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Aladino e il Genio del Campanile

Verso la fine delle elementari ero ancora uso andare a messa, ma ero giudicato abbastanza grande per andarci da solo se necessario. In una di queste occasioni, in una domenica pomeriggio invernale, ascoltavo Padre Tommaso che teneva l’omelia nella chiesa dei cappuccini di Alassio. Quand’ecco che incombe la tragedia. Padre Tommaso lamentava la necessità di fare dei lavori urgenti al campanile, per i quali servivano dei fondi che la chiesa non aveva a disposizione. "Quindi, oltre l’usuale questua, verranno distribuite delle buste nelle quale fare un’offerta", concluse il frate sorridendo sotto la barba.
Io andai in panico. Da bambino non avevo mai una lira in tasca (non avevo semplicemente l’abitudine di portarmi dietro del danaro), ma consegnare la busta vuota mi pareva tremendo. Se è il prete a chiedere soldi, pensavo, è un po’ come se lo facesse Dio per interposta persona, e quindi non dare nulla è in qualche modo un peccato! Finirò all’inferno! (per qualche strana ragione, invece, non mi facevo problemi a non dare niente nella normale questua, che per di più è pubblica, ma per ora torniamo al piccolo Luca spaventato)
Mi ritrovai quindi a sperare: "Beh, magari dentro la busta qualcuno ha lasciato qualcosa…". Aprii la busta e ci trovai dentro una banconota, mille lire. Per me erano un piccolo tesoro e sarebbero bastate.
Quindi, in quel fatidico pomeriggio, ho avuto a disposizione un desiderio come quelli del Genio della Lampada e l’ho utilizzato per trovare mille lire. Avrei potuto desiderare la Pace nel Mondo, o di diventare ricchissimo, o che Nicole Kidman mi spupazzasse il salame per il resto dei miei giorni o, con rara astuzia, di avere altri infiniti desideri a disposizione. D’altronde, i frati hanno riparato il campanile e io ho avuto l’anima salva. Accontentiamoci, per questa volta.

Noi uomini duri

Cosa credi, che io sia ancora un bambino che si lava la faccia con gli occhi chiusi?
 Richard Cunningham in Happy Days (citazione non letterale)

Avrò avuto sei, sette anni e questa frase di Happy Days mi sconvolse. E che diamine, vado già a scuola, ormai sono un ometto, come non fanno che ripetermi le vecchie zie. E poi arriva un Cunningham qualunque a farmi ricredere: eh, no, non ci sto! Passai diverso tempo a soffrire riempendomi gli occhi di sapone prima di capire che in realtà nessuno si lava la faccia con gli occhi aperti, appunto perché gli occhi (intesi come bulbi oculari) non vanno lavati. Eppure, questo modo di dimostrare la propria virilità non è meno imbecille di diversi altri che gli ometti mettono in pratica molto spesso. Sì, anche io.

Il Vero Uomo mangia piccante. In una tavolata di adolescenti c’è sempre un maschio alfa (o aspirante tale) che ordina la pizza "del diavolo" o qualcosa di simile solo per fare quello che "più piccante è meglio è", ovviamente senza sentire poi alcun sapore per l’effetto anestetico del peperoncino. Le pizzerie lo sanno e di solito nelle pizze piccanti mettono gli ingredienti più scadenti.

Il Vero Uomo regge l’alcool. "Io una volta ho bevuto diciotto litri di birra! E non sono stato male! Non preoccuparti, guido io. Io sono abituato a guidare dopo aver bevuto, e con solo tre o quattro gin tonic non ho nessun problema. Sì, ci sono gli etilometri, ma sono tarati per gente con meno autocontrollo di me".

Il Vero Uomo non ha mai freddo. Forse è una reazione al fatto che molte signorine sono un po’ troppo freddolose, ma il Vero Uomo si veste più leggero del necessario, non usa il cappello o la sciarpa quando servono e spesso si sbottona il cappotto. "Uff, che caldo. Che ci posso fare, a me il freddo non fa niente. Pensa che in inverno io scio sempre senza guanti!". Il che si ricollega al fatto che…

Il Vero Uomo non si ammala. O meglio, si ammala, ma minimizza. "Trentasette e sette, cosa vuoi che sia? Fino a trentanove non è vera febbre! Una volta sono andato a scuola con quaranta di febbre, e non me n’ero manco accorto.". Visto che lui non è malato, non prende nemmeno medicine. "Guarda, le medicine fanno più male che bene, perché il corpo poi si abitua e non reagisce in modo naturale. Dammi retta, aspetta che la malattia faccia il suo corso."

Suggerisco qui tra le righe che i Veri Uomini sono rari perché di solito non vivono a lungo. D’altronde, una vita col sapone negli occhi ogni mattina non credo sia degna di essere vissuta.

Dieci universi pallosi

Un tema che piace molto agli scrittori di fantascienza è quello dei mondi alternativi, ovvero immaginare come potrebbe essere la nostra Terra se la storia avesse preso una strada differente. E allora giù di mondi in cui Hitler ha vinto la guerra o in cui l’Impero Romano non è mai caduto o popolati da uomini rettile; oppure, specularmente, si è giocato spesso sugli universi virtualmente indistinguibili, quelli in cui io penso muovo l’indice invece del medio e non cambia null’altro; infine, la terza alternativa più battuta è l’universo in cui uno specifico evento è andato in modo differente o una determinata persona non è mai esistita (i "What if…" della Marvel o anche "La vita è meravigliosa" di Frank Capra).
Io, che amo rompere le palle, ho invece immaginato dieci mondi che sono sostanzialmente uguali ai nostri se non per alcuni aspetti della società che in fondo sono convenzioni. Spinguiniamo il multiverso, ed immaginiamoci mondi in cui:

1) i ritmi lavorativi non sono scanditi dal concetto di "settimana", ma da quello di "quaterna": ogni tre giorni di lavoro ce n’è uno di vacanza.

2) nelle automobili la disposizione dei pedali non è standard, ma cambia da modello a modello, esattamente come, nel nostro mondo, cambiano tutti gli altri comandi (fari, tergicristalli, doppie frecce).

3) viene considerato disgustoso osservare qualcuno che mangia, come per noi lo è osservare qualcuno che defeca (questo è già più radicale e non mi stupirei se qualcuno l’avesse già sfruttato)

4) la maggior parte dei libri, quaderni, fogli sparsi è più larga che alta. Il default è landscape, non portrait.

5) il sorriso, cioè l’atto di mostrare i denti, è considerato come un atto ostile.

6) i computer, oltre agli usuali mouse e tastiera, hanno anche un’interfaccia azionata coi piedi.

7) in bagno non si tira lo sciacquone dopo aver fatto la pipì, ma lo si fa prima di usare il water.

8) i maiali sono comuni animali domestici e mangiarli è considerato un atto di barbarie (come nel nostro mondo lo è quasi ovunque per cani e gatti)

9) le parti del corpo che la morale vigente prevede necessario coprire sono le mani e i piedi. Al mare, quindi, la gente sta coi genitali in vista ma indossa guanti e calze.

10) si ritiene che la sede dei sentimenti sia il fegato, non il cuore.

Per quanto mi riguarda, il mondo 8 si avvicina alla mia concezione di inferno. 

Il sangue dei regazzini morti

A volte mi perdo ad immaginare che fine potrebbero aver fatto alcuni personaggi che ho incontrato nella mia esistenza, persone che pur essendo presenti nel mio ricordo hanno giocato un ruolo marginale nella mia vita. Purtroppo, questi figuri sono tutti morti.

Vincenzo: Vincenzo dimenticò ben presto i suoi effimeri compagni di classe di quella prima elementare in cui aveva passato tre mesi. Non che gli fossero antipatici, ma aveva altri problemi: ci vedeva malissimo, nonostante quegli occhiali spessi come una fetta di salame tagliata da un buongustaio, ed era anche un po’ sordo. Dato che il mondo esterno gli pareva così inaccessibile, Vincenzo si rifugiò in quello interno, passando sempre più tempo da solo, e per tenersi compagnia iniziò ad inventare storie: il suo piccolo manipolo di eroi spaziali del mondo di Qorx, combattenti contro l’ingiustizia, forse non brillava per l’originalità del soggetto, ma le trame erano così elaborate, gustose e ricche di colpi di scena che chiunque se ne sarebbe appassionato. Ogni giorno Vincenzo sbrigava più in fretta possibile tutte le stupide incombenze che il mondo richiedeva (la scuola, i compiti, il cibo, il sonno), così da poter rimanere sdraiato sul letto a fissare il soffitto, la sua posizione preferita per inventare storie. Purtroppo nessuno ha mai goduto delle storie di Vincenzo, perché se ne è andato silenziosamente come ha vissuto, all’età di sedici anni: troppo preso da Qorx, si è dimenticato di respirare.

Gianfranco: Gianfranco, all’età di cinque anni, era palesemente fermo alla fase orale. Crescendo, fece grossi progressi e giunse alla fase anale, precisamente il 16 ottobre 2001. Quell’inverno iniziò a segnarsi il chilometraggio e i tempi di percorrenza per ogni suo viaggio, annotando i dati in bella calligrafia su un elegante taccuino a quadretti  della Fabriano che portava sempre con sé. La moglie Mariachiara, un po’ preoccupata della cosa, taceva, limitandosi a confidarsi col parroco Don Lino in confessione. Quel sant’uomo non mancava mai di irritarsi perché lei divagava su questi dettagli invece di confessarle i peccati.
Gianfranco non sapeva perché, ma quando aveva un foglio di carta sottomano disegnava sempre una lumaca, e in qualche modo pensava sempre a questi strani animaletti. Erano la sua ossessione, lui ne era consapevole e ne era infastidito, tanto più che il suo "quaderno dei chilometri" era disseminato di gasteropodi! Un giorno stava guidando in una strada di montagna e decise all’improvviso di liberarsi di questa sua mania. "Se le lumache vanno lente", pensò, "basta che io vada veloce! E poi calcolerò la mia velocità media!". E accelerò, guidando come un pazzo e prendendo ogni curva al limite.
Per definizione, guidare al limite significa che è sufficiente un piccolo imprevisto perché succeda un disastro. E l’imprevisto in questione fu Pina la lumaca, che stava attraversando con calma, calma, calma. Gianfranco, emerse dalla sua frenesia quando la scorse, cercò di schivarla e finì fuori strada. Negli 1,28 secondi in cui la sua Golf rimase sospesa per aria, Gianfranco pensò con sollievo che le lumache non volano, e che finalmente era libero. Invero, lo era.

Fabio F .:nonostante quello che potesse sembrare a Stasso de’ Stassis, Fabio era un bambino assai generoso, e non cambiò crescendo. Tutti avevano un profondo rispetto per quest’uomo biondo, dall’aspetto pallido e gracile: i colleghi in Comune a cui non negava mai una mano per coprirli in pausa cappuccino, i numerosi amici che sapevano di poter contare sul suo aiuto disinteressato, le associazioni di volontariato a cui collaborava con lavoro e denaro, la moglie e i fligli che lo additavano come marito e padre esemplare. Eppure c’era un motivo di imbarazzo per chi stava intorno a Fabio: il gioco del calcio. Fabio amava giocare da attaccante e magari se la cavicchiava anche, ma tutte le sue azioni erano una fotocopia: impossessatosi del pallone, si dimenticava completamente dei compagni e partiva in dribbling. Scartava uno, due, magari tre avversari, ma poi perdeva il pallone e l’azione si spegneva. Fabio era bravino, ma non era certo Maradona! In nome dell’affetto per questa pasta d’uomo i suoi compagni di squadra sopportavano questa sua mania, ma dopo l’ennesima partitella persa a causa di Fabio, si scocciarono e smisero di farlo giocare. Fabio ne fu molto rattristato perché, vi sarà chiaro, la sua generosità poteva esistere solo se il suo egoismo si sfogava sul campo. Dopo qualche mese di astinenza dal dribbling, Fabio una sera si rivolse alla moglie con un pallido sorriso stanco e le disse: "Cara, mi dispiace, ma devo fare la cosa più egoista di tutte", e si uccise.

Il Bambino Cattivo : quel giorno al September Fest il Bambino Cattivo era felice. Non aveva ottenuto il palloncino, ma almeno aveva fatto piangere quel bambino dalla faccia un po’ fessa. Eppure, il giorno dopo per qualche strana ragione tutto iniziò ad andargli storto. Nulla di grave, ma tante, tante piccole scocciature: la gomma della bicicletta bucata, il quaderno coi compiti delle vacanze mangiato dal cane, il compito di tabelline a sorpresa già uno dei primi giorni di scuola (e il maestro aveva anche chiesto 7×8, che è la moltiplicazione più difficile dell’intera Tavola Pitagorica!), il vigile che sequestra il Tango nuovo, persino le carote per cena. Era inquieto, e cominciò a pensare che forse non avrebbe dovuto fare quel dispetto. Quante storie aveva letto di bambini monelli che poi vengono puniti! Decise quindi di cambiare vita, e come prima cosa, il giorno seguente, pensò di tornare alla sagra a cercare quel bimbo dalla faccia un po’ fessa per chiedergli scusa. Perso nelle sue riflessioni, non vide il camion della spazzatura che stava arrivando, e più non vide altro. Arrivato in cielo (tutti i bambini vanno in Paradiso, anche quelli cattivi), trovò ad aspettarlo il palloncino volato via. Sospirò e finalmente lo prese.

Stupidi ateniesi! – un post reazionario

L’umanità è in continuo progresso sotto molto aspetti, ma ci sono alcuni di essi che sono sostanzialmente fermi. L’aspetto paradossale è che l’obsolescenza di essi è dovuta al fatto che, quando sono stati ottenuti, erano talmente rivoluzionari e fondamentali che l’idea di metterci mano, anche in termini di progresso, è paradossalmente considerata reazionaria.

Il miglior esempio è il principio di democrazia rappresentativa con suffragio universale. Non è una novità che la democrazia non funzioni, Churchill stesso diceva che è la peggior forma di governo con l’eccezione di tutte le altre (vabbè, Churchill era un vecchio trombone anche da giovane, lasciamolo stare). Eppure nessun politico, di nessun schieramento, oserebbe mettere in dubbio l’importanza del principio per il quale tutti hanno diritto ad un voto, uguale per tutti. Ho l’impressione che la ricerca filosofica sulla questione sia ferma, mentre in matematica si fa qualcosa in Teoria dei Giochi ma senza mettere in dubbio le fondamenta dell’idea di "governo del popolo".
Si sente spesso dire che si utilizza la democrazia solo perché non si è trovato nulla di meglio. Ma esiste qualcosa di meglio? Mi pare ovvio. Partiamo da una semplice verità: il principio di una testa, un voto è sbagliato e controproducente. Non tutti sono informati allo stesso modo sui fatti e hanno la stessa intelligenza, e quindi ogni opinione ha valore differente. Vi pare antidemocratico? Certo, lo è per definizione! Vi pare irrealizzabile? Forse. È difficilissimo capire il peso da dare all’opinione di chicchessia, ma ci si può lavorare sopra. La soluzione più semplice, ad esempio, è di dare diritto di voto solo a chi ha studiato o ha passato un certo esame. Corollario a questo principio è che l’istruzione deve essere assolutamente gratuita, accessibile ed efficiente.
Ma questa è solamente una proposta come ce ne possono essere tante altre, e può essere sensata o meno. L’importante è parlarne: quello che mi preoccupa è che la democrazia è vista come un punto di arrivo e non una fase della Storia dell’Umanità.

Momenti di umorismo parte II

Eppure, in effetti, conosco una barzelletta peggiore della pipa e del bocchino. Signore e signori, mettetevi comodi, ve la racconto come la raccontò Simone G. a metà anni ’80, in una memorabile estate a Sassello.

C’è una signora che va sempre in giro senza mutande e ha un cane che si chiama "Comè". Un giorno non riesce a trovare Comè e così gira per la città gridando "Comè? Comè?", ma non lo trova. Alla fine, visto che non lo trova, si mette sopra un tombino a gambe larghe e dice "Comè?" e il tizio che era dentro il tombino: (ammiccando) "Pelosa!"

Analizziamo i vari elementi improbabili della barzelletta:
1) Primo e più importante, "Comè" è un nome irrealistico per un cane (o per qualunque cosa che possa avere un nome), tanto che appare evidente che ci sarà un calembour con l’espressione omofona "com’è". Le premesse quindi vengono poste su basi troppo fragili, già contaminate dalla previsione di ciò che accadrà.
2) Donne che vanno in giro senza mutande ce ne sono, magari ce ne sono di meno che vanno in giro senza mutande indossando la gonna (cosa che è implicita nella meccanica del tombino). A parziale discolpa della storiella, forse la versione originale prevedeva che il cane scappasse mentre, ad esempio, la padrona di Comè faceva la doccia, e quindi la sventurata era costratta ad uscire con l’accappatoio. Però a me Simone l’ha raccontata così.
3) Non si capisce perché Comè dovesse essere andato proprio in un tombino, ma si può immaginare che chi cerca un animale ed è disperato perché non lo trova, possa andare a guardare anche nei posti più improbabili. Anche qui, se io fossi l’autore di questa barzelletta, giustificherei la presenza con qualche espediente: ad esempio, Comè che abbaia dal sottosuolo. Simone era uno scout convinto, forse era troppo impegnato ad arrostire toffolette per considerare queste finezze. In ogni caso nessuno, dovendo guardare in un tombino, si mette sopra a gambe larghe, ma osserva da un lato, magari chinandosi. La posa innaturale è un particolare grottesco.
4) L’omino dentro il tombino. È tanto un luogo comune quanto è improbabile che dentro un tombino ci sia qualcuno, soprattutto in Italia dove sono molto rare le gallerie sotterranee e i tombini di solito sono solo dei pozzetti. Tuttavia, i cliché per definizione sono errati ma accettabili dal punto di vista della percezione comune: tutto questo non va a gloria dell’autore della barzelletta, ma concedo che non sia considerato assurdo.
5) Infine, l’immancabile aspetto pruriginoso. In questo caso mi ha sempre lasciato perplesso il fatto che, implicitamente, l’omino del tombino esprimesse apprezzamento perché la vulva di cui gode la visione sia "pelosa". I comuni canoni estetici prevedono che un eccesso di, ehm, "boschetto" sia disdicevole, anche se la depilazione completa non piace a molti. La mia ipotesi, a questo proposito, deriva dal fatto che la barzelletta mi sia stata raccontata quando avevo intorno ai 10 anni, e a quei tempi la peluria pubica rappresenta una caratteristica di cui si è privi, e, in quanto tale, desiderabile. Oppure i canoni estetici del 1984 erano differenti, o ancora l’autore della barzelletta credeva nel detto "donna peluta, sempre piaciuta".
6) E, ovviamente, la barzelletta non fa ridere nemmeno di striscio. Ma questo lo davo per scontato.

Sappiate quindi che quando qualche mio conoscente, in vena di giovanilismo, mi apostrofa con "Com’è?" per dire "Come va?" io rispondo immancabilmente: "Pelosa".

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