Continuano le ricette esotiche da queste parti, questa volta su ispirazione del mio cuoco pseudo-iberico prefrito Serir. E siccome egli sta in Spagna e in Spagna parlano spagnolo, mi ha passato una ricetta messicana: i più attenti ricorderanno infatti che anche in Messico si parla spagnolo, ma, attenzione!, il Messico non è in Spagna. Confusi? Anch’io. La base della ricetta è quindi di Serir, a cui rendo omaggio, ma è stata elaborata e migliorata da me. Ad esempio, eliminando ogni traccia d’aglio.
Quindi oggi faremo le fajitas di pollo eterodosse alle tre salse. Eterodosse perché non sono certamente quelle canoniche che mangiate al ristorante messicano, e che sono pur pregevoli; di pollo perché c’è il pollo e alle tre salse perché metteremo su ben tre condimenti per il vostro delizioso piatto. Siete pronti? Ottimo!
Prepararsi
Per fortuna stasera Ignazio è andato a cagare il cazio a qualcun altro, e Clarabella aveva il suo torneo di canasta marinara. Quindi, per tenerci compagnia, invece di accendere MTV, oggi canteremo. Musica italiana, su, che siamo in periodo di anniversari. Scaldiamoci l’ugola con Alla fiera dell’est di Angelo Branduardi. Non siate timidi, su con quelle corde vocali! Per due soldi, un topolino mio padre comprò. Forza, non siate timidi!
Ingredienti per due persone abbondanti, o una persona per due volte, abbondanti anch’esse:
– tortillas: le stesse del chili con carne. Andate là per documentarvi, ma poi tornate qua. Per queste dosi ve ne servono otto.
– un petto di pollo intero, non a fette. Circa 400 g, se è più grosso surgelate il surplus, altrimenti poi mi ingrassate.
– un peperone rosso e uno giallo, che fa più colore
– funghi sciampignoni, freschi o surgelati, circa 50 g (ma anche di più o di meno a seconda dei vostri gusti)
– una birra da battaglia. Ma non esagerate con la tirchieria, non scendete sotto la Moretti. La Dreher no, pietà!
– una scatola piccola di fagioli in scatola (rossi o neri, se li trovate, altrimenti anche borlotti). Per “piccola” intendo una di quelle che vendono in blocchi da tre. Le altre due le mangerete un’altra volta.
– formaggio tipo Galbanino, grattugiabile ma dal sapore non troppo deciso. Oh, insomma, Galbanino e basta. Circa 50 g.
– una cipolla media e una grossa. O due cipolle medie e una piccola. O due cipolle grosse e ne avanzate un po’.
– un avvocato maturo. Fate pure, se volete, battute sui professionisti brizzolati.
– succo di limone. Come per la ricetta dell’insalata brasiliana
– olio EVO: non è strafico poter dire EVO come i professionisti?
-sale
-pepe
-zenzero in polvere
-paprica
-origano
-peperoncino
Per quanto riguarda l’attrezzatura avrete bisogno di:
– un padellone gigante e dai bordi anche un po’ alti
– uno scodellone per marinare
– coltellino affilato e tagliere
– due o tre scodelline da servizio: su, tirate fuori quelle buone, altrimenti rimangono lì nell’armadio a prendere polvere per sempre.
– un piatto fondo
– forchette e coltelli assortiti
– cucchiaio di legno
– un fornello
– frullatore (sì, andiamo sul difficile…)
– una grattugia
– il vostro amato grembiule
Pronti? via!
Cucinare
Innanzitutto, mariniamo e cantiamo Piccolo grande amore di Claudio Baglioni. Prendete il petto di pollo e tagliatelo a cubetti abbastanza piccoli, diciamo 1 cm di spigolo. Metteteli nella scodella da marinatura e versatevi la lattina di birra da battaglia insieme a origano e peperoncino. Qui va anche un po’ a vostro gusto, potete sbizzarrirvi nelle marinate: tequila, altre spezie, banane, guano di pipistrello, gattini, smeraldi . Vedete un po’ voi, io uso solo birra, origano e peperoncino (manco troppo). Deve marinare almeno una mezzoretta, quindi fatelo per primo. Ma io questa cosa qui, mica l’ho mai creduta…
Passiamo ora alla prima delle tre salse, il guacamole. Vi ho già detto che non amavo l’avvocato, ma ora l’ho scoperto e sono un uomo più ricco? Bene. Allora, innanzitutto lasciate stare l’avvocato e tagliate finemente la cipolla media, più finemente possibile. Vi concedo anche l’uso del frullatore, se volete. Ora sì, potete prendere l’avvocato maturo; sbucciatelo e tagliatelo a pezzettini, mettendoli in un piatto fondo, e bagnatelo subito con un poco di succo di limone altrimenti diventa nero e poi il vostro ospite vi lascia con un palmo di naso. Schiacciatelo con una forchetta e con un po’ di pazienza, ci vorrà qualche minuto in modo che sia amalgamato il più possibile, poi aggiungete la cipolla tritata e un pizzico di sale. Contemplate la vostra opera e cantate Azzurro. Se siete persone di classe, metterete il guacamole così fatto in una delle scodelline da portare in tavola, se invece, come me, siete delle persone orribili, porterete in tavola il piatto fondo.
Prima di fare le altre due salse, che sono facili, imbastiamo la parte forte del piatto, che chiameremo il Mescolone. Per prima cosa, tagliamo la cipolla grossa, a pezzettoni generosi, e i peperoni, a pezzi normali. Non c’è il leone, chissà dov’è. Li mettiamo nel padellone con dell’olio come si deve, li saliamo immediatamente acciocché caccino via l’acqua, e li facciamo andare a fuoco basso. I funghi per ora no, ma se li avete presi interi, lavateli e tagliateli a lamelle ora. Li aggiungerete più tardi, ora fate i bravi e passate a La solitudine di Laura Pausini.
Ci vorrà un pochino, perché, come sapete a me i peperoni piacciono ben cotti, quindi nel frattempo potete preparare le altre due salse. Scolate parzialmente i fagioli in scatole, e toglietene circa un quarto. Questi li fate asciugare bene, mentre i rimanenti tre quarti li frullate col loro brodino. Vrrrrr! Chissà se tu mi penserai, se con i tuoi non parli mai. Vrrr! Oh, che disdetta, il frullatore ha coperto la Pausini. Mettete la crema così ottenuta in una delle scodellina da servizio e aggiungete i fagioli interi. Schiacciateli un pochino, ma lasciate qualche pezzettone, fidatevi che va bene così. Ed ecco fatta la fagiolada.
Infine, il formaggio. Prendete il galbanino, e con pazienza grattatelo con la grattugia. Inveirete un pochino perché è mollo e vi si sbriciola in mano, ma voi intanto state cantanto Dieci ragazze di Lucio Battisti e il mondo vi sorride: Mat-to! Quello è proprio matto perché, forse non sa… Ottimo, il formaggio così ottenuto va nella terza scodellina da servizio. Non siete fieri di voi? Purtroppo, mentre preparavate il formaggio vi ha telefonato Ignazio per farvi notare che questa non è tecnicamente una salsa, quindi dovreste chiamare la ricetta “fajitas di pollo eterodosse alle due salse più Galbanino grattuggiato”, ma fortunatamente voi cantavate troppo forte e non avete sentito il telefono.
Nel frattempo i peperoni e la cipolla si sono cotti a metà, e potete aggiungere i funghi. Salate ancora un pochino e fate andare a fuoco medio-basso finché non si sono ammorbiditi. L’operazione verrà allietata da quella gran bella canzone che è Felicità di Al Bano e Romina Power. Un bicchiere di vino con un panino è la felicità. Ci avviciniamo alla fine: torniamo alla marinata e la scoliamo bene. No, quella birra non la potete bere. Mi raccomando a non lasciare troppa birra residua, altrimenti ci metterà un’eternità ad asciugarsi e poi fa un po’ troppo pappone. Alziamo il fuoco a manetta e aggiungiamo quindi al mescolone globale il pollo sussurrando le immortali parole del Lucio Dalla di Disperato, erotico stomp: Sono molto preoccupato, il silenzio mi ingrossava la cappella. Aggiungete al mescolone le spezie rimanenti: paprika, pepe, ancora un po’ di peperoncino (non esagerate!) e zenzero. Mi raccomando lo zenzero: dà il tocco vincente al piatto, credetemi. Salate ancora un pochino se è il caso (assaggiatelo, dai!) e poi fate consumare il liquido in eccesso.
Mangiare, bere e impatto anale
Le fajitas di pollo eterodosse alle tre salse si servono con le tortillas. Dateci una scaldata veloce in forno, padella o microonde (appena appena, mi raccomando, non fatemele divenire croccanti). Poi ogni commensale (o solo voi se siete da soli. D’altronde, dopo avervi sentito cantare nessuno si stupisce se siete soli soletti) si mette una tortilla nel piatto e ci spalma sopra le salse che preferisce. Ci stanno bene anche tutte e tre insieme, ma se preferite ne potete utilizzare anche due o addirittura una alla volta. Tuttavia il senso del piatto è il mischiaggio globale, quindi è meglio se ci mettete un po’ di tutto. Metteteci poi una cucchiaiata o due di mescolone, e avvolgete. I più audaci mangeranno con le mani, e si sporcheranno non poco. Niente di male, in questo, ma io preferisco usare coltello e forchetta. Gnam.
L’accompagnamento più naturale del piatto è la birra, possibilmente di tipo fresco e leggero. Non storcete il naso, se volete sbronzarvi basta berne qualcuna di più, dov’è il problema? Non riesco proprio a immaginare nessuna bevanda differente, quindi, se non bevete alcolici, zitti e acqua.
L’impatto anale è piuttosto pesante. Il guacamole contiene cipolla cruda, e l’avvocato stesso non è mica leggerissimo; nel mescolone ci sono un sacco di cipolle e di peperoni; avete mangiato poi fagioli e formaggio, e un sacco di spezie strane; e poi scommetto che siccome la birra era leggera ne avete bevute un sacco. Beh, ecco le buone notizie per voi: vi rimarrà tutto sullo stomaco, suderete, farete puzzette, probabilmente avrete anche l’alito cattivo e le cipolle trasuderanno dalla pelle. Quindi, se volete sconfiggere le tentazioni della carne, le fajitas di pollo eterodosse alle tre salse sono il vostro migliore alleato!
Ancora un grazie di cuore a zio Serir per la ricetta originale, anche se la sua era meno buona perché c’era l’aglio.
Un racconto filosofico scritto da Golosino e nato da una nostra conversazione. Ché quando chattiamo, io e Golo, mica parlamo di calcio!
Due filosofi, uno coi baffi e l’altro senza, viaggiano per le strade della città a bordo di un’Alfa 33 verde scuro del l’87. Quello coi baffi sta alla guida, mentre l’altro si limita a guardare un pupazzetto di Elvis appoggiato sul cruscotto, di quelli con la testa che vibra a ogni scossone.
A un tratto, dopo che l’auto imbocca una stradina a una sola corsia, il filosofo senza baffi alza lo sguardo ed esclama: “Sai, stavo riflettendo”.
“È un’attività ammirevole”, commenta il filosofo coi baffi girando a destra e immettendosi in un viale più grande. “E su cosa stavi riflettendo, esattamente?”.
“Sul concetto di doppio senso unico”, risponde l’altro con sguardo trasognato.
“Interessante” osserva il filosofo coi baffi, “Vai avanti”.
“Se ci pensi, tale concetto implica allo stesso tempo un doppio senso e un controsenso”, gli spiega il filosofo senza baffi. Dopodiché si interrompe perché si distrae a guardare le grosse tette di una ragazza che cammina sul marciapiede.
Il filosofo coi baffi non si accorge della maggiorata, ma in compenso rimane profondamente colpito da questa riflessione. “Spiegati meglio. Te ne sarei grato”.
“…”.
“…”.
“Ehi”.
“Eh?”
“Ti ho chiesto se mi puoi spiegare cosa intendi. Ti spiace?” ribadisce un po’ seccato il filosofo coi baffi, e nel frattempo inchioda per non andare a sbattere contro una Vespa che gli ha tagliato la strada.
“Oh, sì sì. Scusa tanto…” si riprende il filosofo senza baffi, “…sai, mi ero distratto a riflettere sulla rilevanza del termine Wille zur Macht all’interno del pensiero nietzschiano”.
“Ebbene, questo doppiosenso unico?”, taglia corto il filosofo coi baffi.
“Ma certo. Ti dicevo: il concetto di doppio senso unico è innanzitutto un doppio senso, perché in esso il termine senso è utilizzato sia nell’accezione di significato che di senso di marcia”.
“Ciò che dici è vero”, gli concede il filosofo coi baffi.
Nel frattempo, l’auto passa su un pavé e il pupazzetto di Elvis comincia a ballare l’hula hop sul cruscotto.
“Allo stesso tempo, però” prosegue l’altro, “un doppio senso unico è anche un controsenso, perché un senso unico non può essere doppio, ovvero prevedere un senso unico di marcia in una direzione e un altro senso unico nella direzione opposta, perché in questo modo non sarebbe più un senso unico, bensì un doppio senso”.
“Aspetta un attimo” lo interrompe il filosofo coi baffi, confuso, “ma tu hai appena detto che è anche un doppio senso”.
“Beh, sì…” risponde imbarazzato il filosofo coi baffi, “O meglio, è un doppio senso perché è un concetto che ha due significati, ma non perché ha due sensi di circolazione”.
I due rimangono in silenzio per un po’, assorti nel traffico che li circonda e nelle loro complesse elucubrazioni. Poi, quando poco dopo l’auto si ritrova ferma in coda a un semaforo, il filosofo coi baffi azzarda: “A questo punto, si potrebbe dire che il doppio senso unico è un doppio doppio senso, da un lato perché è un concetto che si fa carico di due significati distinti, dall’altro perché in quanto senso unico in entrambe le direzioni, è a tutti gli effetti anche un doppio senso di circolazione”.
Il filosofo senza i baffi si tormenta le mani a lungo, sconvolto dalla piega che la conversazione sta assumendo.
“Direi proprio di sì”, concede. “Ma ahimé, non solo”.
“Che cosa intendi?” lo guarda stupito il filosofo coi baffi, distogliendo gli occhi dalla guida.
“Intendo dire che è anche un doppio controsenso, poiché è tale sia in quanto concetto contraddittorio – dato che come abbiamo già detto un senso unico di marcia non può essere un doppio senso-, sia perché in quanto senso unico è anche un senso contrario, dato che percorrendolo in direzione contraria, si finisce per viaggiare, per l’appunto, contro il senso di marcia”.
“Per di più” aggiunge il filosofo coi baffi, “è un doppio controsenso anche perché, essendo un senso unico in entrambe le direzioni, allo stesso tempo dev’essere anche un senso vietato in tutte e due le direzioni”.
“È stupefacente”, commenta il filosofo senza baffi.
“Puoi dirlo forte” assente il filosofo coi baffi, tornando a guardare la strada.
“Il doppio senso unico è sia un doppio doppio senso, sia un doppio doppio controsenso. Tutto ciò mi porta a concludere che lo stesso concetto di senso, e quindi anche di senso unico, doppio senso e controsenso, non abbiano alcun significato”.
“Per Diana, è lo scacco della Ragione”.
“Già. Sono senza parole”, conclude il filosofo senza baffi.
E come a sottolineare quest’ultima affermazione, i due rimangono in silenzio svariati minuti, del tutto smarriti.
Tuttavia, a un certo punto il filosofo coi baffi si rende conto di essersi perso anche in senso fisico, poiché non sa più in quale parte della città si trovi, così chiede al filosofo senza baffi: “Senti… e ora dove dobbiamo andare?”.
“Di là, mi pare”, l’altro fa cenno con il dito verso una stradina.
“Ma non posso entrare da qui: guarda il cartello, è un senso unico nell’altra direzione. Ovvero è per noi un controsenso”.
“…”.
“…”.
“Mi pareva, però, che avessimo concluso che il concetto di senso unico fosse in realtà un controsenso”, argomenta il filosofo senza baffi.
“È vero, hai ragione”, assente il filosofo coi baffi. “Andiamo”.
I due filosofi si fiondano con l’auto nel senso vietato, senza troppo preoccuparsi della segnaletica stradale.
Nel mentre, però, un furgone con a bordo due muratori, uno coi baffi e uno senza, sta percorrendo quella stessa via nella corretta direzione di percorrenza.
E ora, scegli il finale della tua avventura filosofica! Ecco, a mo’ di esempio, il finale immaginato da Golosino.
Il muratore coi baffi dice che ha appena visto passare per strada una bella topolona, al che quello senza baffi commenta con un rutto. Né i filosofi, né i muratori si accorgono che i due veicoli si stanno venendo incontro ad alta velocità, dato che i primi stanno guidando in contromano, così nessuno riesce a fare niente per evitare lo scontro frontale.
Nello schianto, i muratori si salvano perché avevano le cinture allacciate, e l’assicurazione gli pagherà pure i danni perché avevano ragione. I filosofi invece rimangono feriti mortalmente perché erano a bordo di una carretta, e muoiono sul colpo senza essere riusciti a cogliere il senso della propria esistenza.
Ma voi come la fareste finire?
Di idee cattive, deliranti o semplicemente sceme ne ho avute parecchie, ma credo che questa le batta tutte.
Un giorno, quando avrò avuto circa 12 anni, ebbi la folgorazione che per rinsaldare la mia traballante (per non dire inesistente) popolarità io sarei diventato “il ragazzo col cappello”. Mi sarei trovato un cappellino qualunque (anche se sottintendevo a me stesso che era una cappellino da baseball, di quelli con visiera) e l’avrei indossato continuamente. La gente, un po’ sconcertata all’inizio, avrebbe poi iniziato a voler bene a quello strano giovanotto. Il fruttivendolo gli avrebbe tirato una mela dicendo “Tieni, ragazzo col cappello, prendi questa e buon pro ti faccia!” e i giovinastri ai giardini e in sala giochi avrebbero avuto un muto rispetto per chi si proponeva con un così audace gesto. Forse addirittura una volta egli avrebbe salvato un bambino che stava finendo sotto un’ambulanza (sì, sotto un’ambulanza…che crudele ironia!) lanciandosi per sottrarlo a una morte crudele; il ragazzo col cappello si sarebbe ferito, e per la prima volta tutti lo avrebbero visto senza cappello, e avrebbero mormorato “allora il ragazzo col cappello è così, senza il cappello…”; se poi fossi morto, avrebbero pianto la mia dipartita e sulla mia bara ci sarebbe stato il suddetto copricapo. Però non ho mai deciso se sarei morto o meno (sì, il resto erano “film che mi ero fatto”).
Poi San Boleto Coccige mi ha messo la mano sulla spalla, mi ha benedetto e ho avuto l’illuminazione che, di tutte le cazzate che potevo fare, questa era una delle più imbecilli. Ed è per questo che nessuno mi conosce come “ragazzo col cappello”. Oh, ma sono sempre in tempo…
(ripensando a questa storia, non posso fare a meno di immaginarmi come Charlie Brown. Good grief…)
Sul proprio diario, le mie compagne di classe delle medie usavano scrivere:
* Ahem * (mi schiarisco la voce per meglio declamare).
San Valentino
la festa di ogni cretino
che crede di essere amato
e invece rimane fregato.
Facciamo che tutti abbiamo detto la nostra sul disprezzo che nutriamo su per una festa così scema come San Valentino, e concentriamoci sul testo: mi ha sempre colpito questa visione così romanzata dell’occasione. Sembra quasi l’estrema sintesi di una commedia romantica.
Adam Sandler organizza tutto per San Valentino con la sua bella promessa sposa: senza scostarsi un ciccinino dai peggiori cliché delle romcom, cena a lume di candela in ristorante esclusivo con vista sulla città, rose rosse, sciampagna e ostriche. E un anello nella tasca della giacca, pronto per scivolare nel bicchiere di lei al momento giusto. Ma lei, Lindsay Lohan, non si presenta manco a cena: è infatti mesi che fa le corna ad Adam Sandler con Rupert Everett, e finge di stare con lui solo perché ci ha i soldi ed esaudisce ogni suo desiderio.
E così si trascina la triste serata del 14 febbraio di Adam, in attesa della bella Lindsay che non arriva. Prima è eccitato, poi inquieto, triste, preoccupato; infine, subodorando qualcosa, si fa prestare il telefono dalla cameriera e riesce a raggiungerla al telefono spacciandosi astutamente per un venditore di vestiti da sposa, e lei non è interessata! Allora non è vero che lo vuole sposare! Il nostro eroe è distrutto, ma ecco che la cameriera di prima, interpretata da una solare Anne Hathaway, gli sussurra qualcosa che gli cambierà la vita: “Quella là non ti merita”. Queste illuminanti parole scuotono Adam, che invita Anne al tavolo a sedersi con lui. Lei sorridente gli ribatte che non può, sta lavorando, ma magari quando stacca… E quando stacca, Adam è lì gaio ad aspettarla, pronto a iniziare una nuova vita col suo angelo salvatore. Fa per abbracciarla, ma arriva Rupert Everett e si prende anche questa. Fine.
(E che diamine, non posso mica uscire dal seminato del Diario delle Medie!)
Non so voi, ma a me il Cartolaio Amico® fa paura. Dev’essere la combinazione di diversi elementi: i baffi mlavagi, gli occhiali bassi con lo sguardo indecifrabile, l’urendo gilé con lo stesso motivo della cravatta, il sorriso stentato, la vaga somiglianza con Nino Manfredi, il modo in cui tiene le penne e la squadra, la mancanza del braccio sinistro, i quaderni levitanti. Non entrerò mai più in cartoleria, se c’è il rischio di incontrare il Cartolaio Amico®.