto tipo Dylan Dog di oltre 700 pagine. E in quanti volumi viene pubblicato questo ben di dio? In uno solo. E di 56 pagine…ma pagine come questa:

– Ma l’immagine è illeggibile!, direte voi.

Certo che lo è, dirò io, altrimenti poi non mi comprate l’albo: non dimenticate che qui stiamo facendo bieca pubblicità. Ma, suvvia, solo per scopi promozionali, potete cliccarci sopra per un’immagine in risoluzione maggiore. Ma che sia l’ultima volta, la prossima pagina la pagate!

…ed è pure fico!

Ora, tutto questo è interessante e qualifica Longshot Comics come un volume innovativo che esplora il fumetto come forma di espressione, e probabilmente già basterebbe per essere degno di pubblicazione; quello però che lo rende un capolavoro è anche ciò che viene raccontato in quelle 3840 vignette.

Prima di parlare del rapporto tra Longshot Comics e la Storia e perdere i miei pochi lettori inizio col dire che è un fumetto che fa ridere e fa piangere: i dialoghi sono arguti e fulminanti, con un umorismo a tratti cinico in stile Monthy Python (seriamente, ha poco da invidiare allo storico gruppo britannico) , ma contemporaneamente la storia, mediante alcune sorprendenti variazioni di registri, è in grado di commouovere (soprattutto nel finale, provate voi a non farvi scappare una lacrimuccia!) e anche di trarre una morale importante da quello che racconta. E ora che siete ancora qua, di che cacchio parla Longshot Comics?

Longshot Comics è la biografia di un certo Roland Gethers, nato nell’Inghilterra vittoriana e morto dopo la seconda guerra mondiale. Sono 89 anni di vita che comprendono il periodo più convulso della storia dell’umanità, quello che ha traghettato il mondo nell’epoca contemporanea attraverso guerre, sconvolgimenti politici e cambiamenti radicali di modi di vivere e di pensare. Roland combatte tre guerre, fa diversi lavori, si sposa, ha figli e nipoti come una persona qualunque; tuttavia, nel mentre, egli non riesce mai ad afferrare quello che sta succedendo e rimane sempre un passo indietro rispetto ai propri tempi: la prima guerra mondiale è giusta perché la comandano gli ufficiali inglesi, che hanno conquistato un impero e quindi guidano il miglior esercito al mondo, la seconda è sbagliata perché la prima è stata un disastro. E’ questo conflitto, in qualche modo, a rendere chiaro agli occhi del lettore moderno il passare del tempo e l’evolversi dell’Umanità.

Un po’ di backstage

La lavorazione di Longshot ha avuto i suoi problemini, ma nel complesso è andata piuttosto liscia. Prendere i diritti è stato semplice, probabilmente il buon Simmons non riusciva a crederci che avrebbe tirato fuori ancora qualche soldino da un albo autoprodotto uscito oltre dieci anni fa. Quello che invece ci ha fatto sudare è stata la scelta del formato. L’edizione originale di Longshot Comics è un normale, orrendo comic book: 24 pagine spillate 17×26. Esiste un’altra edizione al mondo, quella tedesca, che è invece un brossurato 17×13, col doppio di pagine. L’autore, da noi consultato, sostiene che per la natura della struttura dell’opera non ci sono problemi a rimontare le vignette: avevamo quindi totale libertà di scegliere il formato delle pagine, e per mesi ci siamo sbizzarriti con le ipotesi: metà di un comic book come i tedeschi, formato cd, formato libretto d’opera, formato striscia… Sì, mesi, abbiam passato dei mesi a parlarne prima di decidere. La scelta, alla fine, è un formato quadrato di 17 centimetri. Ne sono orgoglioso, è davvero un bell’oggetto.

La stesura del testo (traduzione e revisione) è filata relativamente liscia, anche se la quantità di testo da gestire è veramente impressionante. Diverse questioni sono state dibattute, ma nessuna ha generato una mole di discussione paragonabile a quella che ha visto “Abacuc vs. Habbakuk”. Decine e decine di mail per decidere se il fratello di Roland (un personaggio che avrà sì e no cinque battute) si chiamasse in un modo o nell’altro credo che siano un buon indizio della cura posta nella traduzione.

Della mole del testo si è accorto anche il nostro buon letterista, il quale aveva sentenziato: Beh, sono 48 pagine. Le posso fare in una settimana scarsa, contando gli altri impegni che ho. Il povero illuso ha scoperto che 3840 vignette, quasi tutte piene di dialoghi, sono tante. Tante. Tante. A suo onore, va detto che ha consegnato comunque in tempo per la stampa.

Lo voglio!

Siete ancora lì? Correte ad acquistare: Longshot Comics – La lunga e inutile vita di Roland Gethers di Shane Simmons
Brossurato 17×17 cm – 56 pagine b/n – 4,90 euro

Lo potete trovare nelle migliori fumetterie (migliori nel senso di “più grandi” o “più lungimiranti”) a partire da dicembre 2007, nelle principali librerie a partire da gennaio 2008, oppure a partire da subito scrivendo a ordini@progloedizioni.com

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Misteri della vita LXX: Bianco e rosso

(suggerito da Serir)

Perché le auto rosse o bianche sono guidate da gente statisticamente più incapace?

Mia prima risposta: non l’avevo mai notato, ma il bianco e il rosso sono i colori più comuni per le auto. Quindi è probabile che  siano prese da gente che acquista le auto pronte dal concessionario oppure che sceglie il colore un po’ a caso, ed entrambi i comportamenti possono indicare scarsa attenzione all’automobile come mezzo. Come ultima deduzione, dunque, chi si interessa poco alle auto di solito non ha interesse alle sottigliezze della guida, e quindi guida male.

La mia macchina è nera.

Misteri della vita LXIX: Il genere del calcio

Uno scheletro nell’armadio: da bimbo, ero juventino. Con la maturità tipica di chi si interessa di calcio quando parla di calcio, battibeccavo col mio compagno di classe Enrico che, invece, era interista. Tra di noi quindi si sprecavano le gag del tipo “Juve di merda che il vento ti disperda” o “Avanti popolo alla riscossa, degli interisti vogliam le ossa” o ancora “Ho letto su un bidone che la juve è un campione. Ho letto su un giornale che l’Inter è un maiale. Ho letto su un diario che è tutto all’incontrario“.Un giorno Enrico, trionfante, mi spiazzò con “Che puzza, che tanfo! La juve è entrata in campo! Che aria, pulita, la juve è uscita!”. Smaccato, non seppi che rispondere, ma escogitai di rivalermi su mia sorella, che era milanista.

Appena giunto a casa, la apostrofai: “Che puzza, che tanfo! Il Milan è entrato in campo! Che aria, pulita, il Milan è usc…ma porc!” Indispettito dalla rima errata causa genere maschile, mi sfogai giocando con la pallina schizofrenica per un paio d’ore.

Ripensando all’episodio, mi son chiesto: in che modo si decide se le squadre di calcio sono di genere maschile o femminile? In linea di massima vale la regola che se una squadra eredita il nome della città (Palermo, Torino, Livorno) o una sua variazione (Milan, Genoa), allora è maschile, altrimenti è femminile (Juventus, Inter, Lazio, Sampdoria). Mirabile eccezione a questa ipotesi è la Roma… ma sono convinto la regola sia differente. Non credo inoltre che c’entri il nome della squadra per esteso (Milan Associazione Calcio, Genoa football and cricket club).

Warning: ogni commento che, a mio insindacabile giudizio, viri verso rivalità calcistiche verrà impietosamente stigmatizzato. E quando io stigmatizzo, stigmatizzo!

Il sussidiario

Ad Alassio, nel sottopassaggio antistante la stazione ferroviaria, è stata attivata una lodevole iniziativa: ci sono diverse bancarelle incustodite con libri di vario tipo; chi vuole, può regalare libri limitandosi a lasciarli lì; viceversa è possibile acquistarli lasciando una donazione (“minimo un euro!” minaccia un severo cartello) a favore della ricerca contro il cancro. L’offerta è piuttosto vasta, e inevitabilmente scadente: c’è gente che lascia pacchi di riviste, addirittura ho visto elenchi telefonici vetusti e opuscoli della chiesa. Che cacchio, dovrei lasciarti un euro per un “Chi” di sei mesi fa? E allora preferisco limitarmi a fare un’offerta senza nulla in cambio! Va anche detto che cercando con calma ogni tanto si trova qualche gioiello; sono ad esempio fortemente tentato dai romanzi di Beverly Hills 90210 che mi occhieggiano da qualche tempo, e mesi fa ho trovato uno splendido libro di informatica degli anni ’80 scritto, per farlo sembrare futuribile, con un font identico a quello delle stampanti ad aghi (questo libro merita un post a parteche prima o poi arriverà).

Uno dei sempreverdi del sottopassaggio della stazione è costituito dai libri scolastici, e in questo periodo la scelta è abbondante: evidentemente le mamme acquistano i nuovi libri e sbolognano nelle bancarelle quelli vecchi e ormai “inutili”. Uno di questi lo ho acquistato, prima della scorsa estate: si tratta di un sussidiario di quarta elementare intitolato Una marcia in più datato 1993. Solo dopo l’acquisto ho finalmente realizzato che “sussidiario” significa “oggetto che fornisce un sussidio (allo studio)”: io ero sempre stato convinto che fosse un “sussi-diario”, cioè un diario che, boh, sussa (ma senza mai capire cosa significasse). Ho anche riscoperto con delizia un’usanza che avevo rimosso: quella di ricoprire i libri con una fasciatura di plastica colorata semitrasparente (tipicamente verde, blu o rossa), spesso con l’etichetta col nome.
Questo sussidiario ora staziona nel mio bagno e ad ogni, ehm, seduta ne leggo alcuni brani e scopro qualcosa di nuovo. Ad esempio che l’economia del Molise è basata sull’agrucoltura e la pastorizia, che sull’impero di Carlo V non tramonta mai il sole, che l’aria calda sale e quella fredda scende come potete verificare voi con un semplice esperimento, che l’area di un rombo è diagonale per diagonale diviso due, ma anche (magia!) base per altezza diviso due.

Il mondo dei sussidiari, nel 1994, non è diverso da quello che avevo conosciuto io nella prima metà degli anni ’80. Ho rilevato solo qualche piccola differenza in matematica (nessuna traccia di algoritmi per effettuare le operazioni, maggiore attenzione ai concetti algebrici e topologici) e nella terminologia (insistenza sull’espressione “elementi antropici” in geografia, ad esempio) e, dal punto di vista pedagogico, negli esercizi che invitano i bambini a verificare le nozioni da soli. Ma la sostanza è quella: d’altronde, i programmi ministeriali sono gli stessi, non ci si può ricamare sopra moltissimo.

Ormai son passati quindici anni e Una marcia in più è ormai obsoleto a sua volta: chissà se nel nuovo millennio qualcosa è cambiato, e se ora l’area del rombo si calcola in un altro modo. Secondo me no.

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