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Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Butters!

Per prepararvi a questo inconcludentissimo aneddoto, si sappiano le seguenti informazioni su di me:

L’autobus: la mia casa ad Alassio è in collina, situata a un paio di chilometri abbondanti di salita dal centro città. C’è un autobus che, con frequenza oraria, percorre la strada e un’opportuna fermata che fa al caso mio (la cosiddetta “fermata della Liggia”). Fin dall’età di 7-8 anni io prendevo questo autobus da solo, in realtà senza essere stato addestrato in modo completo. Infatti, nessuno mi aveva mai detto che per scendere alla Liggia dovevo suonare il campanello o, come si usa in provincia, chiedere all’autista di fermarsi. Per lungo tempo, ho avuto la fortuna che qualcun altro scendesse alla stessa fermata.

Il “Voi”: da bimbo ero un avido lettore, ben più di adesso: un buon 2-3 ore al giorno le dedicavo a fumetti e libri, spesso rileggendo le stesse cose. Di conseguenza, buona parte della mia conoscenza del mondo derivava dalla parola scritta, cosa che a volte poteva generare attriti con la realtà. Ovviamente non pensavo che esistessero davvero Topolinia e Paperopoli, ma il fatto che conoscessi pochissime parolacce ne era una prima conseguenza. Un’altra era che ero convinto che usare il “voi” come forma cortese fosse normale e perfettamente lecito, esattamente come lo è nell’italiano scritto.

Ecco, ora avete elementi sufficienti per godervi l’aneddoto.
Un giorno ero salito sull’autobus per tornare a casa, gaio della mia indipendenza. Come avrete probabilmente intuito, quel giorno nessuno doveva scendere alla Liggia, e l’autobus tirò dritto. Io mi spaventai un pochino, ma alla fermata dopo, per fortuna un signore doveva smontare dal mezzo e la corriera si fermò.  Ne approfittai e ratto come la folgore scesi anch’io, e mi convinsi che fosse cambiata la mappa delle fermate. Poco male, pensavo, qui è leggermente più lontana ma non sarà la fine del mondo. In un moto di solidarietà, quindi, chiesi a quel signore: “Anche voi non sapevate che era cambiata la fermata?”. Lui mi guardò come si guarda un fessacchiotto e rispose, affrettandosi per la sua strada: “No, io dovevo scendere qua”. E l’aneddoto finisce qua.

Fakt 7: Notizie dal fronte del fuoco

In questi giorni, vicino a Genova sta divampando un incendio piuttosto grande e piuttosto vicino alla città. Le conseguenze sono evidenti e molteplici: l’inquietante colore rossastro del cielo in una giornata altrimenti serena; il fumo che invade la città e fa respirare male; il rumore continuo dei Canadair nella loro opera di spegnimento; l’odore di portacenere che pervade gli ambienti chiusi come gli uffici; il traffico che si blocca nei punti “panoramici” per vedere l’incendio; l’impossibilità di stendere i panni a causa della cenere che piove sulla città.

Ma questi sono dettagli, la conseguenza più importante è quella che tutti tacciono:
Fakt 7: A stare a lungo vicino a un incendio, aumentano di molto le caccole nel naso.

Martedì 13, mercoledì 14

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Martedì 13
Oggi al fiume abbiamo trovato un gamberetto di fiume. L’abbiamo messo in una pentola.
Qualche ora dopo gli è mancato l’ossigeno. Abbiamo detto alla nonna di cambiare l’acqua, ma ne ha solo tolta, perciò è morto.

Mercoledì 14 Luglio
Ieri ho scritto del gambero, no? Ebbene non sapevo dove era finito, oggi l’ho trovato appeso a un ramo di albero, l’ho seppellito ma poi per fare uno scherzo l’ho appeso di nuovo all’alberello.

Mentre aspetto che qualcuno mi faccia sapere come si dice “trilogia di due soli elementi”, queste giornate passeranno alla storia come “trilogia del gambero”. Bei tempi, il 1982, quando nei torrenti c’erano ancora i gamberi di fiume! Ovvio che ora non ci siano più, quei 20th Century Boys li pescavano e facevano fare loro delle morti orribili! Innanzitutto una precisazione: l’abbiamo messo in una pentola non significa che l’abbiamo cucinato o che avessimo intenzione di farlo. Probabilmente non ci è nemmeno passato per la testa di mangiarlo, anche se probabilmente sono bestie commestibili (anche se lungi dall’essere buone, credo), la pentola era solamente il posto dove conservarlo. E ora il mistero della nonna: sarà davvero successo che abbiamo detto alla nonna di cambiare l’acqua, ma lei l’ha solo tolta? E in tal caso, perché? Perché era malvagia? Probabilmente la risposta, vista dagli occhi di un adulto, è che è meglio liberarsi di quel cacchio di gambero prima possibile, ché fa un po’ schifo e poi la pentola mi serve per cuocere il coniglio per la cena. O magari la nonna voleva davvero cambiare l’acqua, ma a metà dell’operazione è successo qualcosa (che so, il coniglio era cotto) e si è distratta. Fatto sta, ed è la cosa che trovo più buffa, che è morto, e lo dico con un cinismo che mi stupisce.

Assai più inquietante, tuttavia, è il ritrovamento, apparentemente casuale, di un cadavere di gambero di fiume appeso a un albero l’indomani. Ignoro chi possa essere stato, forse io stesso durante un attacco di sonnambulismo, e quale ne fosse lo scopo; forse una sorta di avvertimento agli altri gamberi di fiume: “state lontani da qua, o finirete come me!”. Forse ancora più inquietante è il fatto che, dopo la pietosa sepoltura, ho riesumato quel povero disgraziato e l’ho riappeso, per fare uno scherzo spassoso: “Ehi, guardate, un gambero zombi!”. In effetti fa ridere, lo rifarei anche oggi.
Infine, dal lato formale, trovo assai interessante l’uso retorico della domanda iniziale. Avrei potuto dire “Il gambero di cui ho parlato ieri …”, ma ho preferito ammiccare al lettore. Un blogger in erba già ventidue anni prima di esserlo sul serio.

La mia breve carriera di lavapiatti felice

Ci fu un momento, nella mia infanzia, che decisi che lavare i piatti era assai divertente. Avevo circa otto anni, e non ricordo come scoprii questa fonte di spasso, tantopiù che in casa mia c’è sempre stata la macchina lavapiatti; quindi il lavaggio manuale avveniva sporadicamente, magari soltanto per i piatti della colazione o per qualcosa di occasionalmente lasciato fuori da una macchinata. E nemmeno ricordo cosa trovassi di così ricreativo in quest’incombenza: forse l’odore del sapone, l’idea di pulizia che vi è associata, la sensazione tattile dei piatti, il collegamento col mondo del cibo. In effetti ci sono un sacco di ragioni per cui lavare i piatti è fonte di spasso, a  ben pensarci.

Un giorno infausto era presente a casa mia la Nuccia, la mamma di una compagna di classe di mia sorella. A un certo punto mia mamma proclamò che c’era da lavare i piatti (ripensandoci, poteva essere un modo per far capire a quella signora che era ora di sloggiare!) e io mi intromisi: “Posso darti una mano?”. La Nuccia disse con un tocco di sarcasmo “Com’è volonteroso!”, al che mia mamma le rispose “No, lui si diverte!”, tipica conversazione su un bambino fatta come se lui non fosse presente. Comunque sia, iniziai a lavare i piatti bello gaio, ma a un certo punto avvenne il fattaccio. Nell’acqua del lavello incappai in un pezzo di pane infradiciato: non so perché, ma la cosa mi schifò al punto che mi tolse tutto il gusto di lavare i piatti, allora e per sempre. Che ci volete fare, ero un bimbo sensibile e volubile.

Ed è quindi per colpa di quel tozzo di pane se non mi si è aperta una brillante carriera come lavapiatti. Un’altra porta che mi si è chiusa per colpa del destino avverso.

Misteri della vita CIII: P come…

mvcazzata.pngMisterino estivo giusto per tenersi in allenamento…

A chi giova la “P” di “principiante” che i neo-patentati dovrebbero esporre sul lunotto della propria automobile? Cosa ci si aspetta, che la gente intorno gridi in preda al panico “Dio mio, è un neo-patentato! Presto, mettete in salvo le donne e i bambini! Anzi, si fottano le donne e i bambini, io me la squaglio!”? O, viceversa, che i bonari automobilisti portino un po’ di pazienza in più se il ragazzetto con la macchina di papà fa spegnere il motore al semaforo? Ce lo vedo l’automobilista milanese che pensa “Massì, son ragazzi, hanno tutti il diritto di imparare. E pazienza se perdo l’onda verde, intanto che fretta c’è?”.

Sette segni che stai invecchiando di brutto

Uso la seconda persona come artifizio retorico, ma sapete bene di chi sto parlando, vero?

Non solo non riesci a toccarti le punte dei piedi senza piegare le ginocchia (non ci sei mai riuscito, d’altronde), ma hai anche smesso di provarci.

Il venerdì sera è la sera del tuo meritato riposo dopo una settimana di fatica, non una sera in cui è consigliabile uscire.

Inizi a pensare che per andare a cena fuori, i locali dove si mangia tantissimo a poco prezzo non rappresentano necessariamente la scelta migliore.

Ti senti affrancato dall’obbligo di andare in discoteca una volta ogni tanto (anche se non ti sei mai divertito) perché è dovere dei giovani farlo.

La lista dei vini al ristorante non è più una cosa così oscura e imbarazzante.

Fai uso di un calendario/agenda per ricordarti le cose. Non necessariamente ti serve, ma ti senti più tranquillo.

Pensi “To’ che bella milf!” di una signora dal panettiere e poi scopri che la conosci e ha la tua stessa età. Però è invecchiata anche peggio di te: magra consolazione.

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