Alle medie avevo un prete come professore di religione. La cosa non è così scontata, visto che poi al liceo, sono stato subissato da laici, rigorosamente bigotti e fanatici, con gran probabilità ciellini o simili. In prima c’era quella che ce l’ha menata tutto l’anno con le domande fondamentali. In seconda ci toccò quella che, inebriata dal potere, cacciava fuori dall’aula chiunque facesse il minimo rumore. In terza c’era quella gran patatona dell’Alma, tanto bona quanto insopportabile. In quarta giunse il tizio con la barba che ci dava del lei per fingere rispetto. In quinta mi sono spaccato i marroni e, finalmente maggiorenne, andavo a giocare a ping-pong.
Ma torniamo al nostro amico prete. Don B. un omino pelatino che diceva "blé" al posto di "blu": questo bastava a renderlo divertente nei confronti di una classe di dodicenni. D’altronde, un pubblico che rideva ogni domenica sera di fronte ad un signore coi baffi che dice "Uabboi" aveva certamente degli standard comici piuttosto bassi. Ma un giorno Don B. si guadagnò il rispetto della I A della Scuola Media Margherita Morteo Ollandini, anno 85/86.
Era una bella giornata di primavera, e probabilmente anche quel signore vestito di nero non aveva voglia di stare al chiuso. La mia aula era situata nel seminterrato del prefabbricato della scuola, e in confronto all’esplosione di luci e colori che ci circondava, quella penombra era proprio triste. E allora Don B. prese il coraggio a due mani e ci portò in "gita". La meta, un po’ inusuale, fu il cimitero, situato abbastanza vicino alla scuola da poterlo raggiungere a piedi in pochi minuti. La motivazione ufficiale dell’uscita era di andare a raccogliere epitaffi per poi discuterne.
E così quel mesto luogo fu invaso da una marmaglia di preadolescenti festanti che, armati di penna e quaderno, sciamavano per le tombe e scrivevano con entusiasmo frasi del tipo "Non fiori ma opere di bene", "Un destino crudele ti ha strappato anzitempo da noi", "La pecora nera di un fosco gregge è una pecora bianca", "A Gennarino, marito e padre esemplare, i nipoti posero". È vero che per i ragazzi, come si suol dire, basta anda’, cioè qualunque scusa per uscire dalla scuola è buona, ma quell’uscita inaspettata e inusitata fu davvero memorabile.
Per lungo tempo i professori di quella classe furono subissati dalla macabra richiesta: "Prof, ci porta al cimitero?". Nessuno di essi accontentò, anche se probabilmente tutti avrebbero voluto. In un altro senso, ovviamente.
Alassio, 21 settembre 1982
Io
Mi presento
Mi chiamo: Luca Ventimiglia
Sono nato a: Albenga
Il 27/6/1974
Abito a Alassio, via Aleramo 5
Come sono: alto, abbastanza magro, castano, di carnagione chiara; ho gli occhi castani, il naso grosso, la faccia ovale, la bocca quasi sempre semplice, i capelli corti e difficilmente pettinabili [1]
Che cosa mi piace fare: leggere, giocare, pensare, giocare a poker, mangiare, cercare pietre, viaggiare, esplorare, tuffarmi, pescare, dormire [2]
Il gioco che preferisco: le carte
Lo spettacolo che amo: Qarz [3]
I miei hobby: collezionare monete antiche, leggere, giocare [4]
Il mio amico per la pelle: Daniele [5]
Come mi comporto coi miei compagni: violento in certi casi, un po’ schivo, certe volte veloce nel trovare un gioco [6]
(dal mio quaderno di "pensieri e temi" di terza elementare, ivi comprese le parti in rosso. Un componimento esteticamente spettacolare)
Note:
[1] E’ un sollievo per me sapere che a otto anni avessi la faccia ovale e non eptagonale. Mi chiedo inoltre da dove venisse fuori la carnagione chiara, e che cacchio avessi in mente quando ho dichiarato di avere la bocca "quasi sempre semplice".
[2] La maestra deve aver pensato di avere tra le mani un futuro giocatore d’azzardo: giocare a poker e "le carte" come gioco preferito. Pescare e dormire purtroppo non sono compatibili, e infatti tra i due ho scelto il secondo.
[3] Sarebbe "Quark". La maestra non l’ha corretto, probabilmente pensando si trattasse di qualche cartone animato astruso: "Qarz l’invicibile contro i robot invasori di Andromeda"
[4] Collezionare monete antiche? Beh, mia nonna aveva conservato un bel sacchettone di monete fin da quand’ero piccola e io adoravo catalogarle e controllare sui cataloghi quanto valevano. Ce n’era una che nel 1981 valeva 650.000 lire.
[5] Daniele Z., di Sassello. Non lo vedo dal 1992. Daniele, se mi leggi: ciao, com’è?
[6] Infine, è molto curioso che tutte e tre le cose siano valide. Continuo ad essere un violento represso sotto la maschera di un timido, con un gran inutile talento per sollazzare il prossimo con giochini stupidi. O con un blog.
Quand’ero alle elementari, notai che al mattino è una sofferenza doversi alzare dal letto. Ci vuole ben poco spirito di osservazione per capire che godimento sia rimanere tra le coltri, soprattutto in inverno quando fuori fa freddo ed incombe la scuola, mentre sotto le coperte c’è un delizioso calduccio. E la promessa del latte col Nesquik della colazione era ben poco stimolo ad alzarsi. Rilevavo anche che di domenica, ai miei tempi unico giorno festivo, la situazione non si riproponeva semplicemente perché il meccanismo di risveglio era differente. La mia deduzione, quasi sillogistica, era la seguente: avrei dovuto riprodurre di domenica le condizioni di un giorno feriale, e l’azione più semplice era puntare la sveglia alle sette e un quarto.
Ero in un aeroporto, e stavo per partire, ma non trovavo più la mia valigia. Quand’ecco che un altoparlante fa il tipico "plin-plon" per attirare l’attenzione, più e più volte. Ma no,non è un altoparlante…è una sveglia. Apro un occhio e vedo mia sorella che spegne la sveglia imprecando contro chi ha avuto la pessima idea di attivarla di domenica. Ah, e ovviamente non ho goduto per nulla.
Per chi ama le storia colla morale a tutti i costi, questa può essere interpretata come una metafora contro la droga: non cercate paradisi artificiali, o almeno non cercateli la domenica alle sette e un quarto.
Alassio, scuole medie Margherita Morteo Ollandini, 1986-1988
Ancora gabinetti, ancora scuole medie.
Il preadolescente Luca va alle medie. Si sente grande. Eppure, c’è qualcosa che cospira contro di lui: i professori impediscono alla gente di andare in bagno, per di più usando le stesse biechissime scuse.
Prima ora: “Prof, posso andare ai servizi?”
“Ma se sei appena arrivato!”
Seconda ora: “Prof, posso andare ai servizi?”
“Tra poco c’è l’intervallo.”
Intervallo: fate le pecorelle e mangiatevi un krapfen. Potete anche andare al bagno, se ne trovate uno libero.
Terza ora: “Prof, posso andare ai servizi?”
“C’è appena stato l’intervallo, potevi andarci prima.”
Quarta ora: “Prof, posso andare ai servizi?”
“Se proprio devi…” (la quarta ora è l’unica oasi felice)
Quinta ora: “Prof, posso andare ai servizi?”
“Tra poco vai a casa, aspetta”
Tutto questo accanimento era sospetto. La mia ipotesi è che fosse girata qualche circolare per limitare la possibilità che i ragazzi facessero danni al di fuori del controllo dei professori. Ma io, che ero un semibimbo innocente, perché me la dovevo tenere così tanto? Mondo ingiusto!
Alassio, prima metà anni ’80, inizio di settembre
Quell’estate degli anni ’80 si stava lentamente spegnendo, e gli acuti amministratori locali di Alassio escogitavano un trucco per far sentire i turisti tedeschi a casa loro: una copia locale dell’Oktober Fest tenuta a settembre, battezzata, con rara spremitura di meningi, September Fest.
Il September Fest ovviamente non è altro che una normale sagra paesana, ma al giovane Luca non importa. Lui è lieto di poter mangiare cibi malcotti su scomode tavolate di legno e di poter girare tra gli stand (tra parentesi, lo è ancora!). Mentre i parenti stazionano al tavolo dopo la cena a base di vitello tenace e calamari di caucciù, Luca ha il permesso di andare dal suo stand preferito: si tratta di una specie di tirassegno, gestito da Mario, fidanzato della cugina Silvia e bravissima persona. Luca tira, manca, e riceve come premio di consolazione un palloncino di quelli volanti. Luca è al culmine della felicità e si avvia verso il tavolo dei genitori.
Quand’ecco che arriva un Bambino Cattivo, che sbarra la strada a Luca e gli ordina: “Dammi il tuo palloncino!”. Luca, giustamente, rifiuta, e per ripicca il Bambino Cattivo gli sferra un colpo sulla mano e fa volare via il levitante balocco. Il nostro protagonista scappa via in lacrime dai parenti, che si prodigano per consolarlo. Silvia, che è una mente pratica, lo riaccompagna da Mario che è lieto di approvvigionarlo con un altro palloncino.
Lieto fine, quindi? Mah! Io non credo alle storie tragiche con finale felice, la gioia non cancella il ricordo della tristezza che c’è stata prima. Il trauma del Bambino Cattivo è stato troppo forte, e la fiducia nell’umanità di Luca è stata un’altra volta minata. E poi il primo palloncino era più bello.
Oggi, 26 luglio 2006, sono passati vent’anni dalla mia ultima Confessione. Il 26 luglio 1986 era la festa di Sant’Anna al Piano, frazione di Sassello, e Don Lino, detto Don Chilometro perché era alto, mi catturò prima della messa di rito e mi estorse l’ammissione di aver avuto dei pensieri impuri. "Tutto il corpo umano è bello perché creato da Dio, mi disse, e non solo alcune parti di esso".
Da allora decisi che è meglio andare all’inferno che raccontare i cazzacci miei ad uno sconosciuto vestito di nero. Nel caso che finissi a farmi pungere il sedere dal forcone di Belzebù, tornerò come fantasma ad avvertirvi.
(Chi legge Pinguini nel Salotto ha un’assicurazione per l’Aldilà!)